28/03/08

When Life Gives You Lemons You Paint That Shit Gold

Atmosphere il prolifico duo composto da Slug e dal produttore Ant è pronto a pubblicare il suo sesto album ufficiale da studio, dal caustico titolo di When Life Gives You Lemons, You Paint That Shit Gold. Il gruppo di Minneapolis è tra le stelle del firmamento hip hop undergound, avendo messo in piedi qualcosa come 2000 concerti e venduto circa un milione di dischi, pur rimanendo tra gli artisti di punta di Rhymesayers Entertainment.
Gli ultimi due album della crew, Seven Travels (uscito per Epitaph nel 2003) e You Can't Imagine How Much Fun We're Having del 2005, hanno rappresentato il cosiddetto cambio di marcia per Atmosphere, favorendo la loro partecipazione a show di successo quali Late Night with Conan O'Brien ed il Jimmy Kimmel Live, oltre a 160 spettacoli come headliner negli Stati Uniti, in Canada, Europa, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud.
Nel 2007 Slug ed Ant hanno ulteriormente solidificato la loro fama di produttori prolifici, con la pubblicazione al di fuori dei classici canali commerciali della serie ultralimitata Sad Clown. I volumi 9, 10 ed 11 non hanno rappresentato altro che una succosa anticipazione per i numerosi fans, pronti a chiedere sempre di più.
Dopo un album ‘natalizio’ disponibile unicamente in download è l’ora dell’ennesimo lancio sulla lunga distanza. La pubblicazione di When Life Gives You Lemons… sarà supportata da due videoclip per i brani Guarantees e Shoulda Known. La stampa di settore già rumoreggia mentre gli imminenti show al Koko ad allo Scala di Londra sono sold out già da diverse settimane. Per l’occasione Atmosphere avrà una backing band in carne ed ossa composta da 5 elementi.
Le lucide rime di Slug si srotolano nuovamente sui tappeti ritmici costruiti ad arte da Ant, in un celebrazione che deve tanto ai maestri della old school – soprattutto Public Enemy e Boogie Down Production – pur rimanendo forte l’intesa con artisti contemporanei quali Jurassic 5, Aesop Rock, Cage e Brother Ali (con i quali hanno spesso diviso il palco).
Particolare attenzione è data a tutti i formati del disco. Il vinile sarà doppio (colorato, giallo, proprio per omaggiarne il titolo) e limitato, mentre la prima stampa in cd si presenterà in un libricino dalla copertina rigida, dorata, nelle cui 40 pagine trova spazio una storia per bambini illustrata, firmata dallo stesso Slug. Nella prima tiratura disponibile anche un bonus dvd, con oltre un’ora di immagini live ed interviste esclusive.

27/03/08

Giulty Simpson "Ode To The Ghetto" (Stones Throw)

La nuova scommessa in casa Stones Throw si chiama Guilty Simpson. Il suo debutto fa seguito ad una serie di strategiche apparizioni: "The Shining" e "Ruff Draft" di J-Dilla, le compilation "Chrome Children", i remixes di Four Tet/Dabrye e "Champion Sound" di Jaylib. Grande dispiego di produttori per Ode To The Ghetto: Madlib, J-Dilla, Oh No e Deanun Porter (Dr.Dre, D 12).
Un disco che si impone per la sua versatilità, i suoi campionamenti esotici e le fluenti rime di Simpson.


http://www.stonesthrow.com/
http://www.stonesthrow.com/guiltysimpson/
http://www.myspace.com/guiltysimpson

26/03/08

JAMES PANTS - Welcome

Il battesimo artistico di James Pants ha una data ed un luogo: siamo in Texas, nell’anno 2001, quando il nostro si avvicina cautamente al boss di Stones Throw Peanut Butter Wolf dispensando quello che era poco più di un provino, una sorta di rude demo promozionale.

Un incontro che presto assume i connotati del classico sogno che si trasforma in realtà. In tempi brevissimi le attenzioni del proprietario di Stones Throw si spostano sul bianco virgulto, che dopo un periodo di internariato presso la stessa etichetta viene messe sotto contratto dallo stimato ‘padrino’ artistico Penaut Butter Wolf. Che non a caso ripone più di una speranza nei suoi confronti, tanto da dipingerlo come la next big thing di casa.

A rendere più credibile la sua fama il coro unanime delle riviste di settore: Busy P, URB, XLR8R e Dazed & Confused tra le altre.

