27/08/09

Nuovo EP Per Pete Molinari

Chi aveva riposto in Pete Molinari grandi speranze non verrà certo deluso dal suo nuovo Ep - Today, Tomorrow And Forever - che non è ancora l'esatto successore di quella meraviglia a titolo A Virtual Landslide, ma certo avrà la terapeutica funzione di arginarne l'attesa. Stiamo parlando di una delle rivelazioni del più classico songwriting folk degli ultimi anni, uno dei volti che con più decisione è emerso dai sotterranei del Regno unito. Giramondo con origini maltesi ed italiane, Pete è stato da più parti salutato come un possibile erede della tradizione lirica di Bob Dylan, oltre che un devotissimo del primo Johnny Cash. Per dar seguito alle polverose ambientazioni che animano le sue canzoni, Pete si accompagna oggi ai The Jordanaires e registra questi quattro inediti cover in un luogo simbolo come Nashville, Tennessee al Playground Sound Studios. La scaletta comprende appunto alcuni dei suoi più recenti cavalli da battaglia dal vivo: Today, Tomorrow and Forever(Patsy Cline), Satisfied Mind (Joell Hays/Jack Rhodes), Guilty e Tennessee Waltz (Pee Wee King). L'ep è stato anche una via di fuga per Molinari, impegnatissimo nelle session che porteranno alla creazione del suo terzo lavoro sulla lunga distanza. A Nashville - durante un giro di ricognizione - s'imbatte nel produttore e chitarrista Adam
Landry (Hayes Carll/Allison Moorer), con il quale divide anche il palco in un paio di fortunate occasioni. Ritorna dunque sul luogo del delitto per incidere questi quattro pezzi, convinto di ritrovare gli stessi stimoli, forte anche di alcune folgoranti presenze locali come il gruppo vocale The Georgettes ed il suonatore di pedal steel Chris Cruggs (imparentato proprio con quell'Earl Scruggs).

L'ep sarà disponibile in due formati, uno stiloso 10 pollici ed un cd contenente ben tre bonus acustici: One Stolen Moment, Ballad On A Milk Train e The Poets Dream

Nuovo Album Per I Reigning Sound

Nemmeno il tempo di rifiatare, che dal cappello della In The Red - con la morsa del caldo estivo solamente allentata – esce questa meraviglia dai tratti classicamente rock’n’roll. Tornano in pista i Reigning Sound di Greg Cartwright, dopo un’assenza dalle scene di 5 anni. Nel frattempo Cartwright e soci hanno trovato altri profumati ingaggi, non ultima la collaborazione con l’ex-vocalist delle Shangri-La’s Mary Weiss per il suo acclamato album da studio Dangerous Game. Oltre a suonare dal vivo la band prese parte ad una memorabile performance al Late Night show condotto da Conan O'Brien. Cartwright per un breve lasso di tempo ha composto e suonato anche nei Detroit Cobras. Dopo le ricorrenti apparizioni live i Reigning Sound decidono che è tempo di tornare in studio, lo fanno in un primo momento varcando la soglia dello storico Ardent Studios a Memphis. Qualche mese più tardi cambia la location: presso gli Echo Mountain Studios in North Carolina, il gruppo ultima le nuove canzoni e si rilancia nel giro delle più competitive rock’n’roll band in circolazione
Con Love and Curses il gruppo ritorna in forma splendente. C’è un tastierista a tempo pieno - Dave Amels – che contribuisce a rinfarcire il suono del gruppo, togliendo una vetusta patina lo-fi ed aggiungendo un nuovo calore. Un parallelo interessante potrebbe essere l’intervento di Ray Manzarek su Los Angeles degli X ad esempio. La perfezione è di casa stavolta, con ballate soulful e pezzi al fulmicotone, che rendono inalterata la magia dei Reigning Sound, prossimamente nei migliori club (bar) di mezzo mondo, a presentare questo nuovo roboante disco.

Susanna And The Magical Orchestra - 3



All’ipotetico crocevia tra Kate Bush e Joni Mitchell, un teatro sospeso tra melodiose radici cantautorali ed il fascino elegante dell’elettronica, una via che è già storia manifesta per questa eroina proveniente dai fiordi norvegesi. Susanna Karolina Wallumrod è uno dei volti più rappresentativi della più sofisticata canzone moderna, il fiore all’occhiello del prestigioso catalogo Rune Grammofon, che ha dato il là ad un nuovo corso musicale, dove l’avanguardia si fonde mirabilmente ed obbligatoriamente con un sentire pop iper moderno. Con l’accompagnamento principe del tastierista Morten Qvenildi il terzo album accreditato a Susanna And The Magical Orchestra è ancora l’esemplificazione di una purezza stilistica, di un sofisticato abbraccio emotivo, dove la puntualità degli arrangiamenti mai lascia il passo al dilemma della spontaneità. Ciò che può apparire una severa applicazione di determianti stilemi è in realtà la volontà espressa di una scrittura progressiva, ricca di pathos, pur se avvolta in una coltre che sa di futurismo, anzi modernariato. Nella sclaetta in cui sono i brani della coppia Wallumrod/Qvendil a recitare la parte del leone si fanno largo una straziante cover del genio inglese Roy Harper - Another Day – ed un’impensabile ripresa di Subdivisions dei mitologici prog-rockers canadesi Rush. Con l’intervento discreto di un cast di musicisti sempre intercambiabile – spicca di certo il nome di Helge Sten ingegnere del suono dei Motorpsycho e membro effettivo dei Supersilent - 3 rilascia attraverso i suoi solchi una brezza quasi autunnale, un sospiero lieve che ci consegna ancora una volta inalterata l’algida poesia di Susanna e della sua virtuale orchestra. Musica come un sospiro.

