31/07/08

Offend who??!




E’ difficile pensare ad un gruppo che allo stesso tempo possa rappresentare i due logici estremi della popolazione indie. Eppure il magnetismo dei californiani Deerhoof è incontestabile. Fanno parte di una categoria a sé stante, quella delle mosche bianche. Sono comprimari più o meno prossimi dei grandi They Might Be Giants e forse – più logicamente – degli Heavy Vegetable (altri californiani, stavolta di San Diego) di Rob Crow. La storia dei nostri ha inizio in quel di San Francisco, prima di essere adocchiati da Kill Rock Stars, con una serie di singoli che inscenano uno schizofrenico pop industriale. E’ un assaggio di quello che arriverà in seguito. Si affinano le doti tecniche, il loro songwriting diviene un gioco a incastri sublime: scelleratezza sixties pop e progressioni matematiche. Responsabile della sbandata ‘strumentale’ John Dieterich, che dopo essersi diviso tra Colossamite e Gorge Trio, sa in che luoghi mistici trasportare la sua chitarra. Diviene questi l’anima progressiva del gruppo, che fa da contraltare alla squisita voce della nipponica Satomi Matsuzaki (ora in pianta stabile al basso elettrico) ed alla batteria dello spiritato Greg Saunier. I Deerhoof di "Offend Maggie", il loro nuovo album in uscita ai primi di ottobre, sono ora un quartetto, registrato il subentro di Ed Rodriguez, altra vecchia conoscenza del più ricercato underground americano (Colossamite, Gorge Trio, Iceburn e Flying Luttenbachers). L’elemento non è di disturbo, tanto che la marcia di avvicinamento verso un’essenzialità pop trova ulteriore riscontro in questa ennesima fatica. Pur mantenendo tutta la tensione del caso i Deerhoof sembrano attestarsi sull’andatura bridge-chorus-bridge per mettere a segno spasmodici colpi al cuore dei più smaliziati indie-rockers. In sottofondo può accadere di tutto nel frattempo: un riff rubato agli AC/DC, un accenno di ballata barocca che fa molto Francia e Serge Gainsbourg, una serpentina math-rock e qualche genuina e corroborante protesi garage. Ma il tutto è più ordinato, favorito da una cristallina produzione e dalla voce di Satomi che oggi si ritaglia uno spazio importante, rinunciando in maniera pressoché definitiva agli sberleffi che spesso ne avevano colorato le prove precedenti. C’è un gruppo che lavora ad unico obiettivo, senza però nascondersi dietro il muro della banalità, favorendo sempre quella creatività e quell’ispirazione artistoide che sono cifra stilistica determinante. Un’originalità guadagnata sul campo, tanto che il numero di pubblicazioni tra album estesi e piccole release diviene incalcolabile. Saper stupire ad ogni chiaro di luna non è argomento trascurabile, nella San Francisco dei Deerhoof il forte vento del rinnovamento soffia, in continuazione.

29/07/08

DAVID BYRNE "Big Love: Hymnal"



Non è nuovo l’ex leader dei Talking Heads a produzioni dal carattere estemporaneo.
Da sempre il musicista americano si è distinto in composizioni destinate a piece teatrali e nell’organizzazione di originali colonne sonore. Unitamente alla passione per la world music – ricordiamo sempre con estremo piacere la sua label Luaka Bop – David Byrne ha sempre saputo fronteggiare l’universo musicale con lo spirito del ricercatore globale.

Una nuova sfida all’orizzonte si materializza con lo score della seconda serie televisiva Big Love (la prima fu affidata alla vecchia volpe Mark Mothersbaugh dei Devo), fiction accolta da un successo esponenziale in patria, anche per l’impiego di star hollywoodiane come Tom Hanks, Chloe Sevigny ed Harry Dean Stanton. Non fa segreto dei suoi contenuti la serie, essendo incentrata sulle vicende di una famiglia di mormoni, guidata dall’attore protagonista Bill Paxton (che veste i panni di Bill Henrickson), abile nel fronteggiare la sua relazione poligama con 3 mogli e ben 7 figli, nel classico scenario di Salt Lake City, Utah, città natale e manifesto dell'intero credo.

Nemmeno Byrne vuole uscire dal seminato, tanto da preparare le musiche per Big Love con attenzione certosina, impiegando la bellezza di un intero anno solare. Proprio agli inni chiesastici mormoni cerca di ispirarsi il nostro, cercando di ricreare atmosfere e sonorizzazioni prossime alla natura della pellicola. L’idea è in realtà ancor più geniale, perché quello che ha inteso costruire Byrne è una vera è propria library, cui i produttori della serie potessero attingere liberamente, pur adoperandosi in revisioni in corso d’opera. Per nulla spaventato dai tagli della post-produzione David cerca di consegnare quanto più materiale possibile, cercando di rispettare le esigenze di copione. Ne viene fuori un commento dai toni spesso soffusi, in cui gli arrangiamenti d’archi ed il piano hanno un ruolo determinante. Una musica che presuppone un forte legame con la tradizione neo-classica, in una rivisitazione della più comune scrittura cameristica. Ed anche in questo campo Byrne sembra non avere timori reverenziali, sciorinando un lessico di tutto rispetto ed integrando queste ancestrali atmosfere con accorgimenti pop e sottigliezze jazz. Un’altra opera magistrale che indica la completezza dell’artista, uno dei capisaldi dell’emisfero pop contemporaneo tutto.

