22/12/10

I nostri dischi preferiti del 2010



In un anno forse non eccezionale per il livello delle uscite discografiche, ancora una volta ci dilettiamo con le nostre classifiche personali. Vi auguriamo buone feste, ci sentiamo l'anno prossimo.

JACOPO
Eli Paperboy Reed “Come And Get It (Parlophone)
Against Me “White Crosses”(Capitol)
Aloe Blacc “Good Things “(Stones Throw)
Sufjan Stevens “Age Of Adz/All Delighted People" (Asthmatic Kitty)
Black Mountain “Wilderness Heart” (Jagjaguwar)
Surfer Blood “Astro Coast” (Kanine)
Turin Brakes “Outburst” (Cooking Vinyl)
Kings Go Forth “The Outsiders Are Back” (Luaka Bop)
Saluti Da Saturno”Parlare Con Anna”(Goodfellas)
Hjaltalin “Terminal”(Borgin)

LUCA
Emeralds "Does It Looks Like I'm New Here?" (Mego)
Sun City Girls "Funeral Mariachi" (Abduction)
Paul White "And The Purple Brain" (Now Again)
Gonjasufi "A Sufi And A Killer" (Warp)
Budos Band "III" (Daptone)
Chicago Underground Duo "Boca Negra" (Thrill Jockey)
Lloyd Miller/Heliocentrics "Ost" (Strut)
Ex "Catch My Shoe" (Ex Records)
Rangda "False Flag" (Drag City)
Sun Araw "On Patrol" (Not Not Fun)

ROBERTO
Mike Patton “Mondo Cane” (Ipecac)
Gil Scott-Heron "I'm New Here" (XL Recordings)
Janelle Monae "Archandroid" (Wondaland Arts Society)
Flying Lotus "Cosmogramma" (Warp Records)
Caribou "Swim" (City Slang)
Sufjan Stevens "The Age Of Adz" (Asthmatic Kitty)
Danger Mouse And Sparklehorse "Dark Night Of The Soul" (Self-released, Unreleased)
Aloe Blacc "Good Things" (Stones Throw)
Sharon Jones & The Dap-Kings “I Learned The Hard Way” (Daptone Records)
Kanye West "My Beautiful Dark Twisted Fantasy" (Roc-A-Fella Records)

ROSSANA
Sleepy Sun "Fever" (ATP Recordings)
Quest For Fire "Lights From Paradise" (Tee Pee)
Samsara Blues Experiment "Long Distance Trip" (World In Sound)
Calibro 35 "RARE" (autoproduzione)
The Radio Dept. "Clinging To A Scheme" (Labrador)
The Corin Tucker Band "1,000 Years" (Kill Rock Stars)
Sharon Jones & The Dap-Kings "I Learned The Hard Way" (Daptone Records)
Mike Patton "Mondo Cane" (Ipecac)
Janelle Monáe "The ArchAndroid" (Wondaland Arts Society/Bad Boy Records)
Angus & Julia Stone "Down The Way" (Capitol)

20/12/10

Toro Y Moi "Underneath The Pine" (Carpark Records)

Chazwick Bundick – in arte Toro Y Moi – è da considerarsi tra i nomi di punta della Chill Wave, uno dei sottogeneri partoriti ed elaborati nel sempre più fitto e frammentario underground statunitense. A conti fatti la musica del nostro è una piccola alchimia sonora, un miracolo casalingo, che prende in esame le trame dell‘ hip-hop più soulful, intercettando sommesse partiture indie-rock e rievocando addirittura l’agile scatto del french-touch. C’è un minore senso di astrazione in questo suo secondo album, ancora una volta immesso sul mercato da Carpark, con quella cura maniacale che contraddistingue i lavori della casa. Dopo il debutto – Causers Of This - ad il relativo sensazionalismo ad esso seguito, Chaz si re-inventa autore, scelta indicativa per questo ragazzo di appena 23 anni.
Per sua stessa ammissione gli ultimi mesi sono trascorsi con l’ascolto scientifico di compositori quali Ennio Morricone e François de Roubaix, come se una svolta cinematica fosse dietro l’angolo. Concepito in 3 lunghe session nella natia Columbia - South Carolina – Underneath The Pine è disco di contenuti, in cui i brani appaiono più levigati e meno sfuggenti. Tanto che il termine stesso chill wave – così auto-referenziale e poco descrittivo - diviene un simpatico ingombro per l’artista ora di stanza a Brooklyn.

Forgiato dall’ascolto della collezione personale dei suoi genitori e sempre maniacalmente alla ricerca di stimoli inediti, Chaz è la quintessenza del fruitore contemporaneo. E’ tutta una questione di flussi infatti, laddove gli ingranaggi sono sufficientemente oliati e su beats avvolgenti si costruiscono canzoni dal fascino antico. Non è un caso che il quadrilatero di partenza per lui sia costituito da Animal Collective, Sonic Youth, J Dilla e Daft Punk. Tutti nomi che nello studio di registrazione hanno trovato un valido alleato. Underneath The Pine crescerà esponenzialmente tra i vostri ascolti, rivelando un musicista che eccelle nei particolari più minuziosi.

Tracklisting: 1.Intro/Chi Chi 2.New Beat 3.Go With You 4.Divina 5.Before I’m Done 6.Got Blinded 7.How I Know 8.Light Black 9.Still Sound 10.Good Hold 11.Elise

"Underneath The Pine" esce il 21 Febbraio 2011


A Hawk and a Hacksaw "Cervantine"

Sul loro personale marchio LM DUPLI-CATION e dopo una carriera costellata da grandi riconoscimenti - grazie all'impegno promozionale della prestigiosa Leaf Label - A Hawk And A Hacksaw si riaffacciano sul mercato, ed è ancora il vento dell'Est a sostenere la loro creazione artistica. Pur proveniendo da un territorio del sud come Albuquerque, New Mexico, i nostri continuano a porre la fascinazione per il sound dell'Europa orientale al centro delle loro divagazioni sonore. Tanto che la loro label si pone il fine di celebrare i più rappresentativi autori contemporanei di quell'area, per dare un continuum alla loro nobile origine. Cervantine è il frutto di questo nuovo slancio artistico, tutto un fiorire di tradizioni folkloriche e retaggi di gruppi tzigani della Yugoslavia, Grecia e Romania.
Con una scena costituita da nomi di peso internazionale quali Fools Gold, Beirut e Calexico l'area desertica sembra una pianura su cui far planare le musiche del mondo. Gli stessi A Hawk And A Hacksaw sono così portavoci di un sentire world che non teme smentite. I musiscisti sono debitamente documentati ed il lloro esempio brtillante, impiantato nelle radici del vecchio continente e delle sue tradizioni centenarie. Un trapasso emotivo forte per una formazione comunque americana.

Registrato presso il loro studio casalingo ad Albuquerque nel bel mezzo di due tour americani, Cervantine è il suono vibrante di due musicisti - Jeremy Barnes and Heather Trost - che hanno riscritto una propria geografia mentale e musicale.
Gli altri contributi arrivano dai fratelli Hladowski, Stephanie (voce) e Chris (bouzouki), direttamente da Bradford, Inghilterra, attraverso lunghi trascorsi polacchi. Potete ascoltare il loro verbo etnico in Mana Thelo Enan Andra, Cervantine e nel classico turco Uskudar.
Grandi sensazioni per un disco sofisticato e passionale

TRACK LISTING
1. No Rest for the Wicked 2. Mana Thelo Enan Andra 3. Española Kolo 4. Cervantine 5. Üsküdar 6. Lajtha Lassu 7. At the Vulturul Negu 8. The Loser [Xeftílis]

CERVANTINE ESCE IL 15 FEBBRAIO 2011

Asobi Seksu il nuovo album sarà su Polyvinyl, in uscita a Febbraio


Il diktat nello studio di Chris Zane (Passion Pit, The Walkmen) è stato chiaro: non pensateci sù troppo! Pare che gli Asobi Seksu – al secolo la modella nipponica Yuki Chikudate ed il chitarrista e maggior compositore James Hanna – abbiano preso alla lettera le indicazioni del produttore, ottimizzando i tempi della sala d’incisione e facendo sì che "Fluorescence" fosse quanto di più riconducibile ad un’esperienza live. Con il quarto album in studio gli Asobi Seksu sbocciano, rivelando finalmente al mondo la loro complice essenza, fatta di saliscendi armoniosi e canzoni che toccano le corde del cuore. Oltre gli steccati dello shoegaze un suono che attinge parimenti dalla wave barocca e dal guitar pop più prossimo alle indiscrezioni elettroniche. Il sound di questo disco è così la logica prosecuzione di quanto intentato dalla 4AD con Cocteau Twins e This Mortal Coil, perché è bene sottolinearlo questo è il 2010 e le dinamiche di produzione sono di per sé cambiate. I due elementi distintivi sono da ritrovarsi nell’uso regolare dei synth, volutamente analogici, e nell’armoniosa vocalità di Yuki, una cartolina dai sixties più floreali. Sfiorando il caos emotivo, mantenendo comunque una disciplina sonora da fare invidia a qualsiasi combriccola ben assortita, Asobi Seksu sono prossimi a fare il grande salto, forti di un campionario di canzoni che lascia trasparire il loro stato di grazia.