Ciao My Shining Star - The Songs Of Mark Mulcahy


Una storia drammatica quella alla base di Ciao My Shining Star – The Songs Of Mark Mulcahy. E’ un tributo del tutto particolare all’artista bostoniano, un benefit album che lo aiuterà a sostenere non solo i suoi impegni musicali, ma rappresenterà anche un sostentamento per la sua bambina di 3 anni, figlia del rapporto con la moglie Melissa, scomparsa prematuramente lo scorso settembre. Mulcahy oltre ad essere un apprezzato autore solista – tanto ispirato dai songwriter inglesi come John Martyn e Van Morrison, quanto prossimo alle interpretazioni di una colonna come Michael Stipe- vanta dei trascorsi importanti nei Miracle Legion, gruppo ponte tra ‘americana’ e suono indie. Thom Yorke dei Radiohead ne ha spesso decantato le lodi, inserendolo di diritto tra i suoi preferiti artisti contemporanei. Ciao My Shining Star è un disco che ha letteralmente smosso tutta la comunità internazionale, che interpreta il songbook di Mulcahy con rinnovato spirito. Oltre allo stesso Yorke che apre la raccolta con All For The Best, ci imbattiamo in successione in autentiche star del recente passato come Dinosaur Jr., Mercury Rev e addirittura Rocket From The Tombs. Segno che la musica dell’artista del Massachusetts ha suscitato più di un’emozione nei cuori dei più disparati autori. Michael Stipe dei R.E.M., Frank Black dei Pixies e Vic Chesnutt sono gli altri nomi di spicco del progetto, che attraverso 21 episodi da brivido, riporta alla luce un talento poco noto nel vecchio continente, sposando per di più una nobile causa.

Tracklisting:
01 Thom Yorke - "All For The Best"
02 The National - "Ashamed Of The Story I Told"
03 Michael Stipe - "Everything's Coming Undone"
04 David Berkeley - "Loves The Only Thing That Shuts Me Up"
05 Dinosaur Jr. - "The Backyard"
06 Chris Harford & Mr Ray Neal - "Micon The Icon"
07 Frank Black - "Bill Jocko"
08 Vic Chesnutt - "Little Man"
09 Unbelievable Truth - "Ciao My Shining Star"
10 Butterflies Of Love - "I Have Patience"
11 Chris Collingwood (Fountains Of Wayne) - "Cookie Jar"
12 Frank Turner - "The Quiet One"
13 Rocket From The Tombs - "In Pursuit Of Your Happiness"
14 Ben Kweller - "Wake Up Whispering"
15 Josh Rouse - "I Woke Up In The Mayflower"
16 Autumn Defense - "Paradise"
17 Hayden -"Happy Birthday Yesterday"
18 Juliana Hatfield - "We're Not In Charleston Anymore"
19 Mercury Rev - "Sailors And Animals"
20 Elvis Perkins - "She Watches Over Me"
21 Sean Watkins - "A World Away From This One"

Ciao My Shing Star esce in Europa il 29 Settembre

Blues Control - Local Flavor

Con un brano che si chiama Tangier ci ritroviamo come per incanto nell’interzona di Burroughs, e le nuove porte della percezione per i Blues Control si spalancano, grazie alla buona medicina.
Trasferitisi a Queens - base di rappers proletari ed area sensibilmente distante dal polmone artistoide di Brooklyn, Williamsburgh – i Blues Control fanno le cose dannatamente sul serio col nuovo Local Flavor licenziato da Siltbreeze. E’ un disco che si anima agli antipodi, mettendo in stretta relazione groove e minimalismo, ripetizione e coriaceo battito primordiale. E’ psichedelia di un altro mondo, perchè le chitarre non recitano stavolta la parte del leone, semmai sono i synth analogici a perpetuare il moto continuo unitamente ad una batteria che è – indovinate un po’? - assolutamente motorik.
Ma c’è anche un tentativo beffardo di produrre del boogie rock sui generis nella traccia d’apertura del disco Good Morning, dove ci sono anche i fiati degli ospiti Jesse Trbovich e Kurt Vile (uno dei più vezzeggiati freak songwriter d’America).
Solo quattro brani in questo disco ma – attenzione - la loro durata media non è certo da poco, si tratta di lunghe jam fatte di micromovimenti, impastate in un liquido appiccicoso, stranianti. Come ha scritto qualche giornalista americano una ripresa nemmeno troppo sospetta di Church of Anthrax dei benemeriti John Cale e Terry Riley, con un disturbato –quello sì – piglio rock.