One Little Plane "Until"



Per l’etichetta Text Records di Kieran Hebden/Four Tet, lo splendido debutto di questa cantautrice originaria di Chicago (ora d’adozione londinese), presa tra la sacra passione per il folk inglese di tardi’60/inizio ’70 e moderni arrangiamenti in salsa elettronica.

Il disco prodotto dallo stesso Kieran Hebden è una raccolta di canzoni soavi che forniscono un’ulteriore idea sul concetto di folktronica.

Per fan di Cat Power, Bat for Lashes, Beth Orton e Feist.


28/07/08

Oneida "Preteen Weaponry"



Esce il 25 Agosto il nuovo lavoro della band di Brooklyn, Prima parte del trittico a titolo "Thank Your Parents", di cui "Preteen Weaponry" rappresenta il benaugurante primo sforzo.

Quasi interamente strumentale il disco ci ricorda le performance live degli Oneida, spesso divise tra sublime e brutale. Momenti improvvisati e partiture più rifinite fanno da corollario a questo mastodontico rock minimalista, come se Terry Riley incontrasse gli Stooges ed i Sucide a colazione.

Scarica un brano tratto dall'album da questo link

25/07/08

Roses Kings Castles



Uscirà a fine settembre l'album omonimo dei Roses Kings Castles, side project di Adam Ficek dei Babyshambles. Si tratta di un acoustic pop ala maniera dei Belle & Sebastian.

24/07/08

Straight Outta Compton



Un lavoro definitivo che presenta gran parte dell’opera omnia di Arabian Prince, autentico prime-mover della scena black americana. Produttore e dj attivo sulla costa occidentale a partire dalla prima metà degli anni ’80, Arabian Prince – oltre ad essere annoverato tra i membri fondatori della storica crew degli N.W.A.(sue alcune delle magistrali invenzioni da studio concepite con un giovanissimo Dr. Dre proprio ai tempi di ‘Straight Outta Compton’) – verrà ricordato per la debordante produzione del classico Supersonic, firmato da JJ Fad, riempi pista e discreto successo nelle charts specializzate d’epoca.
Innovatore nella locale scena west-coast, Arabian Prince (nato Mik Lezan ) muove i suoi primi passi quasi in contemporanea con istituzioni del calibro di Egyptian Lover e World Class Wreckin Cru.
Innovative Life è il titolo di questa raccolta che sin dal titolo evidenzia lo status dell’autore: la fase di transizione electro e l’approdo sfavillante nei lidi dell’hip hop losangeleno, in un’antologia che copre l’intenso quinquennio 1984-1989. 12 brani che toccano tutti i possibili scenari dell’universo rap e non, riportando alla luce il fine lavoro dietro al banco di regia del nostro, attualmente ancora inattività. Da segnalare infatti un suo 12 pollici per etichetta Clone, marchio olandese specializzato in electro e derivati creativi, ed il contributo alla raccolta Chrome Children edita dalla stessa Stones Throw


23/07/08

Mercury Music Prize 2008



Burial "Untrue" (Hyperdub) e Neon Neon "Stainless Style (Lex Records) sono tra i candidati del prestigioso premio britannico. Questa la lista completa delle nomination:

Adele - 19
British Sea Power - Do You Like Rock Music?
Burial - Untrue
Elbow - The Seldom Seen Kid
Estelle - Shine
Laura Marling - Alas I Cannot Swim
Neon Neon - Stainless Style
Portico Quartet - Knee-Deep in the North Sea
Rachel Unthank & The Winterset - The Bairns
Radiohead - In Rainbows
Robert Plant & Alison Krauss - Raising Sand
The Last Shadow Puppets - The Age of the Understatement

22/07/08

Don Letts vs. Greensleeves Records




Esce il 25 Agosto il percorso stilistico musicale di Don Letts, eminenza grigia del reggae britannico, filmaker per i Clash, storico dj del Roxi Club di Londra (circa 1977), trait d'union tra due culture ribelli (punk e rasta) e partner in crime di Mick Jones per il progetto Big Audio Dinamite.
30 anni di storia che colgono praticamente tutte le sfumature della musica jamaicana, dal roots al dancehall.

CD1
1.War - Wailing Souls
2.Wa Do Dem - Eek-A-Mouse
3.Mary Long Tongue - Barrington Levy
4.River Jordan - Ranking Joe
5.She Loves Me Now - Beres Hammond
6.How The West Was Won - Toyan
7.Fally Ranking - Johnny Osbourne
8.Bone Connection - Nicodemus
9.Love Tickles Like Magic - Junior Delgado
10.Diseases - Michigan & Smiley
11.Poor And Humble - Wayne Wade
12.None A Jah Children - Ras Michael & The Sons Of Negus
13.Lets Get Started - Te-Track
14.Where Is Jah - Reggae Regulars
15. King Tubbys Meets Rockers Uptown – Augustus Pablo

CD2
1. Under Me Sleng Teng - Wayne Smith
2. Pass The Tu Sheng Peng - Frankie Paul
3. Pirates Anthem - Home T, Cocoa Tea & Shabba Ranks
4. Mind Yu Dis - Gregory Isaacs
5. Oh Carolina – Shaggy
6. Twice My Age - Krystal & Shabba Ranks
7. Heads High - Mr. Vegas
8. Who Am I - Beenie Man
9. Rumours - Gregory Isaacs
10. Under Me Sensi – Alozade & Hollow Point Feat. Mr. Vegas
11. Rub A Dub Wi Want - Shaggy
12. No Letting Go - Wayne Wonder
13. Elephant Message - Elephant Man
14. Sufferer - Bounty Killer
15. Love Is Divine - Sizzla