I Deerhoof contro Il Male


Se l’abbondanza è un pregio allora questi quattro ragazzi californiani la devono saper lunga… A 16 anni dalla loro nascita i Deerhoof della pimpante Satomi Matsuzaki non si perdono certo d’animo e forti di un nuovo deal discografico – con Polyvinyl – decidono di fare le cose in grande ed affrontare direttamente… il male! Che potrebbe tradursi nella noia o nell’agonizzante mondo dell’indie-pop, dove spesso trovate tre riff in croce all’interno di album che viaggiano sui 40 minuti. Ipercinetici, matematici, per loro si sono sempre utilizzati aggettivi stratosferici. Non cambia l’equilibrio ora, dopo che in formazione sono entrati stabilmente due pesi massimi del più avveniristico guitar sound americano. Ed Rodriguez e John Dieterich facevano già coppia nei Colossamite, poi negli impressionisti strumentali Gorge Trio, ora provvedono a ridefinire con cura la musica dei Deerhoof che altro non è se non un quadro post-moderno. Dal brano Qui Dorm, Només Somia (con la scelta del cantato in catalano) capirete che i limiti concettuali non sono affatto un problema per i nostri, che anzi inanellano una serie di numeri stravaganti anche in questo disco. Passando per l’appunto da passi flamenco a sinfonie guitar-rock, sempre mantenendo un gusto per la melodia, a volte assordante a volte estremamente poppish. Misuratamente progressivi, consci che il noise-rock è stata comunque una tappa fondamentale per l’underground a stelle e strisce, sicuri di avere un gusto stravagante per gli arrangiamenti, i Deerhoof sono quel tipo di band cui non piacciono le minestre riscaldate, un forsennato combo che sa ancora spadroneggiare tra gli spesso risoluti ambienti indie.

"Passive Aggressive": doppio CD coi singoli dei Radio Dept



Divenuti negli ultimi anni dettaglio importante alla voce export - nei conti pubblici del paese d'origine - gli svedesi Radio Dept. hanno valicato i confini nazionali ponendo in primo piano il loro sguardo malinconico alla musica inglese. Appassionati di dream pop, come del più crepuscolare rock indipendente anni '80 - ancora i nomi riccorrenti di etichette quali Factory, Creation e Sarah - i nostri si riaffacciano sul mercato con un doppio disco antologico in uscita all'inizio del nuovo anno per Labrador, che mette in fila un numero sostanzioso di b-sides, rarità e alternative version. Il battesimo ideale per i novizi, un elemento di estrema curiosità per tutti gli appassionati distribuiti tra nuovo e vecchio continente. La raccolta di singoli - che gioca anche con lo yin e lo yang dicendosi appunto passiva/aggressiva - copre il periodo 2002-2010 divenendo così la fotografia di un gruppo che pur mantenendo un equilibrio compositivo interno, ha fatto sì che il suono dell'elettronica lo-fi e della dance underground si facesse largo tra le sue maglie chitarristiche. Se etichette come Slumberland hanno riportato in auge quel suono oltreoceano, in Europa i Radio Dept. hanno spesso rubato lo scettro dei comprimari inglesi, per rilasciare una voce autorevole sulle sorti del più gentile indie-rock. Nell'aprile del 2010 il loro ultimo parto da studio "Clinging to a Scheme" fu eletto dalla bibbia PITCHFORK nell'apposita sezione Best New Music. Commercialmente parlando il disco entro nella speciale classifica di Billboard Heatseeker Chart direttamente nella Top 20. In questa preziosa raccolta troverete due dei Single of the week per NME, oltre a tre tracce dalla colonna sonora del celebre Marie Antoinette diretto da Sophia Coppola. Fiore all'occhiello di Labrador e di tutta la musica nordica, i Radio Dept ci scalderanno con la loro chiaroscurale presa musicale.

Glamour Of The Kill: l'atteso debutto esce a fine Gennaio


Ci sono poche band che possono pubblicare un disco di debutto accompagnate da così ampie aspettative. I Glamour Of The Kill sono dei predestinati e la loro musica è destinata a mettere a ferro e fuoco il Regno Unito; prendendo le mosse da una delle correnti più funamboliche del rock estremo: l’emo-metal. Sul solco di gruppi come Bullet For My Valentine e Avenged Sevenfold – saranno opening act per ambo le band - i quattro salgono alla ribalta della locale scena di York nel 2007, raccogliendo in tempi rapidissimi anche i consensi della stampa specializzata. Sono demo del mese per il prestigioso periodico Metal Hammer, un’imbeccata che gli consentirà di mettere la prima bandierina sul territorio nazionale. Con il primo ep del 2008 – pubblicato dalla label culto Siege Of Amida – il gruppo spiega le ali, liberando il suo devastante impatto, confortato anche dalle apparizioni dal vivo al Download Festival. Seguiranno date con Black Tide, As I Lay Dying, Escape The Fate, DragonForce e Wednesday 13, in Inghilterra e nel resto d’Europa. Il loro approccio muscolare tocca così livelli di perfezione assoluta, gli automatismi ed il registro delle loro composizioni si solidificano attorno a figure di hardcore evoluto e nu-metal, per un risultato incompromissorio. Si allarga il numero dei loro sostenitori, grazie ad un tiro capace di stuzzicare audience così diverse, anche in termini anagrafici. "The Summoning" è così il disco che scuoterà dalle fondamenta la verde scena alternative metal europea, grazie ad una performance al fulmicotone, definita da un numero di canzoni anthemiche.

Glamour Of The Kill Are One Of The Uk’s Brightest Young Hopes (Kerrang!)

The Uk Has a New Crossover Phenomenon In the Making (Metal Hammer)

17/12/10

Beans "End It All" (Anticon Records)

Un nuovo inizio per uno degli mc degli innovativi Anti-Pop Consortium. Abbandonata da tempo la navicella madre ed approntata una carriera solista mai scevra da sorprese, Beans ha incrociato il suo flusso con due luminari del jazz libero come William Parker ed Hamid Drake – nell’omonimo disco pubblicato da Thirsty Ear – oltre ad aver realizzato pagine di avveniristica musica ritmica con il marchio Warp. Il ritorno – End It All - porta il marchio Anticon, etichetta da sempre all’avanguardia nel circuito hip-hop, sin dai tempi in cui i Clouddead sconvolsero letteralmente l’universo indie.
Questo è il quarto album per il rapper di Brooklyn ed è a livello tematico e contenutistico una ventata di novità, nonché una presa di coscienza positiva, rispetto al recente passato. Prestando fede alle variabili della slam poetry e sorretto da un’architettura sonora assolutamente fantasiosa ed imprendibile, Beans ci dice che la collisione stilistica è ancora una volta al centro delle sue attenzioni. Su basi spesso sdrucciolevoli si inerpicano le liriche, quasi esercizi di equilibrismo, per un uomo che cita senza colpo ferire il kraut rock come la techno minimale della Kompakt di Colonia.
Certo che per esprimersi in questo stato di grazia Beans si è circondato di nomi di primissimo piano nel mondo della musica ritmica. Se personalità come Four Tet, Clark, TOBACCO, Son Lux e Sam Fog degli Interpol già stuzzicano le vostre più recondite fantasie, ci sono tutti gli ingredienti per brindare a questa nuova fase artistica. Four Tet rilascia i suoi virtuosismi in Anvil Falling mentre l’immaginario più scuro di TOBACCO segna il passo in Glass Coffins.
E c’è anche un Africa che si fa largo nella poliritmia moderna di Electric Eliminator, col team di produttori Bumps, praticamente le 3 batterie dei Tortoise.
Il quarto re magio – qualora non ve ne foste accorti - porta il verbo.