Nuovo disco solista per Mark Eitzel


Ci sono due uomini che hanno profondamente rinnovato la tradizione della canzone d’autore americana, due songwriter che hanno percorso sentieri apparentemente scoscesi per regalarci gioielli ed interpretazioni di grande pregio. Entrambi si chiamano Mark: Kozelek con Red House Painters e Sun Kil Moon ha elevato la dimensione del sogno, Eitzel con American Music Club e poi in veste solista ha continuato ad alimentarlo. Una musica che riscopre il suo carattere ancestrale, affondando nella tradizione e mantenendo un gusto quasi etereo. "Klamath" è il disco che tutti i vecchi sostenitori si attendevano da Mark Eitzel, un lavoro che in nessuna maniera cedesse a tentazioni di ammodernamento, riportando tutto ad una dimensione più intimista. In poche parole il magnetismo della sua voce, una chitarra acustica ed una strumentazione davvero esigua di corredo, tanto basta ad immergersi in questa realtà parallela. "Klamath" è un fiume californiano, nei pressi di Happy Camp, un luogo di fuga per Mark tornato nella natia San Francisco dopo un tour estenuante con gli AMC. Proprio qui, in visita da amici, riscopre la naturalezza e l’immobilismo delle cose, iniziando un percorso che avrebbe portato alla finalizzazione dei nuovi brani. Gli impegni discografici prevedevano infatti un nuovo album con gli American Music Club, ma quello che verrà licenziato da Decor è in realtà un disco solista: nella visione di Mark non c’era spazio per l’elettricità e per le percussioni, il disco è lo specchio di uno spirito semplice come quello dell’autore. Le canzoni – pensate ed ideate in questo piccolo regno incontaminato della California del nord – verranno poi ultimate a San Francisco, tre mesi – tanto è bastato – per metterle completamente a fuoco. La produzione è dello stesso Eitzel e tra i pochi figuranti nel disco troviamo Franz Nicolay degli Hold Steady (al piano), Marc Capelle degli stessi American Music Club oltre a Dave Douglas (solitamente batterista aggregato alla crew di Kelley Stoltz). Quanto al mood del disco ovvio riconoscere quei tratti malinconici che da sempre hanno accompagnato il nostro, "Klamath" è una resurrezione quasi pastorale di quelle sonorità folk portate allo zenit da mostri sacri quali Nick Drake o John Martyn. Va detto anche che "Klamath" è un piccolo evento in sè, l’ultimo vagito solista del nostro risale infatti al 2001, quando pubblicò per Matador "Invisible Man", un disco invero bizzarro nella sua personale discografia. La reunion degli American Music Club nel 2003 - oltre ad esser stata una delle più attese di questo decennio – ha in qualche maniera ridisegnato le strategie di Eitzel, che oggi torna ad un impensabile livello di intensità, regalandoci uno spaccato di una rurale e misteriosa California.

26/08/09

Nuovo disco per gli Apse



L’autunno del 2007 ha rappresentato un’autentica svolta per gli americani Apse, non solo dal punto di vista artistico, ma anche da quello personale, con il trasferimento sulla quieta costa di Cape Cod, nel Massachusetts. Un cambiamento radicale per un gruppo che affondava le sue radici in una città urbana come Newtown, CT. Bobby e Michael, i membri fondatori sopravvissuti al cambio logistico, assoldano il poli-strumentista Jed Armour ed è poi lui ad introdurre il batterista Brandon Collins. Partecipano all’ormai mitologica rassegna ATP Vs. Pitchfork, con la stessa etichetta inglese siglano poi un importante contratto. Il primo frutto è la ripubblicazione del disco del 2006 "Spirit", meravigliosa occasione per scaldare gli animi, in attesa di un vero e proprio nuovo album, cui il gruppo ha dedicato una discreta fetta del 2008 oltre alla primissima parte del 2009. "Climb Up" è il risultato di una rigorosa applicazione, ed è ovviamente il disco più intenso e completo messo in circolo dal quartetto, ormai capace di liberare un magnetico indie-pop dalle innumerevoli sfaccettature, fossero romantiche o progressive poco importa, sono le canzoni a brillare di luce propria stavolta. "Climb Up" è stato registrato seguendo una metodologia casalinga, nessuna infiltrazione esterna, il gruppo ha investito sui moderni ritrovati tecnologici per realizzare un disco in piena intimità. Album che sembra abbracciare appieno la più sofisticata scuola wave britannica, tra soluzioni eteree ed imporvvisi passaggi in realtà profondamente oscuri. Non ci sono etichette che possano reggere il confronto, tecnicamente il gruppo vuole sfuggire i luoghi comuni dell’emisfero indie, per dedicarsi ad un suono dai tratti sì intimisti, ma anche profondamente groovy. Gli Apse vi chiedono in maniera molto gentile di abbandonarvi, di vivere il loro suono attraverso un’esperienza sensoriale, senza alcuna fretta. Sembrano con i loro brani congelare il momento, offrire una rivisitazione di quegli oscuri e trasognati luoghi rock battuti da eminenze grigie quali Mogwai, Sigur Ros o Godspeed You Black Emperor. Che i paragoni non diventino ingombranti però, la statura del gruppo è stata provata nel corso degli anni, dalla perfezione formale dei dischi alle sempre colorate apparizioni live. Esplorazione e coraggio caratterizzano il loro standard operativo, la dimensione del sogno rimane comunque la loro aspirazione più grande, nella subdola creazione di melodie fantasma.

