Una poesia, quasi elegiaca. La storia del duo composto da Caroline Crawley e Jem Tayle si perde quasi nella notte dei tempi, un quarto di secolo, tanto tempo è passato dalla loro fondazione, avvenuta – carte alla mano – nel 1983, in pieno fermento new wave. Il gruppo si ispira sin dal nome ad uno dei massimi poeti del romanticismo inglese, Percy Bysshe Shelley.
Nel 1985 i Shelleyan Orphan siglano un contratto con Rough Trade, prima di ciò mettono a curriculum una ragguardevole performance per la sempre rispettabile Radio 1 ed un'apparizione al fianco di Jesus & Mary Chain durante un'uscita londinese, elementi utili a convogliare ulteriori attenzioni sul loro struggente ibrido, che pur conservando un'attitudine ed un piglio post-punk, può definirsi pop cameristico. Il loro primo album 'Helleborine' prodotto da Haydn Bendall, è già un caso per la critica specializzata: il loro pop dalle tinte classicheggianti spiazza più di una persona, fanno altrettanto gli strumenti tirati in ballo (Strumento da Porca, tamboura). Del resto assai variabili sono le loro influenze, dai Joy Division agli Sparks, passando per Barry White e Delius. 'Century Flower' del 1989 – prodotto da Dave Allen (The Cure, Human
League) – consente il cosiddetto salto di categoria, proprio con un tour di supporto alla band di Robert Smith, che toccherà sia Europa che Stati Uniti. Il terzo album – 'Humroot' del 1992 – incrementa ulteriormente le combinazioni musicali, tirando dentro strumenti come l'hurdy gurdy ed il dulcimer. Ma il coevo fallimento commerciale di Rough Trade ne impedisce la regolare distribuzione. I fan più accaniti ottengono comunque il mirabolante oggetto ed il duo continua ad esibirsi pubblicamente per almeno un altro paio di anni. Prima di una lunga pausa che gli consentirà di lavorare ad alcuni progetti solisti.
Sono di nuovo tra noi, comunque, e questo è ciò che più conta, prossimi a licenziare il nuovo album per One Little Indian: 'We have everything we need', più che una promessa una candida ammissione. La musica? Ancora soavi quadretti che odorano di pop bucolico e mistica poesia, con le candide voci dei due protagoniste perse in duetti ancestrali. Un volo pindarico, senza tempo, che ci riconsegna in ammaliante forma una delle più originali formazioni inglesi dell'ultimo ventennio.
Nel 1985 i Shelleyan Orphan siglano un contratto con Rough Trade, prima di ciò mettono a curriculum una ragguardevole performance per la sempre rispettabile Radio 1 ed un'apparizione al fianco di Jesus & Mary Chain durante un'uscita londinese, elementi utili a convogliare ulteriori attenzioni sul loro struggente ibrido, che pur conservando un'attitudine ed un piglio post-punk, può definirsi pop cameristico. Il loro primo album 'Helleborine' prodotto da Haydn Bendall, è già un caso per la critica specializzata: il loro pop dalle tinte classicheggianti spiazza più di una persona, fanno altrettanto gli strumenti tirati in ballo (Strumento da Porca, tamboura). Del resto assai variabili sono le loro influenze, dai Joy Division agli Sparks, passando per Barry White e Delius. 'Century Flower' del 1989 – prodotto da Dave Allen (The Cure, Human
League) – consente il cosiddetto salto di categoria, proprio con un tour di supporto alla band di Robert Smith, che toccherà sia Europa che Stati Uniti. Il terzo album – 'Humroot' del 1992 – incrementa ulteriormente le combinazioni musicali, tirando dentro strumenti come l'hurdy gurdy ed il dulcimer. Ma il coevo fallimento commerciale di Rough Trade ne impedisce la regolare distribuzione. I fan più accaniti ottengono comunque il mirabolante oggetto ed il duo continua ad esibirsi pubblicamente per almeno un altro paio di anni. Prima di una lunga pausa che gli consentirà di lavorare ad alcuni progetti solisti.
Sono di nuovo tra noi, comunque, e questo è ciò che più conta, prossimi a licenziare il nuovo album per One Little Indian: 'We have everything we need', più che una promessa una candida ammissione. La musica? Ancora soavi quadretti che odorano di pop bucolico e mistica poesia, con le candide voci dei due protagoniste perse in duetti ancestrali. Un volo pindarico, senza tempo, che ci riconsegna in ammaliante forma una delle più originali formazioni inglesi dell'ultimo ventennio.
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