The Dirtboms "Party Store" (In The Red)

Doveva accadere prima o poi. La personale smania di Mick Collins per il sound techno di Detroit ha ora un nome: Party Store. Un disco del tutto particolare quello con cui si ripresentano sul mercato i Dirtbombs, un lavoro che fa il paio con quell’Ultraglide in Black che a suo modo omaggiava la black music in maniera inusuale, spingendo spesso e volentieri il piede sull’acceleratore. Dopo la sbornia funk soul di quel disco capitale, la sua band rivisita in chiave analogica la musica elettronica di Detroit degli anni ’80, un sound che causò un’autentica rivoluzione culturale, non solo nei meandri della cultura nera. Sembra un trapasso prepotente dall’era garage dei Gories ai giorni nostri; errato, Mick ha sempre coltivato questa passione ed ora è tempo di rivisitare alcuni classici della scena attraverso la lente deformante dei Dirtbombs. E quando parliamo di classici, facciamo riferimento ad autentici riempi pista: dall’electro di Sharevari siglata da A Number of Names (rilanciata non più di 10 anni fa dal dj/produttore Trevor Jackson/Playgroup) ad Alleys of Your Mind, dance robotica firmata dai Cybotron di Juan Atkins, passando per il firmamento house di Strings of Life - Derrick May – e quella meraviglia soul post-moderna che corrispondeva a Good Life (Kevin Saunderson con il progetto Inner City). Con una precisione impressionante, che spesso lascia presagire l’influenza del kraut rock, i Dirtbombs rivisitano quello che è stato il futuro della musica nera, sovrapponendo agli originali sequencers e drum machine chitarre affilate e scolpite ritmiche umane. In Bug in the Bass Bin – originariamente ad appannaggio della Innerzone Orchestra – ritroviamo lo stesso Carl Craig alla programmazione dei synth, in uno squarcio spazio-temporale che supera abbondantemente la soglia dei 20 minuti, algido motorik rock che impressiona per la sua consistenza. Mai una ri-contestualizzazione è suonata più appropriata, e Party Store rischia seriamente di essere uno dei dischi da battere del 2011.

15/12/10

Earth, un nuovo album a Febbraio 2011



Nemmeno il tempo di gioire per la pubblicazione di "A Bureaucratic Desire For Extra Capsular Extraction" – gli Earth di Dylan Carlson nella loro primissima incarnazione, legati al più rigoroso e punitivo drone-rock – che la Southern Lord di Greg Anderson dei Sunn O))) è pronta a licenziare la nuova fatica da studio della compagine di Olympia. Invero fortemente rinnovata. Archiviato il sensazionalismo che vide Carlson legato a Cobain per un celebre fatto di cronaca (il prestito dell’arma utilizzata nel suo suicidio), abbiamo scoperto con il trascorrere degli anni una nuova dimensione umana per il gelido e baffuto rocker del North West, capace di interpretare con spirito inedito i dettami della cosiddetta ‘americana’. Il titolo sposa come buona creanza l’alone esoterico della band: "Angels Of Darkness, Demons of Light 1". Registrato presso l’Avast Studios con l’ausilio del produttore Stuart Hallerman (Soundgarden, Mudhoney, Built To Spill) il disco introduce anche la nuova line-up della band. Dylan e la sodale batterista Adrienne Davies sono oggi raggiunti dalla violoncellista Lori Goldston (collaborazioni altisonanti con Nirvana, David Byrne, Black Cat Orchestra, Laura Veirs) e dal bassista Karl Blau (che incide in solo per K Records, oltre a collaborare con Laura Veirs e Microphones). Il disco spartiacque nella carriera del gruppo – "Hex: Or Printing in the Infernal Method" – ha praticamente dato il là alla seconda fase della loro carriera, impreziosita dal successivo "The Bees Made Honey in the Lion's Skull", in cui si affacciava addirittura un luminare della sei corde come Bill Frisell, tanto per dire della conquistata stima in ambiti altri da parte degli Earth. Un western sound da post-atomica, che dal Deadman di Neil Young si spinge oltre terre desolate con un twang chitarristico che è ora marchio indelebile. Una parabola che si completa con Angels Of Darkness dove la metropoli è un deserto, una disabitato paesaggio all’imbrunire, e lo scorrere lento degli eventi il metro per un sound da romantica oltre tomba. A livello di sensazioni Carlson chiama in causa gli eroi del british-folk, Pentangle e Fairport Convention per intenderci, oltre al blues dei Tuareg Tinariwen. Un universo che si dipana sotto rituali ed immaginifici colpi d’ascia, pellicola in bianco e nero dell’inverno della nostra vita.

01/12/10

Wire: il nuovo album nei negozi a Gennaio

Ci han preso gusto Colin Newman e soci: non solo l'intrepida reunion, ma anche i live al fulmicotone e le apparizioni nei più importanti festival europei, ancora a bacchettare giovani esordienti incapaci di plasmare la materia rock. Sempre sotto l'egida della loro Pink Flag esce "Red Barked Tree", nuova fatica da studio dei Wire, che piuttosto che adagiarsi sul proprio nobile catalogo preferiscono affrontare a testa alta il nuovo millennio. Abituati a stupirci, relativamente ai cambi interni, anche il loro sound è stato spesse volte rivisitato, sposando di volta in volta teorie pop, ispirazioni elettroniche e muri chitarristici. Proprio quest'ultima sembra essere una costante del ritorno in attività, dato anche l'impianto dei loro live, dove lo sferragliare metallico delle chitarre è il collante della performance stessa. Concepito, scritto e registrato nell'arco del 2010 dallo stesso Newman con l'apporto essenziale di Graham Lewis e Robert Grey, il disco non ha alcun tipo di ospite, onde tenere fede ad un severo ordinamento interno. Da "Adapt" all'art-punk di "Two Minutes", l'album appare come un campionario di imprese soniche, giocato sul filo del rasoio di un'attitudine che prevede tanto la dipendenza dalle armonie pop quanto la dedizione per strutture mobili ed avanguardiste. Del resto nel corpo etrogeneo dei Wire ci sono sempre stati molteplici piani di lettura. Attesi in Europa per un esteso tour a cavallo tra febbraio e marzo i nostri sono pronti a rilasciare 11 di quegli indispensabili brani che ne han costituito la leggenda.

30/11/10

Bardo Pond: un ritorno eccellente



Dopo la ristampa di Bufo Alvarius – Alvarius B è anche il progetto in solo di Alan Bishop dei Sun City Girls, per inciso una delle band idolatrate dai Bardo Pond – per il sestetto di Philadelphia è tempo di pubblicare qualcosa di nuovo. Ed è Fire Records a prenderli sotto la sua ala protettrice, dopo un lungo peregrinare che li ha visti incidere anche per Matador ed ATP. Il fatto stesso che l’album sia omonimo rappresenta un indizio sulle reali pretese della band, come se un nuovo inizio fosse all’orizzonte. In quasi venti anni di attività il gruppo ha cristallizzato il suo stile muovendo lungo le coordinate di una psichedelia liquida, che spesso incontrasse le forme più evolute del rock acido tedesco (Amon Düül, Popol Vuh, Ash Ra Tempel, Guru Guru) od inglese (Hawkwind). Parallelamente al successo raccolto da gruppi coevi, come My Bloody Valentine e Spaceman 3, i Bardo Pond – hanno battuto strade più ripide, rifuggendo i luoghi comuni dell’alternative rock. I fratelli Michael and John Gibbons – entrambi chitarristi - sono ancora i tenutari della sigla ed attorno a loro si dipana sempre la mistica della band, che è stata eletta capostipite del movimento noto come Psychedelphia. A completare l’ensemble Isobel Sollenberger (voce, flauto), Clint Takeda (basso), Aaron Igler (elettroniche) e Jason Kourkounis (già nei Mule e Delta ’72 alla batteria). Nel nuovo disco ascolterete anche i distinti contributi di Jeremiah Misfeldt all’organo Farfisa e di Dan Baltzer all’arpa. La voce gentile di Isobel ci introduce agli scenari semi-acustici di "Just Once," quasi una filastrocca lisergica che sembra coltivare un gusto spartano per l’alternative country e la musica indiana. Subito dopo si alza il volume dei pedali e l’elettricità è un conturbante corpo che ci avvolge, sfiorando punte hard in "Don’t Know About You" e "Crakler Wrist". Le lunghe mantriche progressioni della band vi soggiogheranno nei 20 e passa minuti di "Undone" con le sue riverberate visioni di un mondo antico. Da segnalare anche l'imminente presenza all’ATP curato dai Godspeed You Black Emperor, a dimostrazione dell’appartenenza a quella buona famiglia: i nostri sono rientrati nei circoli che contano licenziando uno dei migliori album della loro onorata carriera.

23/11/10

Una bella ristampa per i Royal Trux

La linea da Parigi era disturbata, anche vero che Jennifer Herrema non era il massimo della lucidità. Fatto sta che un gruppo così anarcoide come i Royal Trux poco si avvicinava al tenore di pubblicazioni di casa Virgin. Che nell’anno solare 1995 era convinta di aver messo le mani sui nuovi Black Crowes. Ipotesi. Dopo aver licenziato un disco tra i più discussi degli ultimi vent’anni – alla voce Twin Infinitives - per la benemerita Drag City di Chicago (cui ritorneranno dopo la parentesi major) Herrema ed il compagno Neil Michael Hagerty decidono di fare le cose in grande, facendosi affiancare in studio da un produttore come David Briggs, personaggio spesso associato all’icona rock canadese Neil Young. Ne viene fuori un disco di ringraziamento, non sappiamo se ai nuovi datori di lavoro o a quelle belle e propulsive sostanze di cui mai hanno fatto segreto…Thank You è il disco dell’ingresso nell’Olimpo del rock, quello con la r maiuscola. Un disco vertiginoso nella sua ordinari età, un coacervo di sonorità southern-rock e rhythm & blues, di strada e polvere. Scampoli di Little Feat, Rolling Stones in esilio sulla strada principale, funghetti di casa Grateful Dead. E chissà quali altre leccornie. Con brani come Ray O Vac ed HaveYou Met Horror James? l’ album è un delizioso commento sonoro ad un ipotetico viaggio nell’autostrada della mente. La roba buona si riconosce subito.