Shrinebuilder


Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare… Quale migliore e tendenzioso biglietto da visita per un gruppo che ha in realtà tutte le caratteristiche della formazione stellare, nata certo con spirito cameratista ma capace di rappresentare una vera e propria summa dell’heavy music degli ultimi venti anni. E certamente non rischiamo di esagerare perché a guardarli in faccia i quattro mettono davvero paura, fotografati – quasi come condannati in attesa di giudizio – spalle al muro. In realtà siamo noi ad essere schienati, da una quasi mossa felina. Mai associata del resto tanta agilità e prontezza di riflessi ai canoni della musica estrema. Non una rivisitazione dell’hard dei seventies, nemmeno un metal dagli accenti proto-industriali e per dirla tutta non proprio un elogio della lentezza. La storia viene riscritta, ora. Si chiamano Shrinebuilder e Neurot è la loro casa. Andiamo con ordine e tracciamo l’identikit di questa lega di campioni: Al Cisneros - basso e voce - ha fatto la spola dagli Sleep agli Om, Wino – chitarra/voce - è un istituzione di quello che comodamente possiamo definire doom, avendo letto le potenzialità di questa musica attraverso le esperienze fondanti di Obsessed e Saint Vitus. Scott Kelly - chitarra/voce - è uno dei principali songwriter dei Neurosis mentre Dale Crover – batteria - è storicamente il motore dei Melvins. La somma delle parti è un ritratto di sconvolgente bellezza, nella misura in cui lo scibile della musica più pesante e psicotica si incrocia su di un’autostrada deserta. Accade di tutto in questi tumultuosi assaggi di apocalisse terreno, con Cisneros, Scott ‘Wino’ Weinrich e Kelly a scambiarsi ripetutamente il ruolo di cantante, rilasciando musiche sì lugubri ma dal profilo fondamentalmente progressivo. Sono cinque tracce dagli sviluppi imprevedibili a comporre il mosaico di questo omonimo album di debutto. Un disco realizzato nella più totale visione creativa, una jam tra uomini che hanno sempre reciprocamente apprezzato la propria opera. Una riunione di quelle memorabili, un convivio di stelle che plasma il rumore in un illusione quasi pittorica. Il respiro e l’eternità della musica heavy, quella senza etichette.

Vic Chesnutt - At The Cut

Nemmeno il tempo di celebrare la sua gioiosa collaborazione con Elf Power che il grande cantautore di Athens, Georgia, torna a scandagliare tra gli anfratti più oscuri del suo essere. Ripartendo proprio da quella collaborazione del 2007 a titolo North Star Deserter, che segnò l’ingresso nella scuderia Constellation oltre che l’avvincente intesa con gli eroi locali Thee Silver Mt. Zion., Vic Chesnutt si riscopre Caronte del nuovo folk rock imperversando con voce e liriche all’interno di un disco ancora una volta impeccabile. Con At The Cut è dunque ristabilito il contatto con la florida scena indipendente di Montreal, per un disco che sbaraglia la concorrenza dei più intellettuali cantautori contemporanei. Per Vic anche gli argomenti più spinosi sono all’ordine del giorno, autentico sopravvissuto – dall’età di 18 anni è su una sedia a rotelle a causa di un rovinoso incidente d’auto – conduce per mano l’ascoltatore, nel libro dei ricordi, parlando spesso anche del suo sud e dell’America del nuovo secolo. Il tutto con uno stile sempre romanzato, dove è un certo umanismo a prendere il sopravvento. Ballate dolenti ed arrangiamenti che spesso spostano l’attenzione verso un rock d’avanguardia, dai contorni ovviamente sfuggenti. Da una parte il fantasma del Dylan che raccoglieva le istantanee della polverosa America del dopoguerra, dall’altra lo spirito di un collettivo che ha portato l’elettricità a livelli di sublime intimismo. Il brano di apertura Coward era stato originariamente presentato alla Viennale Film Festival in occasione del lungometraggio presentato dal regista Jem Cohen, An Evening’s Twilight In Empires Of Tin. Da quella fruttuosa collaborazione l’omonimo dvd che ha introdotto Constellation al mondo della multimedialità. Le foto del lussuoso libretto di At The Cut sono opera dello stesso cineasta americano ed aggiungono una coltre di opaco romanticismo all’insieme. Sin d’ora il ritorno di fiamma tra l’uomo di Athens ed il collettivo del Quebec è destinato a segnare la seconda parte di questo 2009.

