31/10/12

Raime: i rumori della nuova Londra





‘Quarter Turns Over A Living Line’ è l’atteso di debutto della coppia di produttori inglesi Raime. E’ il seguito all’omonimo ep d’esordio del 2010, seguito a ruota dagli altrettanto fortunati singoli  'If Anywhere Was Here We Would Know Where We Are' ed 'Hennail'. Allontanandosi progressivamente dall’arte del campionamento delle prime fatiche, Joe Andrews e Tom Halstead hanno preso maggiore confidenza con la strumentazione live, per quella che è la loro prima prova sulla lunga distanza. Integrando ore ed ore di incisioni, grazie ad un chirurgico lavoro di editing, i nostri si fanno guidare da tappeti percussivi, chitarre apparentemente irriconoscibili e sezioni d’archi puntualmente camuffate., assemblando in maniera del tutto casalinga un album coi fiocchi.

Rimangono in primo piano gli elementi gotici ed industriali che da sempre hanno caratterizzato la loro arte. Ma strategie più subdole ed oblique si insinuano nella loro scrittura, lasciando spazio a memorie jungle (in alcune dinamiche ritmiche), cedendo anche alla fascinazione per certo drone-metal, dub e classica contemporanea. ‘Quarter Turns Over A Living Line’ è la prima pubblicazione estesa ufficiale dedicata ad un gruppo contemporaneo della Blackest Ever Black, la giovane indipendente londinese di proprietà del duo, che ha già realizzato mix di Tropic Of Cancer, Regis, Black Rain, Pete Swanson, Cut Hands oltre alla necessaria ristampa di Flaming Tunes (la band post-This Heat Gareth Williams).



L'ultimo fremito degli ex-Throbbing Gristle





Industrial Records è orgogliosa di presentare il doppio DESERTSHORE / THE FINAL REPORT, progetto da lungo tempo in cantiere ed ultima collaborazione fattiva tra gli ex membri dei Throbbing Gristle Chris Carter, Peter 'Sleazy' Christopherson e Cosey Fanni Tutti. Due progetti concepiti separatamente, a conferma della statura di questi inarrivabili innovatori nel circuito avant/post-punk britannico. ‘Desertshore’ è un tributo personalissimo al seminale album concepito da Nico nel 1970. Un’iniziativa cui il compianto Coil Peter Christopherson inizia a lavorare a Berlino nel 2006. Nel 2010 nella sua nuova dimora di Bangkok, dopo aver riveduto alcuni arrangiamenti, si prepara a registrare i contributi vocali di numerosi ospiti. Chris & Cosey nell’attesa del suo ritorno in patria, nel dicembre dello stesso anno, preparano altro materiale. Sleazy purtroppo non tornerà più nella natia Albione, perderà la vita in circostanze ancora misteriose nel sonno, la notte del 25 Novembre a Bangkok.

Ma una promessa era stata fatta allo sfortunato compagno: quella di completare l’album.  Con l’entusiasmo di numerosi collaboratori vicini e lontani, il disco vede oggi la luce: un vero e proprio tripudio artistico. Antony, Marc Almond, Blixa Bargeld, l’ex-pornostar Sasha Grey e Gaspar Noé sono i nomi associati al progetto. La pietra miliare prodotta da John Cale è così rivisitata in maniera inedita dai padrini della rivoluzione industriale, tra intersezioni elettroniche e segnali in codice, seguendo la logica delle esibizioni live dei riformati Throbbing Gristle (prima che i rapporti con Genesis P-Orridge si incrinassero definitivamente) e le ultime prove da studio degli stessi Coil (quel fenomenale capitolo conclusivo a titolo ‘Ape Of Naples’).  

‘The Final Report’ è invece un’appendice alla travagliata storia dei TG, un’ultima seduta per i 3 che hanno continuato a coltivare un’amicizia autentica negli ultimi 36 anni. I loro lavori pionieristici hanno per sempre cambiato il volto dell’underground britannico, quest’ultimo contributo un compendio alle loro più recenti collaborazioni. Un lavoro di editing magistrale ha portato allo smaltimento di ore ed ore di registrazioni. Chris Carter, Peter 'Sleazy' Christopherson e Cosey Fanni Tutti avevano ritrovato un via ispirata, proprio alla vigilia del tragico evento. Completato nello studio personale di Chris & Cosy nel Norfolk, l ‘album contiene materiali registrati a cavallo tra il 2009 ed il 2010. Una vena sperimentale irradia le incisioni, liberando lo spirito di questi fantastici alchimisti.