22/11/10

Nuovo album per Wooden Wand prodotto dalla Young God Records di Michael Gira

James Jackson Toth e' in arte Wooden Wand, in pratica un eroe di altri tempi, un cowboy metropolitano che arriva da Lexington, Kentucky. Abbiamo iniziato ad apprezzare e conoscere la sua musica con i Vanishing Voice, band con la quale ha pubblicato per alcune delle più prestigiose indipendenti americane, da 5 Rue Christine passando per Troubleman, sino ad arrivare alla Ecstatic Peace di Thurston Moore. Ora Michael Gira - altro spirito affine - gli da il benvenuto sulla personale Young God. Death Seat è cosi un disco che mette insieme alternative country ed una fumosa verve folk lisergica, laddove gli interventi del nostro sono spesso arricchiti dalla presenza di ospiti di gran livello quali membri di Lambchop, Mercury Rev, Silver Jews e Big Blood.
Un disco che si spiega tra episodi di intima autocoscienza e picchi di rurale elettricità. Quasi un Bob Dylan del dopo-bomba, capace di condurci per mano attraverso i dolori dell’anima e le fosche rappresentazioni dell’autunno in cui siamo precipitati.

Charles Bradley (& The Menahan Street Band) "No Time For Dreaming"

62 primavere, non uno scherzo, eppure uno di quegli interpreti che ti meravigli di non aver ancora incrociato nelle tante e spesso sorprendenti storie di black music. Spalleggiato dalla Menahan Strett Band - che già col debutto del 2007 Make The Road By Walking (con title-track campionata da un grosso calibro quale Jay Z) aveva conquistato un ruolo già rilevante - si inserisce di diritto nel filone vintage soul-funk. Dicendo così la sua in quel campo fatto di preziosismi vocali che prima ha riportato alla luce le gesta di Sharon Jones e poi quelle di Lee Fileds. In appena due anni di attività Dunham ha saputo imporsi come marchio competitivo, pur beneficiando dei servigi distributivi di Daptone Records. Frutto della mente del chitarrista/produttore Thomas 'Tommy TNT' Brenneck il marchio intende propugnare un'idea di soul music d'antan, rivisitando la cosiddetta golden age con un sound debitamente caldo ed analogico. Charles Bradley non è solo un nomade musicale, anche la sua esistenza ha conosciuto tappe importanti, nonchè sofferte. Per lavoro è arrivato dal Maine in Alaska, toccando altre cittadine di provincia. In tutto questo è riuscito sempre a ricavarsi un piccolo spazio performativo, continuando a curare il suo timbro così profondo. Dopo esser tornato nella natia Brooklyn, trova finalmente dei sodali per esprimere al meglio le sue potenzialità. La sua esperienza non è liberata unicamente nei testi, ma anche nella sua ruvida vocalità, instradata dal lavoro dietro al banco di regia di Brenneck (che si divide abitualmente tra Dap-Kings e Budos Band) al sempre più gettonato Dunham Studios. Mixato presso l'House of Soul - il luogo dove la Daptone ha costruito anche i suoi successi internazionali - No Time For Dreaming, è il suono di ieri secondo la declinazione moderna, un canto di speranza per tutte le anime che attraverso la musica intravedono ancora il fine, il messaggio.

19/11/10

Il nuovo album dei Majakovich in uscita a Dicembre



Sin dal titolo del nuovo album "Man Is A Political Animal, By Nature" l’universo delle contraddizioni è il ring sul quale si dimenano i tre Majakovich, al secolo Francesco Sciamannini, Leonardo Antonelli e Francesco Pinzaglia. Pubblicato da Anti-dot con distribuzione fisica e digitale da parte di Goodfellas, il disco è un raro esempio di come far convivere un tesissimo rock emozionale con rigide strutture matematiche. Rastrellando con parsimonia dagli anni ’90, puntando la bussola prima sul Northwest e poi su Chicago, i tre mettono in fila una serie di episodi bollenti, carichi di adrenalina, sempre articolati e molto particolareggiati sotto l’aspetto squisitamente ritmico. Registrato con cura verrebbe da dire maniacale da Giulio Ragno Favero (One Dimensional Man, M66r6, Teatro degli Orrori, Putiferio,etc...) al Blocco A di Padova, il disco appare come una sostanziosa rivisitazione di stilemi hard-noise e stoner, senza mai trascurare una roboante vena melodica, che punteggia tutte le tracce del disco. Sette per la cronaca, bagnate anche dalla presenza di ospiti illustri quali lo stesso Giulio Favero, Xabier Iriondo Gemmi (Afterhours, Uncode Duello, Six Minutes War Madness, A Short Apnea), Vanni Bartolini (De Glaen, O.B.O), Giovanni Ferliga (Aucan), Luca Bottigliero (Mesmerico, One Dimensional Man) e Richard Tiso. Con titoli dal fascino indiscusso come "Haran Banjo Is A Fantastic Guy" – dedica espressa al protagonista dell’animè Daitarn 3 – i Majakovich rimestano anche tra le remote scorie adolescenziali, una ricerca che parallelamente a quella musicale fa riemergere memorie collettive spesso ricacciate nel profondo della nostra coscienza.

17/11/10

Horsepower Productions - Quest For The Sonic Bounty (Tempa)

Pubblicato da Tempa, Quest For The Sonic Bounty è un contributo all’alto firmamento del dupstep made in UK. Horsepower Productions è un team già da tempo attivo nei circuiti underground britannici e la recente collaborazione in chiave di remixers per Lee Scratch Perry non ha fatto che accrescere il loro spessore. Il gruppo di produttori ha definito i tratti di questo suono editando già classici del genere come i singoli Gorgon Sound e Classic Deluxe.
Questo è il ritorno sulla lunga distanza, dopo sei anni dall’ultimo album da studio. Tra gli ospiti si segnalano la vocalist Katy B – già protagonista della stazione tematica Rinse FM – che contribuisce ad un’inedita versione vocale proprio di Classic Deluxe. Citati da Skream come autentica fonte di ispirazione, venerati dalla dj Mary Anne Hobbs come padri spirituali della scena tutta e citati da un dj così attento alle nuove tendenze come Laurent Garnier, Horsepower Productions sono da considerarsi a tutti gli effetti degli innovatori della scena elettronica più devota al dancefloor ed ai ritmi in levare. Catalizzatori per un intero movimento i nostri sono un vero e proprio collettivo, che nel corso degli anni è arrivato ad ospitare fino ad 8 figure portanti. L’incarnazione attuale prevede Matt HP aka Lev Jnr, Nassis e Jay King
Dalle bassline pulsanti di Mexican Slayride alla saga voodoo di “22" – con i misteri dei Caraibi snocciolati su basi altamente contagiose – i nostri scelgono anche un immaginario lirico molto presente. La penultima traccia è un remix di Exercising, brano apparso nel recente album di Lee Perry a titolo The Mighty Upsetter. Non resta che abbracciare la loro filosofia.

Ascolta una preview dell'album da questo link

16/11/10

Vagrants - I Can't Make A Friend 1965-1968

Ripartiamo da Nuggets e da quella strepitosa ripresa di Respect, pezzo portante del catalogo Stax inciso nel ’65 da Otis Redding e portato al successo planetario da Aretha Franklin nel 1967. Era l’anno 1972, i prodromi del punk in pratica, l’America underground urlava, l’r&b si fondeva spesso con il garage in ibridi estasianti. Si dice che i Vagrants abbiano ispirato i Ramones, probabile, tanto che il compianto Johnny Ramone concedeva un’intervista esclusiva proprio all’interno del booklet che accompagna questa preziosa ristampa. Artigianato d’alta fattura recante il marchio di Light In The Attic (vinile 180 grammi e cd con booklet exta-lusso). Quel gigante di Leslie West, prima di concedersi alle smanie proto-hard dei Mountain, imbracciava la chitarra in questa seminale formazione che arrivava dai bassifondi di Queens , New York. I Can’t Make A Friend raccoglie materiali compresi tra il 1965 ed il 1968, praticamente la collezione di singoli completa incisa per etichette quali Southern Sound, Vanguard ed Atco. Il quintetto era celebre per le sue esibizioni trascendentali, tanto da far venire il sangue cattivo a Bill Graham che se li portò in tour sulla costa occidentale. Groovy-garage, psichedelia ad alto voltaggio ed ovviamente punk ante-litteram. Sono 12 brani di quelli mozzafiato, con la preziosa produzione di Felix Pappalardi (il produttore dei Cream, per intenderci). Materiale che brucia oggi tanto e quanto lo faceva quarant’anni or sono. Il suono della rivoluzione nelle strade – tanto decantato da John Sinclair – era anche questo


