Le pecore nere vengono spesso additate in famiglia. Julian Cope, che del rock inglese è il figliol prodigo, deve amarlo quest’attributo, tanto da titolare in questa maniera la sua nuova fatica sulla lunga distanza. C’è del black humour – tipicamente inglese – ma anche la coscienza di una vita artistica consumata ai margini. Prendendosi però delle belle soddisfazioni, grazie ad un percorso indipendente che – soprattutto in tempi recenti – sembra finalmente dar ei suoi magici frutti. E’ un album doppio Black Sheep, Julian del resto ci ha abituati ad autentici tour de force negli ultimi anni, la sua materia grigia in costante espansione anche grazie alle ‘fraterne’ sostanze psicotrope. Una cosa è evidente: è tornato lo spiritello malvagio che aveva reso indimenticabili alcune delle annate più ispirate dello psych-rock made in UK. E’ un album per certi versi ‘gentile’, il druido ha ripulito delle scorie hard-rock e di certe lungaggini kraut la sua musica, consegnandoci brani dal retrogusto pop lisergico, a tratti irresistibili. E in questo Black Sheep spuntano delle canzoni che si vanno immediatamente a collocare tra i classici del suo songbook. L’apertura trionfale di Come The Revolution è un gioiello maestoso, un refrain che si impone alla vostra attenzione, ispirando moti ‘carbonari’. Più che un reietto un sobillatore, a Cope non sono mai mancate le doti di leader ed il suo estro si è spesso combinato ad alcune delle più luminose pagine del rock inglese. C’è poi il gusto per l’esasperazione, supportato dal giusto e puntuale sarcasmo. I titoli delle canzoni sono sottotitolati in giapponese – la terra del sol levante è evidentemente la nuova mecca – ed il disco si divide logicamente in due parti: Return Of The Native e Return Of The Alternative. Tutto il gusto pagano e le memorie ancestrali in campo, per un rito propiziatorio, così pare. Ma non perdiamo di vista le canzoni, che sono ben sei nel primo cd ed hanno in dote la magia dell’eternità. These Things I Know, va ad esempio ad ascriversi tra i pezzi più riusciti dai tempi del capolavoro Fried. Un’impresa non da nulla per Julian, che ritrova la vena dei giorni migliori e sembra guardare nel firmamento la stella sempre brillante di Syd Barrett. Più riflessivo il secondo disco che ha una struttura quasi ‘ambientale’ e vive di episodi per l’appunto più ‘sospesi’. La notizia è ufficiale, il reverendo è tornato per fare nuovi adepti: To rally every black sheep is my goal.
Non scambiatelo per presuntuoso, Julian Cope è in missione per conto di qualche dio pagano!
Non scambiatelo per presuntuoso, Julian Cope è in missione per conto di qualche dio pagano!
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