18/07/08

Joan Of Arc


"Boo Human!" si presenta come l’album più ambizioso mai realizzato dai fratelli Tim e Mike Kinsella, entrati d’ufficio nel novero delle indie band americane più influenti dell’ultimo decennio. Capaci di sviluppare un sound che partendo dalle asperità post-punk dei loro esordi – ricordiamo i fondamentali Cap’n’Jazz dalle cui ceneri nacquero anche i Promise Ring – incontrava le evoluzioni strumentali del migliore post rock, i Joan Of Arc si sono progressivamente avvicinati ad una forma di cantautorato colto, che ne ha contraddistinto le ultime prove da studio.
Per il nuovo album – pubblicato sotto l’egida di Polyvinyl – cambia anche il metodo di incisione: lo studio di registrazione viene occupato per una settimana intera con un manipolo di canzoni già pronte ed altrettante destinate ad esser plasmate. C’è ampio spazio dunque per l’ingresso di collaboratori esterni, che entrano di soppiatto nella ‘sceneggiatura’ del disco, alimentando dunque il carattere variabile dell’opera, che si presenta come tra le più sfaccettate nella già folta discografia della band.
Combinazioni inedite per ben 14 musicisti che entrano di volta in campo, mettendo a servizio il loro background per un’opera che definiamo eclettica ed eterogenea per antonomasia. Collaboratori di Wilco, Iron & Wine, Bonnie Prince Billy, Beth Orton e Prefuse 73 apportano esperienza e statura ad un lavoro che riesce a mostrasi intenso ed intimo nella stessa misura.
Un collage di idee, un corollario di esperienze. Un album intriso di poesia, arricchito da folte trame strumentali, arrangiamenti elettro-acustici e ritmi sincopati. E’ il loro album migliore dai tempi di How Memory Works, un distillato di songwrting eccelso ed al servizio della più gioiosa e raffinata materia pop.

COPERTINA DEDICATA E LUNGO ARTICOLO RETROSPETTIVO SUL NUMERO DI LUGLIO DI ROCKERILLA

“TIM KINSELLA PIAZZA IL COLPO DI CODA DEL CAMPIONE. CON I FEDELISSIMI DI SEMPRE E COLLABORATORI ATTUALI E PASSATI(IRON & WINE, PREFUSE 73, BONNIE PRINCE BILLY) IL NOSTRO METTE IN FILA ALTRI QUARANTA MINUTI INTENSI E RIGENERANTI…CON TESTI A TRATTI BRILLANTI E ATMOSFERE ANCHE PIU’ ATTUALI DI QUANTO CI SI ASPETTASSE.COMPLIMENTI”
(VOTO 8 RUMORE LUGLIO/AGOSTO)


16/07/08

Dusk + Blackdown



Muta ancora il corpo di quello che ad oggi continuiamo – ostinatamente - a chiamare dubstep, non più una nicchia di settore bensì un luogo di partenza per evoluzioni e soluzioni musicali di rango. Margins Music è l’album di debutto del duo di produttori londinesi Dan Frampton e Martin Clark. Per gli addetti ai lavori sono Dusk & Blackdown, una sigla da mandare a memoria più facilmente. Dopo la solita gavetta costellata da una manciata di dodici pollici pubblicati per la personale Keysound Recordings, arriva l’esordio sulla lunga distanza con Margins Music, titolo che non lascia dubbi sull’attitudine ‘cosmopolita’ del gruppo. Fortemente ancorati al suono londinese, Dusk & Blackdown vanno ben oltre le credenziali del grime o del dubstep, perché della propria città catturano gli umori più underground, quelli che danno vita ad una sorta di world music futurista suggellata dai ritmi in levare. Spezie e aromi di estremo oriente ed India, nelle tracce del disco, a suggellare una nuova spiritualità ed ispirazione stilistica, con voci che arrivano dalla Mecca o da qualche lontano mercato delle pulci.
Un disco che a suo modo parla della diversità della città londinese, piena di mille contraddizioni eppure capace di ispirare un sensibile scatto artistico. Un misto di familiarità ed incertezza, che sembra essere il tema portante di questi brani: sospesi tra soffici ritmi 2-step, campionamenti di voci asiatiche, line di basso intimidatorie e violini che sanno anche di est Europa. Lo stesso processo che ha portato Burial a ridefinire il formato canzone attraverso le architetture ritmiche del dubstep.
Un disco globale che incorpora disparate influenze: dall’hip-hop inglese ai cosiddetti desi beats, da Bollywood al garage passando per ragga e grime.
Tra gli ospiti segnaliamo Target con il Roll Deep Entourage, Farrah, Trim e Durrty Goodz.
Martin Clark (in arte Blackdown) è da tempo uno dei protagonisti della scena britannica, tanto che la sua collaborazione con il magazine on-line americano Pitchfork - The Month In: Grime/Dubstep – ha preparato il terreno ad una vera è propria invasione transoceanica.

Non solo lame affilate nelle notti londinesi, ma anche un urlo di libertà che passa attraverso le oscure tessiture ritmiche di questo duo.