Dirty Water - The music that shaped punk attitude

Ok, se non avete mai battuto il piedino su Dirty Water degli Standells, probabilmente non avrete mai approcciato quella compila manifesto che è Nuggets, ne – tanto meno -sarete confidenti con la materia proto-punk, considerato che nei sixties c’era già una miriade di formazioni dall’attitudine quanto meno chiassosa. Accade che – non a tutti beninteso – la vita ci offra una seconda opportunità. Ripartiamo dunque da quella Dirty Water che inaugura proprio l’omonima doppia compilation assemblata - con cura maniacale - dalla britannica Year Zero. Kris Needs attingendo ad uno sterminato catalogo di apparenti nefandezze - che sono nostra delizia seguendo la legge del supremo Lester Bangs – mette insieme un doppio cd zeppo di riferimenti e variazioni sul tema. La scaletta è impressionante e traccia una via che dal garage-beat passa attraverso la Detroit Rock City (con le ovvie impennate live di Mc5 e Stooges) e il glam di New York Dolls ed Hollywood Brats (loro lunica traccia inedita I Need You, cover di un classico dei Kinks). The Birth Of Punk Attitude è anche un booklet di 76 pagine, curato dallo stesso Needs, già editore della fanzine culto ZigZag, nonché autore di volumi dedicati a Primal Scream, The Clash, Keith Richards e New York Dolls. In oltre 3 decadi di musica è stato preparato il terreno per l’esplosione del punk-rock, un fenomeno che ha infatti origini spesso insospettabili. Trovare il Peter Hammill di Nadir’s Big Chance – i Van Der Graaf Generator erano uno dei gruppi preferiti di John Lydon – od il Sun Ra di Rocket Number Nine – se facciamo mente locale la Saturn è stata una delle prime etichette indipendenti – non è scelta affatto casuale. La presenza di Suicide, Silver Apples, Can e Red Krayola incide ulteriormente sulla qualità della doppia raccolta, che peraltro non trascura nemmeno i ritmi in levare di Culture e lo spoken-rap dei Last Poets, per dirci che anche la black music ha avuto un ruolo cruciale in una delle più importanti rivoluzioni estetiche dello scorso secolo.

09/11/10

Ardecore - "San Cadoco (Sol/Goodfellas)

Esce il 3 dicembre il nuovo doppio album degli Ardecore a titolo San Cadoco. Una co-produzione Goodfellas e Sol/Init. Il disco sarà presentato in anteprima al Circolo Magnolia di Milano il 18 novembre. E’ il terzo lavoro sulla lunga distanza per il gruppo capitolino e si annuncia come il loro più articolato, diviso tra il recupero della tradizione folklorica romana ed accese murder ballads spesso incrociate ad incendiari numeri rock crepuscolari. Ospiti dell’album David Tibet dei Current 93 (alla voce in La Povera Cecilia) il fenomenale chitarrista Manlio Maresca (Squartet, Neo), Geoff Farina dei Karate (chitarra acustica), Luca Venitucci (Hammond, Diamonica), Ersilia Prosperi (tromba), Massimo Pupillo degli Zu (basso) ed i due Gronge Marco Bedini e Tiziana Lo Conte.

27/10/10

Zach Hill torna con un album solista ricco di ospiti



Non conosciamo attributo più appropriato di "vulcanica" per dipingere la personalità agitata di Zach Hill. Californiano doc, si sedeva dietro ai tamburi già in tenerissima età per poi esplodere i suoi letali colpi - poco più che maggiorenne – col gruppo che gli regalerà le prime soddisfazioni artistiche: gli Hella. Il duo – ora ampliato a quartetto – fu una delle intuizioni più fortunate dell’allora sussidiaria di Kill Rock Stars, 5 Rue Christine. Demolendo i luoghi comuni del math-rock, gli Hella sfruttavano la loro certosina tecnica per forgiare un rock progressivo imbevuto in salse avant-garage e 8-bit. Da quel momento in poi il battitore di pelli – anche il talentuoso showman - non si è più arrestato, affiancando il suo nome a quello di sua maestà deil basso Les Claypool oltre che al vocalist icona del nu-metal Chino Moreno (nei Team Sleep). Lungi dal passare per session man salariato, Zach sposa unicamente i progetti a lui congegnali, è così al servizio della virtuosa della sei corde Marnie Stern come alla corte di quell’altro geniaccio che è Omar Rodriguez Lopez (Mars Volta). Con tutte queste amicizie potete immaginare forse un disco privo di ospiti? "Face Tat" è il nuovo Frankestein di Zach Hill, edito da Sargent House, dopo che la Ipecac di Mike Patton (e la stessa Anticon per il vinile) ne avevano tenuto a battesimo il debutto in solo. Un disco abrasivo ed eclettico ad ogni buon conto, dove broken beat e metallo urlante sembrano andare di pari passo. Laddove si accenni a qualche melodia indie-pop è presto la tempesta sonica a recitare la parte da padrone. Questo per dire che il senso melodico e sperimentale di Hill è sempre assoggettato ad una forma di aggressione positiva. Per un Devendra Banhart che prova a farlo rinsavire, c’è un Guillermo Scott Herren (Prefuse 73) che trasla il suo desiderio di ritmo nevrastenico. Poi ovviamente altri trafficanti di rumore nobile come Dean Spunt e Randy Randall dei No Age, Carson McWhirter degli stessi Hella ed un vate del più intellettuale rock matematico come Greg Saunier (Colossamite, Gorge Trio, Deerhoof). Tredici pezzi al cardiopalma per saggiare non solo le doti di un grande strumentista, ma anche di un uomo che non perde l’occasione di divertirsi.

Thus : Owls



I Thus : Owls nascono da un’intuizione di Erika Alexandersson con lo scopo di dare voce ai suoni che si formavano nel suo cuore e nel suo impianto auditivo. I componenti dell’ensemble si sono incontrati uno ad uno nel corso di numerosi anni nella natia Stoccolma. Dopo la logica trafila in sala prove e l’ingresso dell’ultimo tassello – direttamente dalla fiorente scena di Montreal – il gruppo decide di dare un nome al progetto e mettere a frutto le sue sperimentazioni da studio. Impressionante come il combo nord-europeo sia assolutamente in sintonia con le primizie che giungono d’oltreoceano, fatto sta che il loro debutto viene impacchettato in un indie-pop cameristico, in cui il distinto lavoro degli archi completa in maniera uniforme le armonie vocali e chitarristiche. Erika Alexandersson, che è la maggior compositrice dei Thus:Owls, è anche parte di Josef och Erika, già nominati per un Grammy svedese. Unitamente a queste sue escursioni di carattere più folk, c’è il progetto free/impro/elettronico The Moth e quello in solo eRika, con il quale ha pubblicato in Giappone. La vocalist ha un talento cristallino e la sua formazione accademica può avvicinarla a livello di orizzonti alla celebrata Joanna Newsom. Non da meno i suoi sodali in questo: Cecilia Persson è fondatrice del gruppo jazz-progressivo Paavo, Martin Höper si è addirittura esibito dal vivo con i Koop (stelle nordiche del firmamento downtempo), Ola Hultgren è parte integrante di Loney, Dear (ora in pianta stabile negli States) mentre Simon Angell ha spesso affiancato il suo nome a quello di Patrick Watson. "Cardiac Malformations" è stato registrato nel settembre del 2008 ai celebri Svenska Grammofonstudion di Göteborg. Ora è giunto il fatidico momento di diffondere il verbo e la gioia di Thus:Owls al resto del mondo, grazie ad un impianto di canzoni in bilico tra sensazioni epidermiche e malinconici momenti di riflessione.


IL VIDEO DI "SOMETIMES"

Thus Owls - Sometimes from valerie toumayan on Vimeo.