Il segreto di James Pants è ormai pubblico: il suo essere poliedrico lo rende animale di razza nel circuito della musica ritmica. La sua attitudine per natura trasformista lo porta a spingersi ben oltre gli steccati del genere, ricordando in questo la versatilità di una figura guida come quella del folletto di Minneapolis Prince.

In questa esplosione di colori e stili si rinnovano i tributi ai generi, si passa dalla mutant disco alla new wave, dal primissimo rap all’electro boogie fino a toccare il soul moderno di marca eighties.
Fioccano i paragoni per il nostro, che ha realizzato un autentico tour de force del groove, richiamandosi a nomi storici quali Cameo, Egyptian Lover e Timex Social Club o a moderni interpreti dei generi suddetti quali Chromeo o il produttore Pahrrell.
Un caleidoscopio di stili, del resto cosa vi aspettavate da un personaggio che ha imparato a scratchare sui dischi degli Steppenwolf?


TICKLEY FEATHER


Tickley Feather è il debutto omonimo di Annie Sachs, musicista originaria della Virginia ed ora residente in quel di Philadelphia, Pennsylvania. Dopo aver supportato gli Animal Collective nel recente tour americano approda sull’etichetta degli stessi: Paw Tracks. E’ bastata una manciata di singoli per farla apprezzare al più esigente pubblico indie, ora è pronto il lancio per una una delle label più in vista del circuito underground (Panda Bear, Black Dice, Ariel Pink, Excepter).

Tickley Feather, questo il nomignolo d’arte, è una fine songwtiter legata però alla sacra estetica del lo-fi e del do it yourself. Spesso supportata da mezzi di fortuna è stata capace di ottimizzare i vantaggi delle registrazioni casalinghe: pur registrando su un quattro tracce è riuscita a dare profondità e spessore alle sue canzoni, deliziosamente pop anche se arricchite da inconsueti disturbi ed arrangiamenti fantasiosi.

Cale la regola prendi l’arte e mettila da parte. Il disco è contrassegnato da brani che esaltano soffici atmosfere notturne, poggiandosi su un minimale bagaglio di elettronica cheap, barbara effettistica ed una voce senza meno carismatica. Canzoni che sono la naturale selezione di un lavoro svolto meticolosamente negli ultimi quattro anni. Un segreto ora rivelato.

Annie vive anche in maniera contraddittoria l’approccio alla sua musica, suscitando a più riprese sentimenti contrastanti, in bilico tra gioia, dolore e speranza. Sempre – ed unicamente – rispondendo al proprio ego. Tutto questo per trarre il massimo vantaggio da musiche di stampo ovviamente minimalista, eppure talmente carismatiche da sembrare il frutto di uno studio applicato. Sono tante le sensazioni che si insinuano in questo album, sicuramente tenera è la voce del suo bambino, mentre mormora le sue stravaganti idee alla madre. I suoi lavori sono stati ad oggi accostati a numi tutelari della canzone pop, declinata psichedelica od elettronica. Ecco dunque venire alla mente i nomi di Syd Barrett e Kate Bush, due luminose guide nel percorso solista di Annie, un’ autrice destinata a dare vigore al termine bedroom music.

20/03/08

Il ritorno di Daniel Lanois


“Here Is What Is” è il rimarchevole sesto album solista nella carriera di Daniel Lanois, un disco indipendente pubblicato dalla sua stessa label, la Red Floor Records. Oltre ad essere acclamato autore, Lanois si è distinto nel corso dell’ultimo ventennio per le sue doti di producer, accostando il suo nome non solo al capolavoro degli U2 “The Joshua Tree”, ma anche a firme altisonanti quali Bob Dylan, Brian Eno e Neville Brothers.

Il disco è stato registrato tra Toronto e Los Angeles, con l’ausilio del batterista Brian Blade (accompagnatore di lusso per Joshua Redman, Joni Mitchell, Norah Jones) e del pianista Garth Hudson (The Band). Oltre alle canzoni ci sono degli interessanti interludi dal piglio filosofico, in cui Lanois conversa con Brian Eno. Le tracce sono estrapolate dal film “Here Is What Is”. L’omonima pellicola – che ha debuttato al Toronto film festival nel 2007 – sarà disponibile separatamente in DVD a partire dal mese di aprile. Nelle parole dello stesso Lanois il film è costruito attorno ad una camera da presa che lo ritrae per il corso di un anno, fuori e dentro lo studio di registrazione per documentare – una volta per tutte – come si svolgono le cose all’interno di quelle mura. Diretto da Adam Vollick, Adam Samuels e Lanois il video celebra lo stato dell’arte di uno dei più apprezzati produttori del nostro tempo.