Heavy Zoo



BEEHOOVER
"Heavy Zoo"
Exile on Mainstream

Questo è il secondo album per la formazione stoner-rock tedesca, la prova del nove se si pensa a tutte le ottime critiche ricevute dal debutto "The Sun Behind The Dustbin". Nonostante la formazione in duo - Ingmar Petersen (voce, basso) e Claus-Peter Hamisch (batteria, voce) – la band riesce a sviluppare una potenza di fuoco impressionante, chiamando a sé i migliori elementi del doom-rock, del post-core e dell’alternative-rock di marca SST. Dopo aver spopolato nei tour con Hidden Hand e Stinking Lizaveta hanno ricevuto l’abbraccio di tutto il pubblico continentale nell’ormai mitologico festival hard olandese Roadburn. Impressionanti su disco i Beehoover incontrano infatti la loro dimensione naturale su di un palco e – nonostante la strumentazione stringata - i risultati hanno sempre del miracoloso. Ancora più ricco "Heavy Zoo", che all’avveniristico biker rock del debutto somma un’eccezionale propensione ritmica, in squarci di algebra da dopo-heavy metal. Evidenti anche gli elementi per così dire sciamanici e psichedelici che con impressionante regolarità forniscono una dimensione ancora più conturbante ai loop eterni di basso distorto e batteria. Progressivi eppur sempre legati ad un’originale idea di wall of sound, i Beehoover sono anche stati protagonisti del Blisstrain, uno show itinerante che li ha visti sul palco assieme ad altri compagni di scuderia come We Insist!, End Of Level Boss, A Whisper In The Noise e Dyse. Sperando di vederli presto dal vivo anche in Italia, queste sono le loro prossime date in Europa, si sa mai che qualcuno se li possa gustare durante una serata di vacanza:

18 agosto Leipzig (GER) - UT Connewitz [w/ Neurosis]

29 agosto Cammer (GER) - South of Mainstream Festival

11 settembre Paris (FRA) - La Mécanique Ondulatoire

20 settembre Erfurt (GER) - Stoner Hands of Doom Festival

15/07/08

Ascend



Gentry Densley e Greg Anderson hanno ripetutamente incrociato le loro strade negli ultimi 15 anni. Entrambi originari di Seattle hanno contribuito con i rispettivi gruppi – Iceburn per Densley ed Engine Kid per Anderson – non solo a rinnovare la stantia scena grunge del Northwest, ma a ricreare fondamenta sperimentali in generi asfittici come l’heavy metal e l’hardcore. Per Anderson il capolavoro è riuscito doppiamente, essendo divenuto una delle menti dietro al progetto Sunn O))) e all’etichetta Southern Lord.

Ascend è l’occasione per rivisitare i loro più reconditi anfratti emotivi. Con la batteria tribale di Andy Patterson e l’organo di Steve Moore (membro aggiunto degli Earth, che contribuisce con il suo trombone ad ulteriori discese in un suono dark e vagamente jazzy) il disco assume connotati misteriosi e plumbei, quasi uno slo-core dalle vertigini black metal e psicotiche. Con peraltro tracce di dissipato folk apocalittico. Un capolavoro di perdizione “Ample Fire Within”, alla cui festa macabra partecipano anche ospiti del calibro di Kim Thayl (Soundgarden) e Bubba Dupree (dei leggendari punk di Washington Dc Void).

Disco Waves del mese su Blow Up di luglio, voto 8

“E’ questa di certo una musica di ricerca, sperimentale:
ma carnale, densa, impastata di riverberi blues.”
– voto 9 Rumore di luglio


14/07/08

Lisa e i Cowboy



Tornano i più gettonati cowboys francesi questa volta ad accompagnarli troviamo la vocalist Lisa Li-Lund, sorella del celebre folk singer Herman Dune. Già con l’album di debutto “Baby Face Nelson Was A French Cowboy” i nostri si sono guadagnati i complimenti di stampa e pubblico, ingannando più di un ascoltatore con un ibrido folk che faceva molto provincia americana. Pur arrivando da Nantes i F.C. si ispirano prepotentemente alle terre di confine statunitensi e proprio Tucson, Arizona, potrebbe essere la loro città d’adozione. Parallelismi che rimandano agli stessi Calexico, cantori ineffabili della Frontiera. Cambia la musica in questa estemporanea collaborazione, dove il pop prende in qualche maniera il sopravvento, pur camminando a braccetto con splendide atmosfere elettro-acustiche. Non a caso arriva l’interpretazione eclettica di “Little 15”, hit minore dei britannici Depeche Mode, a suggellare un disco costruito con stile ma pur sempre vivace. In queste torride canzoni troverete anche il feeling dell’ultimo Michael Gira, il voodoo blues dei Gun Club e scampoli di quello che fu il Paisley Undergound. Un’altra America, raccontata però attraverso la lente deformante del vecchio continente.