26/10/10

Album solista per Gareth Liddiard dei Drones



Il debutto solista di Gareth Liddiard dei The Drones è una faccenda sicuramente intimista, un folk nero come la pece che interrompe solo a livello estetico il continuum col gruppo madre. Perché in termini di vibrazioni, l’onda lunga della migliore rock band australiana in circolazione è ancora presente. Disponibile in cd e doppio lp, l’album è edito da ATP Recordings, che scommette ancora sul songwriter che ci regalò il delizioso "Havila" con la band madre. Gareth ha già collezionato numerosi riconoscimenti ufficiali con i suoi Drones, spogliare i suoi brani dall’elettricità del quartetto è stato solo un escamotage per ribadire la freschezza della sua scrittura. Pezzi come ‘I Don’t Ever Want To Change’, ‘Sixteen Straws’ e ‘Shark-Fin Blues’ sono già entrati nel novero delle migliori canzoni australiane di sempre, stando almeno ad un’attenta commissione di musicisti ed addetti ai lavori locali. Registrato in una tenuta isolata a 30 minuti di macchina da Yass, nella regione del New South Wales, "Strange Tourist" cattura l’essenza stessa di Liddiard: chitarra e voce, tanto basta per scatenare il suo fuoco interiore. Storie surreali sono al centro delle sue canzoni, dal suicidio di un salariato giapponese alle avventure degli equilibristi che camminano su corda tesa, passando per i radicali suburbani che sembrano resistere ad ogni avversità. In ‘Blondin Makes An Omelette’ Liddiard racconta la storia dell’acrobata Charles Blondin, dal punto di vista della sua eterna e sofferente fase di studio. Gli interessi per la storia ed il folklore australiano sono poi l’altro elemento cardine di "Strange Tourist", alimentato comunque da una vena estremamente critica e politica. Il brano ‘The Radicalisation Of D" è nella fattispecie liberamente ispirato alla vicenda dell’australiano David Hicks, ingiustamente incarcerato nel campo di Guantanamo Bay nel 2001.

"This is something really exceptional. Liddiard is inspired." - The Age (Melbourne, AUS)

“Gareth Liddiard is a songwriter of extraordinary power.” - Time Out

“Gareth Liddiard drawls and howls his way through his allegorical tales…often sounding like one of the few rock lyricists worth paying real attention to” - Guardian

“a singer-songwriter and guitarist of dark intensity…his vivid narratives draw on the landscape and character of his homeland in a delicately melancholic way” - Uncut

The Warlocks "Rise and Fall" EP and Rarities



Prossimi ad invadere il vecchio continente con una serie di date in centri nevralgici, i californiani Warlocks – alfieri della nuova psichedelica americana – programmano anche il lancio del loro nuovo marchio. Dopo le pubblicazioni per Mute e Tee Pee, è il momento di tenere a battesimo Zap Banana, label personale destinata a spolverare ricercato materiale d’archivio: s’inizia col doppio cd "Rise And Fall Ep’s and Rarities". Mettendo ordine in una discografia di per sé sostanziosa, i nostri rilanciano il loro primo album – pubblicato nel 2001 - unitamente all’omonimo Ep edito anch’esso dalla leggendaria Bomp! di Greg Shaw nel 2000. Il doppio cd in formato deluxe mette insieme anche 8 tracce assolutamente inedite, che faranno gola a nuovi e più anziani seguaci. Ancora poco avvezzi a certe soluzioni di matrice hard, affiorate nelle ultime prove da studio, i Warlocks degli esordi sembravano avvicinarsi alla laconica lisergia dei Velvet Underground - altezza "White Light, White Heat" – trafficando per di più con elementi di rock progressivo e kraut (stirpe Hawkwind/Neu!). Dopo questi primi spaziali trascorsi il gruppo fu eletto leader della scena di Los Angeles e portavoce della più liquida psichedelia, capace comunque di sostenere elementi heavy e movenze in odore di west-coast pop (vi ricordiamo, per diritto di cronaca, che Warlocks era anche il primigenio nome dei Grateful Dead). Gli otto membri della band viaggiano in un’unica direzione, elaborando spirali sonore di raro fascino. La loro musica – al pari di Brian Jonestown Massacre – è stata in pratica antesignana di quanto proposto oggi da ensemble molto chiacchierati come Black Rebel Motorcycle Club e Black Angels.


La scaletta dei dischi

Disc 1
1. Jam Of The Witches , 2. House Of Glass , 3. Skull Death Drum Jam
4. Whips Of Mercy , 5. Song For Nico , 6. Left And Right Of The Moon
7. Motorcycles , 8. Heavy Bomber Laser Beam , 9. Jam Of The Druids*

Disc 2
1. Cocaine Blues , 2. Song For Nico , 3. Jam Of The Zombies
4. Caveman Rock , 5. Angry Demons , 6. Jam Of The Warlocks
7. Turn The Radio On* , 8. Turn The Sun Down* , 9. Total Headache*
10. Dilaudid** , 11. Inside/Outside* (Demo) , 12. Shake The Dope Out* (Demo)
* inediti ** disponibili su 7” limitato a 1000 copie


Le date italiane del tour

07 dicembre Ravenna - Bronson
08 dicembre Torino - Spazio 211
09 dicembre Roma - Circolo Degli Artisti
10 dicembre Udine - No Fun
11 dicembre Firenze - Rock Contest Controradio Auditorium FLOG

Leila Adu - Ode To The Unknown factory Worker (Tracce)

Della Nuova Zelanda abbiamo apprezzato negli anni lo spirito assolutamente indipendente dei suoi gruppi rock. Ora venerate a livello di autentico culto etichette come Flying Nun o artisti del calibro di Dead C e Bailter Space (per un breve periodo fiore all’occhiello del catalogo Matador) hanno dato una scossa al retroterra Velvet Underground comune a molte formazioni occidentali.
Nulla ci aveva però preparati all’estro di una vocalist del calibro di Leila Adu, origini ghanesi e passaporto neo-zelandese, quasi un ossimoro sulla carta. Ragazza prodigio, già impiegata nella New Zealand Symphony Orchestra, la nostra ha incrociato una preparazione accademica con un’importante propensione all’indie più trasversale e a certa elettronica, palesando così uno stile personale, votato alla ricerca di una forma canzone atipica, in cui potessero convivere le sue molteplici influenze. Cresciute a dismisura negli anni, grazie al continuo girovagare attorno al mondo, con l’Europa presto eletta a nuova patria.

Il suo debutto discografico - Dig A Hole – risale al 2003, e già impressiona nella natia Nuova Zelanda come in Australia, conquistando subito un discreto air play. La sua voce è a detta della critica sinonimo di grande magnetismo. Cherry Pie del 2005 - prodotto da David Long (vincitore del Producer of the Year Award 2001 ed ingegnere del suono per Lord of the Rings) – insiste sulla falsa riga dell’esordio, con Leila circondata da uno stuolo di favolosi strumentisti locali. L’accento è sul suo piano percussivo e su una voce che esce prepotentemente allo scoperto.

Con Dark Joan del 2009 l’intento dichiarato è quello di riunire i suoi trascorsi jazz e la propensione alla ricerca in un formato pop elastico, in cui le canzoni assumano finalmente un ruolo predominante. Registrato preso l’Electrical Studio di Steve Albini, in quel di Chicago, il disco è pubblicato dall’inglese Frizz Records, marchio londinese emergente alle prese con una modernizzazione del verbo black music.

Dopo l’album in trio a firma Truth in The Abstract Blues (con la chitarra di Mike Cooper e la batteria di Fabrizio Spera) licenziato da Tracce/Rai Trade e l’esordio dal vivo con il monicker di Leila Adu & the Don’t al fianco di due autentiche leggende come il bassista John Edwards ed il batterista Steve Noble (Rip Rig & Panic), Leila pubblica il suo quarto album per Tracce/Rai Trade.

In Ode To The Unknown Factory Worker, riconoscerete i numerosi temi della tradizione nera americana, un recupero spontaneo per Leila Adu. Sintomatico della sua evoluzione, il disco fa dell’essenzialità un pregio. Accompagnata unicamente in quattro tracce dalla batteria di Daniele De Santis, Leila impone il suo carattere di innata performer, ponendo la sua malleabile ugola al servizio di brani dalle scarne impalcature, capaci di cogliere nel segno, con cura ed immediatezza. Tra le righe di un suono intimista si parla il linguaggio del pre-war blues, del folk e di un pop quanto mai sghembo ma assolutamente nobile. La capacità della Adu è nel conferire un fascino disarmante a brani apparentemente scarni come ‘Martian Raft’ e ‘A Moment Of Peace’, spostando l’immaginario popolare verso forme più elette.


21/10/10

Jane Birkin "Di Doo Dah" (Light In The Attic)

Dopo la benedetta ristampa del capolavoro lounge concepito a quattro mani col discusso compagno Serge Gainsbourg, Jane Birkin torna a deliziarci con il suo vellutato timbro grazie al recupero filologico dell’album Di Doo Dah.
Presentato con tutta la dovizia di particolari in una versione prontamente revisionata – comprendente il singolo La Decadanse/Les Langues De Chat uscito nel 1971 – da Light In The Attic, il disco aumenta i languori della chanteuse inglese naturalizzata francese. Pubblicato da Fontana nel 1973 Di Doo Dah è lavoro sottilmente peccaminoso, in cui le architetture pop si sposano ai giochi orchestrali del direttore supremo Jean Claude Vannier (lo stesso uomo che seppe valorizzare la vocalità e la coralità di Gainsbourg).
Un album che a tutti gli effetti va considerato come il debutto in solo della nostra, impegnata anche sul grande schermo nel medesimo anno. Ironia della sorte interpretava il ruolo di amante di Brigitte Bardot (che da poco era uscita da un relazione tempestosa con Gainsbourg) nel film Don Juan (Or If Don Juan Were a Woman).
La Birkin non mostra alcun timore reverenziale, in ambo i casi. Forte degli arrangiamenti di Vannier, che addirittura riportano in auge le acide chitarre blues di Duane Allman e di Zoot Horn Rollo (sodale di Captain Beefheart all’epoca di Lick My Decals Off, Baby), il disco è un sofisticato corollario di canzoni dall’aria solo apparentemente svagata. Con un libretto che assume i connotati di un prontuario biografico e la puntuale traduzione dei testi in lingua inglese, la ristampa di Light In The Attic si pone ancora una volta nello scaffale degli irrinunciabili.