At The Cut Esce In Europa il 21 Settembre

Evangelista - Prince Of Truth

Con Prince Of Truth, Carla Bozulich firma il secondo album a nome Evangelista, portando questa esperienza ai vertici del suo spettro emozionale, grazie ad una forma scritta più coesa e ad un impatto lirico come sempre notevole. Curioso ed accidentato il percorso che ha portato a questo nuovo disco per la canadese Constellation, ormai divenuto indirizzo conosciuto per l’artista di base a Los Angeles. E’ infatti al celebre Hotel2Tango di Montreal – luogo di riferimento per buona parte degli artisti del roster – che si svolge una prima e fondamentale seduta, protagonisti i collaboratori che da diverso tempo a questa parte gravitano attorno al progetto Evangelista, formazione quanto meno aperta. I nomi sono quelli di Shahzad Ismaily, Lisa Gamble, Thierry Amar, Nadia Moss e Ches Smith (lo straordinario batterista che ha anche suonato con Marc Ribot e Secret Chiefs 3). Durante il secondo giorno le registrazioni assumono un tono drammatico, l’infezione alla gola contratta in tour da Carla si traduce ben presto in polmonite, con la cantante costretta a ritirarsi in California, con le tracce rudimentali di quello che poi diverrà Prince Of Truth. Quello che accade nei successivi due mesi è un puntualissimo lavoro di ricostruzione, partendo proprio da quelle sessions. Carla, Tara e Dominic lavorano così incessantemente alla post-produzione, con l’ingresso addizionale di celebrità locali quali Nels Cline (Wilco) e Jessica Patron. Quello che ne deriva è un ulteriore passo nel baratro del cantautorato più nero, con Carla che continua a proporsi come la più credibile risposta avantgarde allo smisurato genio poetico di una Patti Smith. Prince Of Truth è dunque un disco che fa secche tradizione e ricerca, in un continuum spazio-temporale che ripercorre oltre trent’anni di musica americana, dalla canzone di protesta al post-punk, fino a lambire le soglie del noise più sperimentale. Una delle interpreti più originali del nostro tempo, la Bozulich farà ancora venire la pelle d’oca a più di un religioso sostenitore.

Prince Of Truth Esce In Europa il 5 Ottobre

Hyperdub 5 Years Of Low End Contagion

Tempo di celebrazioni per una delle correnti underground più rivoluzionarie e in voga al momento. Il suono di Londra sud o anche la moderna rivisitazione del drum’n’bass, in rotta verso dimensioni futuriste. Impossibile trascurare l’impatto sul mercato elettronico da parte di Hyperdub, marchio che simbolicamente rappresenta l’evoluzione più alta di questa ‘specie’ musicale. Cinque anni di devota attività che hanno messo a soqquadro gli ambienti più propensi al cambiamento, un cast di artisti impareggiabili ed un sinonimo di qualità riconosciuto a livello internazionale. Tra passato, presente e futuro la doppia raccolta messa in cantiere da Hyperdub vuole attraversare in lungo e in largo la scena dubstep, mettendo addirittura in fila talenti d’oltreoceano (si guardi al caso del californiano Flying Lotus). Un primo cd con i pezzi che hanno fatto la storia recente del genere, alcuni già esclusiva della stessa label londinese.
Poi un secondo cd completamente inedito, tra anticipazioni e brani che segneranno il passo nella nuova stagione del dancefloor. La star di casa – Burial - ci regala addirittura un brano inedito; poi i remix esclusivi di Bug con il featuring di Warrior Queen, un remix incredibile di Ghost Town degli Specials curato da Kode 9 & The Spaceape e nuove stellari proposte da parte degli astri del dopo-rave come Zomby e Quarta 330.
Le musiche di domani passano necessariamente di qui.

TRACKLISTING:
CD 1
King Midas Sound - 'Meltdown'
Kode9 & The Spaceape ft. Cha Cha - 'Time Patrol'
Darkstar - 'Aidy’s Girl's A Computer'
Samiyam - 'Roller Skates'
Flying Lotus - 'Disco Balls'
Black Chow - 'Purple Smoke'
Cooly G - 'Weekend Fly'
Burial - ‘Fostercare’
Zomby - 'Tarantula'
Martyn - 'Mega Drive Generation'
LV ft. Dandelion - 'Turn Away'
Mala - 'Level Nine'
LD - 'Shake It'
Quarta 330 - 'Bleeps From Outer Space'
Ikonika - 'Sahara Michael'
Joker & Ginz - 'Stash'
CD 2
Kode9 - '9 Samurai'
Burial - 'South London Boroughs'
Kode9 & LD - 'Bad'
The Bug ft. Warrior Queen - 'Money Honey' [ rmx ]
LV ft. Erol Bellot - 'Globetrotting'
Burial - 'Distant Lights'
The Specials - 'Ghost Town' [ Kode9 & The Spaceape version ]
Kode9 & The Spaceape - 'Fukkaz'
Samiyam - 'Return'
Darkstar - 'Need You'
Zomby - 'Spliff Dub' [ Rustie rmx ]
Ikonika - 'Please'
Zomby - 'Kaliko'
2000F & J Kamata – ‘You Don't Know What Love Is’
Joker – ‘Digidesign’
Quarta 330 - '9 Samurai’ [ Quarta 330 rmx ]