11/07/08

BODIES OF WATER - A Certain Feeling



I Bodies of Water sono nati nell'armadio di David Metcalf e Meredith Arthur.
Erano appena sposati e vivendo in un appartamento piccolissimo, l'armadio era l'unico posto in cui mettere il computer che usavano per le registrazioni. Quando sono arrivati a creare un gruppo per suonare le canzoni scritte da David, Meredith si è occupata del piano mentre i loro amici Kyle Gladden e Jessie Conklin hanno imparato a suonare rispettivamente basso e batteria.
Nel 2007 è uscito il loro acclamato disco autoprodotto Ears Will Pop & EyesWill Blink (pubblicato dalla loro etichetta Thousand Tongues) e ora,ad un anno di distanza, i Bodies of Water ci regalano un altro album fulllenght.
A Certain Feeling, questo il titolo, è il primo lavoro per Secretly Canadian ed è stato scritto, arrangiato e registrato nella casa dei Metcalf nel quartiere Highland Park di Los Angeles.
La tensione che si può avvertire in tutta la produzione musicale dei Bodies of Water è qui bene in evidenza: melodie immediatamente familiari,armonie ricche, arrangiamenti abili e composizioni che rifluiscono, scorrono e tornano sui propri passi in una sincronia catartica.Sebbene in questo disco non ci siano due canzoni che si assomigliano, il risultato è coeso e sembra di sentire la colonna sonora prog/gospel/psychedelic/kraut-tribal su cui Ennio Morricone e Phil Spector non sono mai riusciti a collaborare.
La maestosità corale che rendeva così caratteristico l'esordio Ears Will Pop è presente anche in questo A Certain Feeling, in cui però si può anche sentire il suono di un gruppo che si costruisce una nicchia in continua evoluzione.
Nonostante l'ampiezza del disco (o forse proprio per questa), è facile notare l'impronta del gruppo pressoché ovunque. Il cantato, il modo di suonare, le composizioni, i testi sono decisamente loro.A Certain Feeling è un passo oltre ma di certo pieno della stessa bellissima urgenza che abbiamo imparato ad aspettarci dai Bodies of Water. (powered by Promorama)

"Sia detto con sicurezza :siamo di fronte a una delle uscite più sorprendenti che ci abbia sin qui regalato il 2008..." BLOW UP

"...A Certain Feeling ...si innalza grazie a una produzione possente che ne esalta la grana e l'aspetto psichedelico" FREEQUENCY

"...Originali come pochi, i Bodies Of Water sono la sorpresa che stavamo attendendo." MUCCHIO SELVAGGIO

"...I BODIES OF WATER sono fra le cose bollenti che stanno affiorando dal rock americano, non senza meriti...Destinati a molto." RUMORE

10/07/08

ASVA



Secondo album per gli Asva, fondamentalmente la creatura dell’ex-Burning Witch Stuart Dahlquist.

Celebre per i suoi trascorsi anche in Goatsnake e Sunn O))) il nostro mette in piedi una recita maligna che tanto deve al black metal delle origini quanto ai toni più ossianici di certo doom. Inquietante ma per nulla monolitico "What You Don’t Know Is Frontier" si abbevera alla fonte di altre musiche, inglobando anomali esperimenti di musica etnica e prestando il fianco a certo folk psichedelico. Toni oscuri resi ancor più vibranti dalla presenza di campioni del trasformismo musicale come Trey Spruance (il chitarrista/compositore già con Mr. Bungle, Faith No More e Secret Chiefs 3) e Stephen O’ Malley (che farà parte della live band del nostro, nell’imminente tour europeo). Una lenta discesa nelle viscere della terra.

Someone Still Loves You Boris Yeltsin




"Leggeri, delicati e rigeneranti come un pomeriggio di primavera" - voto 8 Beat

09/07/08

Jay Reatard - The Singles '06-'07



Jay Reatard ha le stimmate del predestinato, sin dagli esordi con i Lost Sounds per In The Red - a memoria una delle più sconvolgenti creature neo-garage degli ultimi 10 anni – e passando per un gruppo a sua immagine e somiglianza come i Reatards, ha saputo codificare tutti gli aspetti più spigolosi del rock contemporaneo, prendendo in prestito elementi dal primigenio punk, dalla synth wave e da certo power-pop. Una somma per nulla algebrica, tanto che nelle sue mani ogni sottogenere assume caratteristiche indipendenti, andando a definire uno schizofrenico pop d’assalto, che tra i suoi scatti e le sue nevrosi è forse l’elemento chiave delle sue canzoni. Jay è di stanza a Memphis, Tennessee, altro indizio che fa una prova (dice nulla il nome di Elvis?), città altrimenti celebre per i suoi ottimi distillati al malto.

Influenzato per sua stessa voce da gruppi così diversi come The Clean, Wipers, Wire, Tall Dwarfs, Ramones, Urinals, Brian Eno, Adverts e The Verlaines; Jay è un rocker retro-futurista che con disarmante semplicità riesce a muoversi tra teen sound e lugubri intermezzi post-punk, provando ad affrontare a briglie sciolte circa un trentennio di musiche sotterranee. L’antologia di singoli pubblicata da In The Red - Singles 06-07, è evidente che il titolo non lascia nulla all’immaginazione – è una vera e propria altalena stilistica: le canzoni hanno un piglio tanto sbarazzino quanto furente, ed in questa dualità è da riscontrarsi tutta la morbosa freschezza di questo suono. E’ un bel sentire, sono brani che infettano il sistema nervoso, senza per questo essere stereotipati. Sin d’ora sono brani destinati ai posteri, per il loro impellente senso di classicità e sfascio giovanilista, iconografia rock’n’roll, come se piovesse.
Fresco della firma di un contratto con Matador – il cosiddetto viatico alla notorietà – Jay si impone come personaggio intraprendente negli ambiti della musica più fisica ed evocativa, un personaggio definitivo bagnato nel sacro sangue del rock’n’roll.