Italian Instabile Orchestra "Totally Gone"

dopo "creative orchestra", l'acclamato album inciso sotto la direzione di Anthony Braxton, l'Instabile torna al suo formato abituale e pubblica un nuovo capitolo, prodotto negli studi di rai radio 3 a cura di Pino Saulo, per il prestigioso catalogo Tracce.
L'orchestra, arrivata a celebrare il suo ventesimo anno d'attivita', continua a rappresentare una delle realta' paradossalmente piu' stabili del jazz di ricerca italiano.
L'ensemble attuale sembra esprimere una fase di matura rilassatezza: il suono e' lirico, variopinto e consapevolmente eterogeneo.
Il repertorio appare ricco, sfaccettato, con brani basati su arrangiamenti raffinati e piacevolmente estroversi. L'improvvisazione collettiva e il solismo individuale si intrecciano alla composizione in modo fluido, organico, sempre ispirato e mai distaccato.
"Totally Gone" e' un album che si snoda nell'arco di otto composizioni a firma di altrettanti membri dell'orchestra, in un lungo percorso, stilisticamente articolato che si conclude nell'ironia dell'unico brano non originale, 'It Had To Be You', cantata dal trombonista Sebi Tramontana nell'inedita veste di crooner appassionato.
L'orchestra si presenta al gran completo, un collettivo di diciassette elementi, perfettamente bilanciato tra esponenti di diverse generazioni: dalle voci storiche di trovesi e schiaffini, passando per l'asse centrale di cavallanti, tononi, minafra e actis dato, fino ad arrivare alle forze nuove di Maier, Puglisi e Parrini.
Un'entita' esplicitamente multiforme, una sorta di specchio fedele e tridimensionale dello stato attuale del jazz di ricerca italiano.
Carlo Actis Dato sax baritono, Daniele sax tenore, Eugenio Colombo, sax soprano, flauto, Gianluigi Trovesi sax alto, clarinetti, Alberto Mandarini, Luca Calabrese, Pino Minafra tromba, Martin Mayes corno francese, Lauro Rossi, Giancarlo Schiaffini, Sebi Tramontana, trombone, Emanuele Parrini, violino, Paolo Damiani violoncello, Giovanni Maier, contrabbasso, Fabrizio Puglisi piano, Tiziano Tononi, Vincenzo Mazzone batteria, percussioni.

Nuove ristampe per la Jon Spencer Blues Explosion

Continua la rutilante serie di ristampe dedite alla Blues Explosion di Jon Spencer.
E’ ora tempo di recuperare la primordiale enfasi rock’n’roll di Year One, ad oggi l’uscita più prossima alla matrice garage’n’roll del lotto. Il disco è pubblicato in una versione estesa, 38 brani in tutto, con le originali incisioni di Reverse Willie Horton, le registrazioni del 1991 curate da Steve Albini, un paio di sette pollici d’epoca, una traccia bonus dall’edizione giapponese e l’inedita versione di History Of Sex. Un suono sferragliante, che a suo modo chiuderà un primo capitolo della loro genesi.

Con Extra Width del 1993 la musica cambia, anche radicalmente. Con sferzanti organi hammond ed una bastarda vena funky il trio si affaccia dalle parti della Stax, con in cuore le imprese di Booker T & The Mg’s e Bar-Kays. Un brano come Afro è tuttora un istantaneo successo da dancefloor. Il cd è doppio con l’aggiunta integrale di Mo’ Width ed ulteriori brani dal vivo.

Orange del1994 rimane per molti il punto più alto della parabola artistica della Jon Spencer Blues Explosion. Non a caso il disco contiene il groove assassino di brani come Bellbottoms, Flavor e la stessa Orange, dilanianti ossessioni in 12 battute come Brenda ed una generale propensione al ritmo nero. L’amore nei confronti di hiphop e broken beat sfocerà infine in Experimental Remixes, che nel nostro caso è anche cd bonus. Mike D dei Beastie Boys, GZA del Wu-Tang Clan, Beck, Moby e Dub Narcotic sono i cospiratori del caso.

Acme del1998 è lavoro più raffinato, un’ulteriore cambio di rotta, non meno affascinante. Il programma originale si arricchisce di remix ad effetto da parte di Techno Animal e Jim Foetus. Nel secondo cd troviamo Extra Acme, praticamente un album di outtake, alternate version sconvolgenti e remix ancora una volta avvincenti ( Dan The Automator e ancora Dub Narcotic). Un’abbuffata con tutti i crismi, per il miglior boogie del ventesimo secolo.

Il ritorno degli EX - Catch My Shoe

Per la mera statistica Catch My Shoe – edito dalla label di casa Ex Records – è l’album numero 25 per il longevo collettivo olandese, una delle forze motrici del post-punk continentale, un’istituzione che ha varcato non solo l’oceano ma anche il continente africano. Dopo mille sconvolgimenti interni la formazione si assesta attorno alle figure degli storici chitarristi Terry ed Andy Ex, della batterista Kat e del nuovo ingresso Arnold De Boer. Versatile cantante/chitarrista, questi è l’ultimo arrivato e Catch My Shoe in assoluto la sua prima comparsata in studio, se si fa eccezione per il singolo apripista della scorsa primavera. Gli Ex hanno ricreato uno stile, traendo linfa dalle espressioni comunitarie inglesi – i Crass in prima battuta – hanno fatto sì che il loro spigoloso approccio chitarristico flirtasse di volta in volta con l’acume della world music e gli spiragli creativi dell’avanguardia europea. Hanno conquistato i cuori di Thurston Moore e Lee Ranaldo dei Sonic Youth – che facevano la loro bella comparsa nel doppio Joggers & Smoggers – hanno sposato la causa del compianto violoncellista Tom Cora (con il quale hanno inciso due album) ed hanno stretto un’alleanza del tutto particolare con i Tortoise per un episodio della fortunata serie In The Fishtank.
Cosa accade in Catch My Shoe? Evidentemente i viaggi in Africa e la maestosa collaborazione con il leone etiope Getatchew Mekurya devono aver sortito i loro buoni effetti. Il disco è sferragliante, i suoi ritmi ipnotici ci rimandano proprio al continente nero e le doppie chitarre spesso risuonano come le mbira elettrificate dei congolesi Konono No.1 (che non a caso esordirono con un disco dal vivo per la Terp del chitarrista Terrie).
Ci sono tutti gli elementi per una nuova fascinosa escursione nei meandri dell’etno-punk, una definizione che forse lascia il tempo che trova, ma che sulla carta indica gli esatti connotati del manifesto The Ex. Registrato come di consuetudine negli ultimi anni all’Electrical Audio di Chicago dall’occhialuto Steve Albini, Catch My Shoe è un altro importante capitolo nella storia della band di Amsterdam, il cuoi domicilio noto è solo una scusa per portare un messaggio globale agli innumerevoli seguaci sparsi in ogni angolo del mondo.

Nuova uscita per Hyperdub: Terror Danjah - Undeniable

Terror Danjah è un nome di peso nel circuito di Londra est, le sue produzioni hanno già segnato un punto di svolta nell’economia del dopo grime e 2-step. Il fatto stesso di aver associato il suo nome a marchi come Hyperdub, Planet Mu, Butterz ed Hardrive (sua personale etichetta) ha portato ad una rapida ascesa nei circuiti underground della capitale inglese, tanto da guadagnarsi una posizione di assoluto rispetto nell’area dei club più illuminati.

La caratteristica del suo sound è riscontrabile in una costruzione robotica, addirittura paragonabile alle complesse creazioni di Escher. Undeniable il debutto lungo per Hyperdub, dopo una serie di Ep e mixtape, è così la mutazione definitiva del suono grime, in una veste futurista che sembra inglobare tanto le intuizioni strumentali del dubstep, quanto la vocalità di certa house music.