25/08/09

Themselves - CrownsDown

Sette vite come i gatti ed un’ispirazione lungi dall’esaurirsi, questo l’elisir di lunga vita per Themselves, la sigla con la quale da tempo Doseone e Jel (già in organici seminali come Subtle, Clouddead e Deep Puddle) continuano a navigare gli angusti mari del più ricercato hip-hop bianco.
Inequivocabilmente legati al marchio Anticon, tagliano con CrownsDown il traguardo del terzo album, gestendo un importante patrimonio ritmico oltre alla scelta sempre puntuale delle rime. Un processo in qualche maniera influenzato dai numerosi ascolti adolescenziali dei nostri, che del rap hanno sempre apprezzato la propensione al cut up e la relativa ri-organizzazione tematica. Non a caso Gang Starr, Ultramagnetic Mc’s e Public Enemy, rimangono gli altisonanti nomi cui guardare, da una nuova e moderna prospettiva. Ovvio, l’introduzione di sempre più sofisticate macchine e campionatori ha ormai rivoluzionato l’idea stessa di sample, ma la qualità per cui Themselves brillano è proprio l’innata spinta ad unificare i sentieri della musica ritmica con quelli del più astuto indie-rock. CrownsDown è così un autentico show, plasmato su ritmi urgenti e rime mai didascaliche, il crocevia tra la musica di ieri, oggi e domani. Un dedalo di riferimenti: dal rapping di Kool Keith a citazioni sparse di X-Clan e Bomb Squad, tanto per ribadire che la old school è sempre in agguato dietro l’angolo. Poi gli ospiti a dar lustro all’ennesima prova sopra le righe: Markus Acher dei Notwist, Pedestrain (un altro della famiglia, che co-edita Back II Burn) e D-Styles (turntablist di origini filippine ormai noto in tutto il mondo). Che in casa Anticon la fiamma dell’avant-hop fosse lungi dall’esaurirsi era ben noto, ora Themselves ci dicono che la continuità si trova ancora nel beat e nella parola, come se la New York di fine ’70 tornasse in un noir fantascientifico e melodrammatico.

Eagle Twin



Considerare Southern Lord come una famiglia mansoniana non è poi così eufemistico, i progetti ideati e consumati all’ombra dell’etichetta di Seattle assumono sempre di più le forme di una ramificazione culturale, con le parentele di rito. Eagle Twin non è che l’ennesimo progetto messo in piedi da un proverbiale ricercatore del suono come Gentry Densley, già mente del collettivo rock sperimentale Iceburn e recente collaboratore di Greg Anderson nell’epico debutto di Ascend. Messe da parte le evoluzioni sperimentali e l’attitudine verosimilmente jazz rock del gruppo madre, Densley plasma un concetto inedito di heavy music, pareggiando per intensità alcune delle più lungimiranti realtà del rock duro contemporaneo: Sunn O))) ed Earth, non a caso compagni di scuderia. La chitarra di Gentry è compressa, un suono quasi baritonale che avvolge in maniera disumana questo mostro a due teste dal nome Eagle Twin. L’altro terminale è il batterista Tyler Smith, il cui stile si basa su pattern ripetitivi, capaci di creare un sottofondo quasi mistico alle evoluzioni di Eagle Twin. Accentuate anche dal timbro bluesy di Densley, un vocalist per di più affascinato dalle tecniche Tuva. The Unkindness of Crows è così un disco dai riferimenti ancestrali, un moderno rock duro per le masse, inteso come terapia d’urto per i palati più sopraffini. Riff tellurici che vi faranno ricredere sullo stato di salute del più estremo rock chitarristico, pulsioni esoteriche ed un battito rutilante che apre le porte ad una danza pagana.
Registrato dall’uomo-simbolo Randall Dunn (Earth, Sunn 0))), Kinski, Ascend) in quel di Seattle, il debutto di Eagle Twin è la battaglia cinematica della stagione, un lungometraggio nero pece che certo stuzzicherà la fantasia dei più attenti osservatori del moderno doom metal.

Andrew WK - 55 Cadillac

Uomo-multiplo da tempo residente sulla costa Est degli Stati Uniti, Andrew WK sembra vestire un abito per ogni occasione. Dai grattacieli di New York il suo scimmiottamento dell'hard rock da stadio è arrivato in mezzo mondo. Iconografia da metallaro anni '80, di bianco vestito, Andrew oltre a scuotere le radio FM ha fatto breccia nell'immaginario di numerosi adolescenti. Ma parliamo di un genio incontenibile, un personaggio che ha passato gli anni della high school bazzicando personaggi poco raccomandabili come i Wolf Eyes. Una figura talmente poliedrica da collaborare a brevissima distanza di tempo coi Current 93 di David Tibet - nell'inedito ruolo di bassista - e con Lee Perry (nella più logica figura di produttore).

Credevate che la volontà di stupire di Andrew, ora elegantissimo uomo in nero con anche il vezzo del presentatore della tv via cavo, potesse essere arginata?
Eccovi la riprova ulteriore che un talento nato non conosce gabbia e la sua anarcoide immaginazione può ancora librarsi, impertinente.
Il primo disco strumentale di Andrew Wk è una malsana opera classica, proprio la cosa più distante potevate attendervi da un rocker incallito. Un disco di solo piano - 55 Cadillac - che può ispirarsi distantemente all'epopea di Satie e a certo pianismo ragtime, ma che in realtà vuole essere un vero e proprio attentato sensitivo alla più classica accademia.