Prestigiosi anche i contenuti dell’album, sorretto da una sensibile vena folk rock e da un sibillino romanticismo di fondo. Vincente anche nella ricerca dei timbri e delle atmosfere, che spesso richiamano con proprietà di linguaggio i luoghi della musica contemporanea, attraverso un pianismo classico e accenni percussivi di scuola minimalista. Un disco che possiamo definire – senza timore di essere smentiti – un’opera d’arte a tutto tondo.

18/03/08

Pete Molinari - A Virtual Landslide


Non lasciatevi ingannare dal suo volto, Pete ha appena 22 anni…o meglio prendete dannatamente sul serio la sua immagine da loser d’altri tempi, perché Molinari – nonostante l’anagrafe – è un autentico veterano. E’ la nuova scommessa di casa Damaged Goods, un’etichetta che dell’estetica rock’n’roll ha fatto un credo, accogliendo ripetutamente al suo capezzale un uomo come Billy Childish.
A vederlo, Pete sembra un fragile ed involontario incrocio tra Johnny Cash e James Dean, e se dell’uno può incarnare lo spirito del cantore solitario, dell’altro può ricordare la spregiudicata gioventù bruciata, che invece di sedersi al bordo di un fiammante bolide preferisce ‘confessarsi’ nelle radure di una bucolica America.
A Virtual Landslide è così un disco d’altri tempi, anzi un disco senza tempo, baciato da un seme di giusta immortalità. Pete è un crooner e come tale le sue canzoni accompagnano in maniera fluida liriche che cantano di amori persi e storie sussurrate.
Originario di Chatham, Inghilterra, Pete è un meticcio, avendo addirittura origini egiziane, italiane e maltesi, ciò nonostante riesce a calarsi con semplicità disarmante nei polverosi scenari del grande sogno (illusione?) americano, altezza anni 50/60. Di lui si è immediatamente innamorato il produttore Liam Watson: i suoi Toe Rag Studio sono stati mecca per star del calibro di White Stripes e The Kills. Proprio Liam è riuscito a conferire un sound incredibile al suo nuovo album, scarno eppure eccentrico negli arrangiamenti.
Tra gli ospiti segnaliamo la presenza del chitarrista pedal steel BJ Cole (ultimamente richiesto a sopresa da artisti come Luke Vibert e Basement Jaxx), che aggiunge un ulteriore flavour ‘sudista’ a questo magnetico debutto.

Un’artista che sembra abbeverarsi alla stessa fonte di Hank Williams, Bob Dylan, Leadbelly e Jimmy Rodgers, catturando il nostro immaginario con una riconoscibile voce in falsetto ed una sublime sei corde acustica.



’Molinari’s voice and haunting melodies left me feeling that the musical void in the British music scene will most definitely be filled. He can follow in the footsteps of Dylan and Guthrie’ NME

"A singular talent....his distinctive voice and guitar establish him as a Medway Hank Williams. Worth investigating." - UNCUT

’The soul of American music distilled into the voice of a Cuban-heeled greaser from the Medway Delta’THE GUARDIAN

‘An extraordinary new British talent...4.5/5’ - THE SUN

‘A spellbinding, wondrous voice....an amazing album’ - STOOL PIGEON

‘Young, finger-picking, country-blues marvel Molinari has a thrillingly ambiguous voice...’Virtual Landslide’ is an actual triumph’ - TIME OUT

‘A superbly realised piece of folk blues heartache’ - MOJO

‘Sweet-voiced blues-folk...a cherishable artefact even before you fall under the spell of the actual music’NME

12/03/08

Yeasayer il nuovo video

Lo strepitoso video di "Wait for the Summer", brano tratto dall'eccellente "All Hour Cymbals" del gruppo newyorkese, uscito a fine 2007 per l'etichetta We Are Free!

http://www.yeasayer.net/

http://www.myspace.com/yeasayer


10/03/08

Nuova Uscita Leaf Label

ESSIE JAIN - We Made This Ourselves (Leaf Label)