08/07/08

Tornano i Feeder




Sono trascorsi 16 anni dalla loro nascita artistica ed il corso delle loro esistenze è stato alterato in maniera imprevedibile, eppure le motivazioni dei Feeder non cambiano di una virgola. L’idea dietro la band è stata sempre quella di produrre suoni rumorosi ma con forti accenni melodici. Queste le parole del leader e principale songwriter Grant Nicholas che mise in piedi la formazione in quel di Newport, Galles, con il batterista originale Jon Lee (il trio era poi chiuso dal bassista Taka Hirose, successivamente incontrato a Londra)

Con queste premesse i Feeder hanno immediatamente conquistato i favori di numerosi fan, coniugando nell’era del Seattle sound melodie cristalline e riff al fulmicotone, prendendo spunto da quanto luminari come Pixies e Smashing Pumpkins avevano fatto a cavallo tra la fine degli anni ’80 ed i primi ’90.

Al tempo del loro secondo album – “Yesterday Went Too Soon” – c’è anche il battesimo di fuoco su palchi prestigiosi: aprono infatti i concerti di Manic Street Preachers e Red Hot Chili Peppers. Nonostante i progressi spaventosi e la crescita esponenziale i Feeder devono ancora affrontare un tragico destino. Che si materializza nel 2002 con la prematura scomparsa del batterista Jon. Difficile riprendersi da questo duro colpo, tanto che l’esistenza stessa del gruppo è messa seriamente in discussione. Questo fino all’arrivo del sostituto Mark Richardson, primo batterista degli Skunk Anansie.

Dopo il successo della loro raccolta di singoli pubblicata nel 2006, “Silent Cry” - che esce per la loro personale etichetta - si presenta come la loro produzione più completa e coraggiosa. Senza compromettere in alcuna misura le proprie origini, il gruppo sceglie la via di una musicalità piuttosto estroversa che riesce a considerare fasi intimiste ed esplosioni più heavy. Un album cruciale per lo stesso Grant che dice: “ogni disco è importante ora, perché potrebbe proprio essere il tuo ultimo, semplicemente non puoi prevederlo. Immaginavo che la pubblicazione di The Singles, fosse stata interpretata come una resa dal nostro pubblico, proprio in base a questo dubbio eravamo molto scettici sull’antologia stessa, eppure quello è stato un momento cruciale, soprattutto per mettere ordine nelle nostre vite, e capire cosa avevamo raggiunto artisticamente fino a quel momento. E’ stato sempre il mio sogno quello di poter suonare in una band che realizzasse molti album, è stata un’intuizione importante, abbiamo capito che potevamo ancor migliorarci. Ci siamo sentiti una formazione più forte. Potremmo anche non essere la new thing ora, ma non volevamo comprometterci o tornare con una registrazione statica.”

L’impatto del gruppo è preciso, quasi chirurgico, nel mettere in bella mostra il suono tagliente delle chitarre, stemperandole con immediati ritornelli pop, come in “Tracing Lines”, forse uno degli episodi più ‘facili’ dell’intero disco. Quello che è certo è che una rinnovata vitalità attraversa le corde del gruppo, un elemento che li porterà ad essere protagonisti negli anni a venire, senza mezzi termini. Qui per restare.

07/07/08

Underground Railroad

Venuti alla luce 5 anni fa in quella che rimane una delle capitali più affascinanti d’Europa, Parigi, gli Underground Railroad debuttano lo scorso anno con "Twisted Trees" per One Little Indian, portando in superficie suoni che si rifanno tanto alla tradizione del post-punk britannico quanto agli estremismi artistoidi della corrente newyorkese No Wave.

Il loro nuovo album "Stick and Stones", in uscita a Settembre, è stato registrato a Seattle dal rinomato John Goodmanson, sorta di Re Mida dell’underground già in cabina di regia con nomi del calibro di Death Cab For Cutie, Blood Brothers, Sleater Kinney, Unwound e Blonde Redhead. Il trio parigino cambia anche domicilio nel frattempo, stabilendosi in quel di Londra. Aldilà del dettaglio logistico un cambio strategico che finisce anche per corrompere la loro personalità. Tant’è che un certo pop psichedelico si fa viziosamente largo tra le loro composizioni, riportando in scena fantasmi Spaceman 3/The Jesus & Mary Chain.

Ma c’è anche la maturazione dei musicisti, che confezionano oggi canzoni dal carattere tanto prepotente quanto docile, richiamando fermamente uno dei subgeneri più influenti degli ultimi 15 anni: lo shoegaze. Tra gli ospiti del disco segnaliamo il violoncellista di Seattle Phil A. Peterson, i cui arrangiamenti per ‘Poems For Freaks’ e ‘Six Pieds Sous Terre’ conducono i brani verso nuove- epiche – dimensioni.

Gli Underground Railroad sono reduci da una fortunata serie di date europee in compagnai dei Dinosaur Jr.