Dream Mclean è un degli MC che si fanno largo tra le pieghe del disco, assieme ai suoi contributi si notano quelli di Mz Bratt, Griminal e del leggendario D Double E direttamente dal combo Newham Generals.
Per un prepotente avvicinamento al pop più impregnato di cultura black, dovrete invece ascoltare Lauren Mason in 'All I Wanna Do'. Questo tipo di impostazione consente a Terror Danjah autentiche scorribande nei più fantasiosi luoghi dell’elettronica di confine, quella che copula con il g-funk e con i ritmi spezzati, incapace di fermarsi all’apparenza delle cose per progettare un assalto al cardiopalma. Tra i ritmi in levare con patina cibernetica ed i più risoluti passaggi che guardano alle scuole di Detroit e Chicago, Undeniable è l’evidenza dello stato di grazia della suburbia britannica. Una continua scossa elettrica sul letto degli archetipi ritmici moderni.

19/10/10

Asmara All Stars - Eritrea's Got Soul

E’ il ritorno dell’Eritrea. Dopo 30 anni di guerra con l’Etiopia ed un decennio di reclusione forzata, Asmara All Stars ci rende partecipi della migliore musica partorita nella regione con il programmatico album edito da Out Here Records a titolo “Eritrea’s Got Soul”.
Di per sè questo è già un record, in un paese in cui è difficile poter incidere un album con mezzi propri, in considerazione dell’estrema tensione politica, che attanaglia tutte le sfere sociali.
In questo senso il progetto Asmara All Stars prescinde totalmente dalla politica, focalizzandosi sulla produzione di musiche eccitanti. In prima battuta il produttore francese Bruno Blum (l’uomo che introdusse Serge Gainsbourg al dub e curò il remix di "War" di Bob Marley con il discorso di Haile Selassie) ha avuto discrete difficoltà nel trovare la giusta amalgama, ma presto la sintonia raggiunta in studio ha permesso ai musicisti coinvolti di eccitarsi, mettendo in luce un talento del tutto personale.
Il suono di questa formazione è la summa di molteplici esperienze, non ultime le influenze raccolte copiosamente dai territori limitrofi. Logico aspettarsi una patina di esotismo jazz – al pari delle pubblicazioni della collana Ethiopiques – anche se il filtro è decisamente più moderno e la tendenza ad incanalare ritmi caraibici ed arrangiamenti più soulful una costante. Nonostante anni di completo isolamento culturale, elementi di una eredità locale sono rimasti visibili, corretti secondo esigenze contemporanee e oggi parte del tessuto genetico di Asmara All Stars.
La speranza è che gli obiettivi puntati sulla cosiddetta age d’or, possano anche concentrarsi su questa avvincente avventura. L’ album registrato nella stessa Asmara - capitale eritrea, nel 2008 – è stato prodotto facendo perno su sistemi analogici che rendessero giustizia all’approccio live della band. Con l’ausilio dell’ electric kar, di una sezione fiati in grande spolvero, di un organo viziosamente funky e l’intervento delle ugole più in vista della regione, il miracolo si compie.
“Eritrea’s Got Soul” esplora così le profonde pieghe della tradizione locale, annunciando una rivoluzione culturale con tutti i crismi.

18/10/10

Jim Sullivan - U.F.O. (Light In The Attic)

Nel marzo del 1975, Jim Sullivan scomparve misteriosamente nei pressi di Santa Rosa, New Mexico. Il suo automezzo era abbandonato, la sua camera d’hotel assolutamente in ordine. Qualcuno sostiene si sia perso nel deserto, qualcuno – evidentemente in cattiva fede- pensa ad una faida locale con malavitosi del posto. Altri – verosimilmente – pensano al rapimento da parte degli alieni.
Per coincidenza – o forse no – il debutto di Jim del 1969 portava il titolo di U.F.O. Pubblicato per una minuscola etichetta (le cosiddette private press), il disco non fu mai regolarmente distribuito sugli scaffali dei dischi, fino a che la Light In The Attic di Seattle ha ben pensato di riportarlo alla luce, seguendo la sua rigorosa etica editoriale, che prevede un giusto compenso per i diretti interessati o le famiglie degli stessi. C’era anche la volontà di indagare sulla scomparsa di Jim. Evidentemente è stato più semplice ripubblicare il disco – tra mille cavilli burocratici – che riscattare l’anima del cantautore.

Avete presente quel tipo di aste fameliche che si tengono su eBay? U.F.O. è proprio quel tipo di disco, ne salta fuori una copia ed immediatamente viene battuta a prezzi da capogiro. Settimo figlio di una numerosa famiglia, Jim Sullivan vede i natali nella West Coast, muovendo spesso tra San Diego e Los Angeles. Sempre ai margini della notorietà, il nostro si accompagnava a stelle del firmamento cinematografico come Harry Dean Stanton e a musicisti come Jose Feliciano show. Arrivo per fino a strappare un cameo nella pellicola culto Easy Rider.

L’attore ed amico Al Dobbs pensò bene di investire sull’uomo e fondò addirittura un’etichetta - Monnie Records – per produrre l’esordio di Jim, chiamando in causa The Wrecking Crew, celebre gruppo di session men già al lavoro per Phil Spector. Don Randi, Earl Palmer e Jimmy Bond sono i musicisti ed arrangiatori del disco.

U.F.O. rimane un album incredibile, la prova di un folk-singer alle prese con un contesto mutevole. Ci sono sicuramente elementi lisergici nella musica e distinti arrangiamenti orchestrali che rimandano direttamente ad un’ altra eminenza grigia degli studi di registrazione: David Axelrod. U.F.O. è così un disco di musica pop d’avanguardia, flirtato attraverso gli umori di un’oscura Los Angeles.

The Jim Sullivan Story from Jennifer Maas on Vimeo.



C.W. Stoneking - Jungle Blues


La sensazione di miracolo si avverte lungo tutta la musica di C.W. Stoneking, sarà per il suo manifesto esotismo, sarà per la sua capacità di abbracciare il roots con fare estemporaneo, ma il suo blues della giungla è davvero un carnevale senza fine. Di quelli che non vanno unicamente in scena nella foresta, ma anche nelle periferie urbane - in qualche festa clandestina - o anche a bordo riva. Le influenze dell’uomo si raccolgono attorno al pre-war blues, al jazz, al calypso degli anni ‘20 ed ovviamente ad una serie di esperienze personali, che ne hanno contraddistinto la genesi artistica. Accompagnato dalla fida chitarra National Reso-Phonic, da un banjo tenore e dalla brass band puntualmente nota come Primitive Horn Orchestra, Stoneking muove tra un repertorio di solitari holler blues ed un approccio che sembra quasi rievocare l’epica della giungla.

King Hokum del 2005 lo aveva fatto conoscere progressivamente al grande pubblico, con undici canzoni che rinverdivano il blues anni ’30. Il suo stile sembra quasi baciato dalla tradizione orale, riportando alla luce storie secolari, che ben si sposano col suo fluido chitarristico e le sue innate doti di paroliere.
Con Jungle Blues il nostro aggiusta ulteriormente il tiro, ispirandosi liberamente ad un naufragio vissuto in prima persona sulla costa africana occidentale Al suo quinto album da studio il musicista australiano – con residenza a Melbourne – sarà felice di invadere l’emisfero occidentale con la sua musica, baldanzoso ibrido di primitivo blues, jazz d’antan ed investiture folkloriche. Sapete già chi invitare al prossimo party…

13/10/10

Nuova uscita dal Collettivo degli Animali: Avey Tare "Dow There"



Se ricordate Pullhair Rubeye, concepito a 4 mani con la sua compagna Kría Brekkan (Kristín Anna Valtýsdóttir, originariamente nei Múm), probabilmente siete abituati all’estremo gioco di riferimenti che Avey Tare (1/3 degli Animal Colelctive) propone di album in album, spesso vagando attorno all’essenza stessa di suono. Proprio quel progetto del 2007 - edito da Paw Tracks – giocava con l’idea di reverse invitando l’ascoltatore a riavvolgere ‘manualmente il nastro’ per cogliere l’originale natura dei brani. Con buona pace dei praticanti del rock satanico e dei suoi poco futuristici rituali.
Down There è altra faccenda, ovviamente si scorgono l’indole pop marziana degli Animal Collective, gli screzi kraut-industrial del progetto Terrestrial Tones (con membri di Black Dice) ed un’innata propensione al collage-sonoro, ma sono piccoli frammenti di canzoni quelli che di soppiatto si insinuano sotto pelle. Sono nove i brani in scaletta, improbabili commistioni di soul e musica concreta, vibrazioni electro e sixties pop, impossibili trame hip-hop ed uno speziato retrogusto indie.
Nulla è dunque dato per scontato, dalle vette del più arguto rumorismo elettronico all’intimità di una chitarra arpeggiata o di un piano elettrico appena sfiorato, le emozioni sono spesso calibrate, nella misura in cui Avey Tare si divide tra i ruoli di musicista estroso e ricercatore incontentabile.
Registrato nel mese di giugno dal fido Josh Dibb (Deakin) alla Good House, una vecchia chiesa di New York nord, Down There è un bignami post-moderno, una celebrazione dell’universo pop underground.