La ventinovenne Essie Jain – inglese di nascita e ora di stanza a New York – debutta con questo We Made This Ourselves, un album dal minimalismo quieto e potente al tempo stesso.
Nata in una famiglia di musicisti, Essie è cresciuta a Londra, dove fin da piccola studia pianoforte classico, violoncello e canto lirico. Un'educazione che lei stessa sospende una volta superata la soglia dell'adolescenza.
“Ho dovuto tagliar fuori la musica dalla mia vita per essere in grado di ripartire. Penso che tutti nella mia famiglia fossero contrari ma io ho sempre saputo che la musica sarebbe tornata a far parte della mia vita, e infatti è successo. Quando avevo vent'anni ho passato un anno davvero molto complesso e difficile a livello personale – trovavo molto difficile parlare a chiunque delle cose che stavo passandro e avevo bisogno di un modo per esprimerle. Ecco come la musica è tornata.” Jain ricomincia da capo a New York, iniziando lentamente a scrivere la sua musica.
“Non ero sicura di chi fossi come musicista. Avevo bisogno di un po' di tempo per respirare, per capire, e così ho preso un 8 tracce, una chitarra, un pianoforte e me stessa e ho cominciato a registrare.” Questa nuova situazione permette a Jain nuove esperienze in nuovi ambienti musicali. Conoscere il chitarrista Patrick Glynn ha poi illuminato il suo percorso.
“E' stato come quando si trova il pezzo mancante di un puzzle che è rimasto nascosto sotto il divano”, spiega Jain. “Semplicemente stiamo bene. Penso che lui abbia davvero capito quello che stavo facendo, e allo stesso tempo aveva un suo personale contributo da apportare alla mia musica. Sentivo parlare le persone di una chimica musicale che si può sviluppare con qualcuno e io avverto questo ad un livello molto profondo con Patrick.”
La coppia si esibisce in concerti low-key nel circuito folk di New York come duo di piano/voce e chitarra e partecipa con la traccia “Why” alla compilation della Kill Rock Stars The Sound The Hare Heard nel 2006.
Messo sotto contratto dall'etichetta newyorkese Ba Da Bing (la stessa di Beirut, tra gli altri), il duo si è poi concentrato sulla registrazione del debutto di Essie Jain We Made This Ourselves, con le percussioni di Jim White (Dirty Three, Will Oldham, Nina Nastasia) ad aggiungere ulteriori ispirazioni aelle session finali. Registrato per la maggior parte nel suo appartamento, l'album ruota attorno al pianoforte di Jain e alla sua voce misurata e discreta con occasionali passaggi di ottoni, fisarmonica, archi, chitarra o percussioni silenziose. Il disco “ha finito per avere un'intimità ed un carattere che non penso sarebbe stato possibile per noi ottenere in altro modo”, spiega Jain. “Volevo che fosse un disco per una “dark-hour” - quando le persone hanno bisogno di qualcosa per guarire o piangere, quando si sentono prigioniere, per avere un po' di quiete dalle cose che il mondo getta loro addosso. Ci sono momenti in cui questo può sembrare scomodo o difficile, ma è proprio quello di cui sono fatti questi momenti.”
L'effetto è quello di un chamber-folk delicato e dolorosamente onesto, il resoconto dettagliato di una storia tesa che sta fallendo e di un io emozionale che si sgretola.
La tensione montante prodotta dagli archi insieme ai cori celestiali di Jain nelle armonie stratificate di “Sailor” è decisamente avvolgente. E l'esclamazione in “Talking” - “Shut up, shut up talking / You gotta be kidding me” - non è mai stata cantata in modo tanto elegante o triste. In “Loaded”, il lamento del pianoforte accompagna le crude parole di Jain: “You passed out on uneven ground / I saw you / I saw you / Loaded, you were / Once again / Out of your mind / And on mine”. E la solenne e gentile chitarra di “Glory” trasporta la voce di Jain quasi come in un inno. Mentre il tono dell'album è segnato da un oscuro minimalismo che evita ogni indulgenza, le emozioni sono raramente sotto controllo, sempre a un passo dalla superficie. E l'effetto è affascinante. Essie si sta al momento esibendo come quartetto, con Patrick Glynn alla chitarra elettrica, un batterista e un bassista/trombettista e sta già ultimando il suo secondo album che uscirà negli Stati Uniti nel corso del 2008.