“Black-hearted avant punk…whiplashing climaxes.” Metro

“A sound to frighten Gallows back into the tattoo parlour.” The Fly

“Awesome.” Jason McGerr (Death Cab For Cutie)





04/07/08

The Dead Science "Villainaire"



Continua ad estendersi la campagna acquisti di Constellation aldilà dei patri confini. Dopo aver portato in Canada Carla Bozulich e Vic Chesnutt, i responsabili dell’etichetta si sporgono poco oltre il confine, per rimestare nel sempre vegeto panorama del Northwest. Non proprio dei novelli i Dead Science di Seattle, gruppo che sarà il fiore all’occhiello nel corso del mercato estivo della label nordamericana. I nostri vantano già un serie di pubblicazioni per Absolutely Kosher, rinomato marchio che nell’ultimo decennio ha saputo rinverdire i fasti dell’indie rock made in USA.
E necessariamente con la cultura indie andiamo a confrontarci, se è vero come è vero , che proprio da quell’ humus nasce la musica dei Dead Science, oggi maggiormente indottrinata e presumibilmente più affine a certe pratiche rock sperimentali e pop sinfoniche. Esteti della canzone e dell’arrangiamento sublime, i nostri con tocco romantico ed attitudine progressiva ci consegnano una scaletta di brani impeccabili, in cui oltre all’intuito per melodie sbilenche, si segnala il gusto tutto particolare per gli arrangiamenti.
Sono in un’ipotetica lega con Xiu Xiu e Dirty Projectors, altri autori e formazioni che dal basso hanno rinnovato la tradizione pop a stelle e strisce, con forti iniezioni di drammaticità e intelletto superiore. La loro musica è fatta di sincopi, soluzioni astratte, cambi d’atmosfera impertinenti. Una giostra emotiva, alla quale partecipano numi tutelari del rock più anticonformista, come Craig Wredren (voce degli indimenticati Shudder To think, uno dei gruppi simbolo del catalogo Dischord) e Katrina Ford dei Celebration.
Villainaire è un disco denso, un’epifania dei sensi, una lezione di stile su come il rock chitarristico più che graffiare possa anche accarezzare e stimolare, lanciando l’ascoltatore verso inaspettate altezze.

03/07/08

Happy B-Day Alan Vega




Un modo originale di festeggiare il proprio – sessantesimo – compleanno. Data la statura dell’artista in questione non poteva essere altrimenti, parliamo di Alan Vega, crooner cyber punk della New York dei ’70, immancabilmente legato al nome dei Suicide.
Blast First Petite, dopo il monumentale box di sei cd che documenta alcuni dei migliori live degli stessi Suicide – inaugura una serie di 10 pollici limitati con cadenza mensile (un anno la durata dell’operazione) in cui gli autori di Ghost Rider verranno coverizzati da nomi influenti della scena internazionale.
In primi Bruce Springsteen – già responsabile di un escursione acustica in questi territori – poi Primal Scream, Spirtualized, Liars, Grinderman (lo spiritato progetto di Nick Cave) Klaxons ed un’altra manciata di nomi in divenire.
Appetitoso il programma dei singoli, che oltre alla cover di rito presenteranno inediti del duo Vega/Rev.

Un altro regalo ai numerosi fans dei Suicide ed un sentito augurio al poeta visionario Vega.


02/07/08

RODRIGUEZ - Cold Fact



Cosa rende un disco un classico immediato? La sua reperibilità? Il fatto che sia stato citato a destra e a manca da musicisti più o meno illustri? L’idea di aver lasciato una traccia indelebile nella storia trasversale e macroscopica della pop music?

Per Cold Fact di Rodriguez valgono tutte le indicazioni di cui sopra ed un ulteriore – affatto trascurabile – dettaglio: il disco è stato per lungo tempo una rarità assoluta, quello che spesso ci affrettiamo a considerare come holy grail.
Ma mettiamo ordine in questa storia, che se non ha dell’eccezionale poco ci manca.

Sixto Diaz Rodriguez nasce nel 1942 da genitori messicani in quel di Detroit, Michingan, la motorcity altrimenti detta. Il suo album di debutto viene registrato nel corso del 1969, anno simbolo negli States con tutto il suo corollario di rivoluzioni politico-culturali. Vede la luce soltanto nel marzo del 1970. Cold Fact è un disco che nei suoi contenuti riflette tutto il fermento dell’epoca con storie di vita vissuta, amore ed emancipazione, senza per questo rinunciare alle contraddittorie riflessioni sulla nuova cultura delle droghe.

Il disco era co-prodotto dal chitarrista Dennis Coffey, leggenda vivente della black music tornata in auge dopo i ripetuti campionamenti ad opera di Beastie Boys e Mos Def. I Funk Bos. – mitologico combo che spesso funzionava come backing band nelle incisioni Motown (più precisamente negli anni compresi tra il 1959 ed il ’72, prima del trasferimento della label a Los Angeles) - fornivano la spinta necessaria a mandare in orbita le canzoni di Rodriguez, tinte con forti colori folk-psichedeleci. E non a caso la West Coast sembrava il territorio più affine musicalmente al nostro, che in alcuni segreti annuari della musica occupava un ruolo di tutto rispetto al fianco di Bob Dylan, Doors, Love, Shuggie Otis e Jimi Hendrix.

Un segreto anche la vita reale di Rodriguez, presto destinato a divenire una primula rossa delle scene rock. Non amava esibirsi in pubblico, tanto che ad uno showcase per soli addetti ai lavori pensò bene di mostrare le spalle durante tutto l’arco dell’esibizione. Un malessere che presto lo portò a tagliare i ponti con il mercato discografico ufficiale. Il personaggio era ingestibile ed ulteriori investimenti non furono certo avallati dalla sua etichetta. Che lentamente assiste alla sua scomparsa, praticamente nel nulla.

Destino analogo per Cold Fact che cade presto nel dimenticatoio. Almeno negli States…Dall’altra parte del mondo il disco è un successo, inseguendo una logica di mercato del tutto imprevedibile. Disco d’oro in Australia – dove sfonda il tetto delle 100.000 copie vendute – e sorte analoga in Sud Africa, dove in piena Apartheid l’album diviene anche una sorta di manifesto, con le sue impertinenti storie di rivalsa sociale.