Il cd esce per Skyscraper Music Maker, mentre il vinile limitato (copertina apribile e vinile pesante per i veri patiti dell'oggetto) sarà pubblicato dalla Ecstatic Peace! di Thruston Moore.

Una nuova sfida ed ancora un bagaglio fatto di mille curiosità per questo agitatore ormai approdato ai quartieri alti della cultura pop americana.


Japandroids


Le tortuose strade del rock in bassa fedeltà ci portano stavolta a Vancouver, BC. Japandroids (o meglio, JPNDRDS) sono un chiacchieratissimo duo che ha già infiammato gli animi dei numerosi fruitori di stretta osservanza indie. "Post Nothing" - album pubblicato da Polyvinyl in una delle estati più torride che uomo ricordi - è uno di quei biglietti da visita che difficilmente potrete snobbare. Si dice che tre sia il numero perfetto, tanto che con il sopraggiungere della terza prova sulla lunga distanza i Japandroids stanno per abbandonare definitivamente la confortante posizione di cult band, per concedersi all'abbraccio di un pubblico più ampio ed opportunamente distributito su tutto il territorio statunitense. Una chitarra ed una batteria, oltre a due voci seppellite da un muro di elettricità, tanto basta a creare la dimensione di un nuovo e spastico rock'n'roll, che potremmo codificare in maniera risolutiva come garage. Ma c'è molto di più, ovviamente. A ben scavare il suono del duo è un surrogato di oltre trent'anni in musica: esperienze diverse come la grande stagione del college-rock, il post-punk e le sue più virulente diramazioni noise, la tenerezza del lo-fi e chissà quanto altro. Una maratona strutturale tanto pop quanto hardcore, adolescenza persa e ritrovata. Sulla stregua del buzz suscitato dai No Age, i Japandroids sono pronti a conquistare una bella fetta di mercato, sospinti anche dall'interesse dei media che contano come Pitchfork e addirittura Spin.

24/08/09

Tornano i Fuck Buttons



Chi scommetteva su una svolta indie-dance per gli inglesi Fuck Buttons certo avrà di che rallegrarsi di fronte alla loro nuova creazione, in rampa di lancio per i primi giorni di ottobre e a titolo ‘Tarot Sport’. Si rinnova il sodalizio con ATP Recordings, che anticipa le mosse pubblicando in settembre il primo singolo estratto - ‘Surf Solar’- preludio anche ad una serie di esibizioni strategiche programmate su tutto il vecchio continente.

Andrew Hung e Benjamin John Power hanno registrato ‘Tarot Sport’ presso i Rotters Golf Club Studios di Londra, nuovo quartiere generale per una delle figure di punta della dance più trasversale britannica, quell’Andrew Weatherall che prima con Sabres Of Paradise e poi con Two Lone Swordsmen ha ridefinito il centro nevralgico dell’elettronica inglese. E’ in pratica una collaborazione che si rinnova, anche se estesa al formato Lp, già Weatherall aveva remixato la loro Sweet Love For Planet Earth, anticipando in buona misura l’imminente cambio di direzione. Weatherall che ha spesso associato il suo nome a capisaldi del rock made in England – si pensi al miracolo compiuto con Screamadelica dei Primal Scream, un disco che avrebbe posto gli standard per tanta musica a venire – non fa altro che ampliare l’estetica sperimentale del gruppo, facente perno ora sua un solerte groove psichedelico, che rimuove la patina severa di deriva post industriale del recente passato.
Se i Fuck Buttons degli esordi dovevano qualcosa ai Boredoms della svolta spacey come agli stessi figliol prodighi Black Dice, ora il duo può recriminare una posizione di assoluto rilievo nell’ambito della più tribale e ricercata musica generata da ‘congegni’ elettronici. Che nel loro caso prevede un armamentario prettamente analogico, con macchine d’antan e singolari interventi percussivi. Sono sette trace che rivelano una nuova complessità, laddove però il groove non è mai accantonato e rimane parte integrante nello sviluppo dei brani. E’ una nuova esperienza, in tutti i sensi.. Lo stesso Power dice del disco: “Penso che il sound sia più denso rispetto ai precedenti lavori….i nostri cervelli sono andati letteralmente in panne”

Quando si è soliti parlare di esperienze extra-sensoriali…

Tarot Sport uscirà il 12 Ottobre e la band sarà in Italia per promuoverlo in queste date:

19 ott Circolo degli Artisti Roma


20 ott Spazio 211 Torino

Luke Vibert - We Hear You


Luke Vibert torna con un album a suo nome, ed è pronto a stupire i più incalliti sostenitori con un disco che continua a fugare le più ovvie aspettative. Non propriamente un compendio stilistico, nè tanto meno un riassunto delle puntate precedenti. Troppo facile per l'uomo che ha attraversato in lungo e in largo l'emisfero elettronico, toccando il downtempo e l'acid house, firmando un capolavoro del drum'n'bass con l'acronimo di Plug e regalando ai più esperti collezionisti anche una raccolta di nuggets elettronici. Da Wagon Christ a Kerrier District, passando per l'esagitato alter ego Amen Andrews (con il quale ha inciso per la Rephlex di un fratello spirituale quale Aphex Twin) ed il disco tagliato a 4 mani con un pioniere quale Jean Jacques Perry, Vibert non si è mai ripetuto, facendo del suo approccio al dancefloor una questione quanto meno trasversale e poliedrica.
E We Hear You - fuori su Planet Mu - rischia davvero di essere uno dei suoi album migliori, per la lucidità con cui tutti gli elementi collimano, in una serie di fuochi pirotecnici che lasciano davvero poco al caso. E Vibert fa le cose davvero in grande: De-pimp Act ad esempio connette Terry Riley, il dubstep e l'hip hop con una leggerezza tale da far sembrare la pratica cosa da tutti i giorni. Di contro ci sono tracce come Hot Sick e Square Footage che assomigliano ad un distillato dei più reconditi sogni dei Daft Punk. E ancora Dive and Lie Wrecked, che sembra un omaggio al 2-step, con una peccaminosa melodia G-funk.
Un mago della consolle ed un artista comunque dotato di un gusto pazzesco, così Luke Vibert si ripresenta in scena, quando il nostro orologio punta deciso verso il 2010.

05/08/09

Andrew Morgan


Probabilmente vi siete già imbattuti in Andrew Morgan al tempo del suo debutto per Broken Horse, risalente al 2004. "Misadventures In Radiology" è stato registrato presso il New Monkey studio di Los Angeles, grazie all’intermediazione del compianto Elliott Smith, cui avanzavano delle ore di registrazione già abbondantemente pagate dalla sua casa discografica. Tra gli ospiti di punta di quel disco John McMahon, violoncellista celebre per aver apportato tocchi di romantico neo-classicismo alla musica di Built To Spill. Per il suo ritorno in scena Andrew non va troppo per il sottile, presentandosi addirittura con un doppio album: "Please Kid, Remember/Victory In Passing". Un parto gemellare, che esalta ancor di più le doti di arrangiatore e scrittore del musicista di Kansas City, alimentando ulteriormente il sogno di una canzone eterea, a tratti impalpabile. La definizione di pop cameristico è quella che più si addice alla musica del nostro, una sospesa dimensione acustica in cui l’intervento degli archi è spesso determinante. L’utilizzo di un gran piano, del contrabbasso, di un harmonium ereditato dallo stesso Elliott Smith (a quanto dicono voci ben informate), di un arpa, dei timpani e del glockenspiel rendono l’atmosfera ancor più ovattata e classica, una sorta di folk moderno immerso in profondità oceaniche, con la voce di Morgan quasi eterno sospiro. Sono stati fatti addirittura paragoni coi The Zombies di “Odessey & Oracle” ed il Badly Drawn Boy di “The Hour Of The Bewilderbeast” per porre dei confini noti alla musica di questo emergente chansonnier. Noi potremmo tirare in ballo il vago sapore lisergico dei tardi Beatles, che come un ombra aleggia sul doppio disco. Pop acustico, raffinato, una nuova alba per Andrew Morgan che già concorre ad occupare un ruolo di primissimo piano tra gli autori indipendenti più in vista di questo 2009, sia oltreoceano che nel Regno Unito, dove è stato già più volte incensato dal magazine Uncut.

04/08/09

Navvy



I tipi di Angular hanno l’occhio lungo, figurandosi sempre un personale hype con nevralgico anticipo sui tempi, hanno fatto di numerose sensazioni pop autentiche star da Top of the Pops. E l’istinto, unito alla proverbiale capacità nello scouting, non sembrano abbandonare l’etichetta inglese, la cui nuova scommessa si chiama Navvy. Spesso gli annunci sono appesi fuori ai negozi di dischi o come usava un tempo alla high school, i 4 ragazzi di Sheffield invece si sono conosciuti in una lavanderia, ideale luogo complementare alla vita da single. Non è la prima esperienza musicale dei quattro, che da giovanissimi avevano esordito con misconosciute formazioni locali come Texas Pete, Theory e Wisconsin Death Trip. Le fonti di ispirazione per questo spiritato indie-power pop sono molteplici e non si parla esclusivamente di musica, ma anche di vita di tutti giorni. L’idea del gruppo venne a Keith – il maggiore songwriter della band – che volle porre l’accento su uno stile a tratti ‘mondano’. Ci sono chitarre squisitamente punk, come potevano esserle quelle dei Buzzcocks a inizio carriera, e ci sono chiari elementi della stagione d’oro del brit-pop. L’attitudine rigorosamente sopra le righe dei Fall di Mark E. Smith, l’estro rudimentale degli Swell Maps, i Wire altezza secondo album e ancora tante libere citazioni di gruppi prevalentemente al femminile come Essential Logic, Kleenex, Raincoats e Slits. Non ci si annoia di certo ad ascoltare queste frizzanti invettive sul modern world (per dirla con Paul Weller), sono 13 brani, tutti potenziali hit-singles alternativi. Il disco si chiama "Idyll Intangibile "e con una certa veemenza arriverà ad occupare la vostra playlist autunnale.