Nonostante il conforto dei numeri Rodriguez diviene un’enigma, il suo abbandono è oggetto di mille congetture. Qualcuno lo vuole morto per overdose da eroina, altri parlano di una morte cruenta sul palco in fiamme. Altri – più ragionevolmente – lo vogliono in un istituto di igiene mentale.

Leggende, appunto. Rodriguez si affaccia in Australia in due occasioni, per brevi mini tour, nel 1979 e successivamente nel 1981. In questa seconda occasione dei giovanissimi Midnight Oil apriranno le date. Ancora silenzio. Rodriguez si è ritirato quasi a vita privata, cura i suoi interessi e quelli della sua famiglia nella natia Detroit. Fino a che un giornalista particolarmente volitivo – Craig Bartholemew – decide di vederci chiaro. E lo raggiunge presso la su abitazione. Rodriguez cade letteralmente dalle nuvole, non poteva immaginare che il suo disco fosse divenuto di platino in Sud Africa.

Ragion per cui s’imbarca nuovamente in un viaggio extra-continentale, per riempire piccole arene della capacità di 5000 posti in diversi luoghi del paese.

Eppure i paesi cosiddetti ‘occidentali’ continuano ad ignorarlo. Ci vuole la mano del dj/producer irlandese David Holmes per rendere il suo nome di dominio pubblico. Complice la raccolta Come Get It, I Got It, in cui compare la sua stellare hit Sugar Man, una ballata elettrica che si scioglie in fiumi di acido lisergico.

E’ con estremo piacere che la Light In The Attic di Seattle ristampa Cold Fact, ufficialmente per la prima volta. Circa 3 anni nella preparazione, proprio perché nessun dettaglio doveva esser lasciato al caso.

L'album verrà pubblicato in Europa il 28 Agosto in un’edizione deluxe in digipak, comprendente un libretto di 36 pagine, ricco di foto e testimonianze d’epoca, non ultima un’intervista verità con lo stesso autore.

A Prayer Ceremony In Jazz




Dobbiamo ringraziare per l’ennesima volta il fiuto di Jonny Trunk, questa volta responsabile di una delle sue più ‘fortunate ’ scoperte. Sin dalle prime note "Hear O Israel" si presenta come una delle più rare incisioni venute fuori dal marasma creativo della New York di fine ’60. Pubblicato nel 1969 in tiratura limitata e venduto solo a mezzo corrispondenza nel medesimo anno, l’album è stato praticamente scritto dal giovane virgulto Jonathon Klein, appena 17enne all’epoca.
Sue le partiture, eseguite da un cast quanto meno stratosferico: Herbie Hancock (piano), Jerome Richardson (flauto, tenore ed alto sax) Thad Jones (tromba corno inglese) Ron Carter (contrabbasso), Jonathan Klein (corno francese e baritone) e Grady Tate (batteria). Tra le altre presenze Antonia Lavanne - voce soprano - Phyllis Bryn-Julson – voce contralto – ed il rabbino David Davis alle letture.
Si tratta di un concerto alternativo per la preghiera ebraica del venerdì notte, così come concepita dal giovane Klein. Un’organizzazione caritatevole ebraica decise di fare le cose in grande e registrare il concerto, per poi devolvere in beneficenza gli introiti. Il disco era un white label e non fu mai distribuito attraverso i regolari canali discografici, oltre che per corrispondenza veniva venduto ai meeting chiesastici. Il disco è però superbo, nella vena del miglior jazz spirituale del tempo, con influssi modali e chiari richiami alla tradizione ebraica. Hancock è il leader virtuale della formazione, il suo piano apre letteralmente le danze e per i successivi 40 minuti tiene scacco in questa subdola celebrazione artistico-religiosa.

01/07/08

Karl Hector & The Malcouns “Sahara Swing”




Dietro questa sigla si nasconde un’accolita di musicisti krauta, strettamente imparentata con Poets Of Rhythm e Whitefield Brothers. Il leader – Karl Hector – vanta un’unica oscura pubblicazione nel 1996, un 45 giri accreditato ai misteriosi Funk Pilots.
Escono per Now Again, sussidiaria di Stones Throw, e migliore asilo davvero non potevano trovare per il loro incendiario ibrido tra afro beat, funk e psichedelia.
Dopo il viaggio strumentale di Heliocentrics con Sahara Swing approdiamo in una dimensione parallela e futurista, dove il groove può indubbiamente ricordare i mostri sacri del passato ma gettare le basi per nuove sfrenate danze e rare grooves destinati a restare. Siamo su di un’ipotetica direttiva che da James Brown porta a Fela Kuti, passando per gli arabeschi strumentali di Mulatu Astatke of Ethiopia e le invenzioni del produttore/arrangiatore Jean Claude Vannier (un tempo spalla destra di Serge Gainsbourg). E’ una musica istintiva, che trascina lentamente, mettendo in relazioni mille e più mondi della cultura black. E gli esecutori vantano un curriculum inappuntabile, tanto che sia Poets Of Rhythm che Whitefield Brothers hanno a più riprese collaborato con Dj Shadow, Lyics Born, Mo’ Wax, Ninja Tune, BBE, Daptone e Compost.

Non propriamente un disco di world music, quanto un album che parla una lingua realmente internazionale.

‘The musicianship is now world class and tighter than most bands I have heard in our time period, regardless of genre.’ Lyrics Born