Di seguito la scaletta completa dei due dischi:

Desertshore: 1/Janitor Of Lunacy 6:47 - Vocals by Antony Hegarty  2/Abschied 4:32 - Vocals by Blixa Bargeld 3/ Afraid 4:38 - Vocals by Sasha Grey 4/The Falconer 6:04 - Vocals by Marc Almond 5/ All That Is My Own 4:58 - Vocals by Cosey Fanni Tutti 6/ Mutterlein 5:17 - Vocals by Blixa Bargeld 7/ Le Petit Chevalier 4:24 - Vocals by Gaspar Noé 8/ My Only Child 5:15 - Vocals by Cosey Fanni Tutti 9/ Desertshores 4:54


The Final Report: 1/ Stasis 6:38 2/ E.H.S. 4:00 3/ Breach 5:03 4/ Um Dum Dom 2:03 5/ Trope 6:12 6/ What He Said 6:27 7/ In Accord 5:57 8 /Gordian Knot 3:47 9/ Emerge To Space Jazz 6:03 10/ The End 1:42







I primi 3 album di Gil Scott-Heron finalmente restaurati





I tre album registrati da Gil Scott-Heron per la Flying Dutchman di Bob Thiele , sono tra i documenti più importanti di tutta la storia della black music. Tutta la maturità di un talentuoso artista, alle prime incisioni ufficiali. Il manifesto ‘The Revolution Will Not Be Televised’ rimane oggi come spot di tutta la controcultura americana, più che un monito l’accertamento di quanto l’avanzamento mediatico non sia mai andato di pari passo con i sommovimenti delle masse. Per la prima volta queste incisioni ricevono il giusto trattamento in digitale, dopo numerose ristampe dal taglio non propriamente elegante. ‘The Revolution Begins’ è così il compendio ideale alla prima parte di carriera del poeta afro-americano. Attingendo ai nastri originali BGP ha ripulito quei master, riportando alla luce un suono nitido, caldo ed impeccabile. L’altra buona notizia riguarda il terzo album della collana,  ‘Free Will’, oggi riproposto con una scaletta diversa.
Emerso negli anni ‘70 con il romanzo ‘The Vulture’ e la piccola raccolta di poesie ’Small Talk at 125th and Lenox’, Gil Scott-Heron viene successivamente introdotto al produttore Bob Thiele dalla sua casa editrice. Riportando il titolo della raccolta sopracitata, il primo lavoro del nostro è essenzialmente uno spoken-word, colorato dalla spartana presenza di 3 percussionisti.

Il successivo ‘Pieces Of A Man’ è già un album stellare, che proietta l’autore nell’olimpo dei grandi della musica nera. Si inaugura la collaborazione con il musicista Brian Jackson, studente alla Lincoln University ed uomo chiave nell’evoluzione di un suono che spiccherà letteralmente il volo, grazie ad arrangiamenti ariosi che riscatteranno lo spirito rudimentale delle prime sortite. Registrato con i migliori musicisti sul mercato (dal basso elettrico di Ron Carter alla batteria di Bernard ‘Pretty’ Purdie e passando per il flautista/arrangiatore Hubert Laws) il disco vede sedersi lo stesso Jackson al piano. Dalla rivisitazione dell’hit ‘The Revolution Will Not Be Televised’ ad altri classici magistrali come ‘Home Is Where The Hatred Is’ e la stessa title-trtack - dove i drammi sociali prendono il sopravvento su liriche immerse nelle logiche quotidiane – il disco è il preludio alla stessa rivoluzione rap. Il tributo ad un idolo musicale in  ‘Lady Day and John Coltrane’ è poi il certificato di autenticazione di un masterpiece.

‘Free Will’ del 1972 è il terzo disco che chiudeva l’epocale collaborazione con l’etichetta. Il triplo cd assemblato da BGP è ovviamente ricco di alternative take, che danno una dimensione ancor più chiara del certosino lavoro in studio. Un antologia essenziale per celebrare uno degli autori più influenti della storia contemporanea, il cui ricordo è ancora scolpito in maniera vivida nella memoria di centinaia di migliaia di sostenitori.


Sun Airway: il ritorno del new romantic?





Di ritorno con un secondo album denso di nuove tematiche, con ‘Soft Fall’ Sun Airway ci accompagna per mano tra le pieghe di un ideale universo etereo. Inizia tutto nello studio casalingo di Jon Barthmus, in quel di Philadelphia. Gli elementi mutuati dalla musica classica vengono elaborati dal produttore in maniera autonoma, sezionati e preparati per l’esecuzione ad hoc di un quartetto d’archi, in un appropriato studio di registrazione. Il lavoro è successivamente soggetto a post-produzione con l’intervento prezioso di David Wrench (Caribou, Bat for Lashes, Bear in Heaven), che porta questi rudimentali mix a nuove vette.

In ‘Soft Fall’ le canzoni pop di Sun Airway escono dall’intimità di una cameretta per affacciarsi all’interno di un’ipotetica cattedrale. Pezzi luminescenti e saturi di colore, capaci di fiorire in piena autonomia all’esterno delle vostre casse. Un’orchestra a portata di mano, che interagisce con lo spettro pop di Barthmus, amante di quella sofisticata iconografia che ha fatto grandi le stazioni radiofoniche americane degli anni ’80. Non sbalorditevi di fronte agli echi di un Electric Light Orchestra, nemmeno di fronte all’omaggio sentito alla scuderia Factory attraverso le icone New Order. L’elettronica interagisce con gli archi, creando tappeti avvincenti, accompagnandoci in una romantica sala da ballo, tra luci soffuse e beats comunque consistenti. Pochi hanno saputo cogliere gli aspetti più reconditi della musica dance come Sun Aiway, prima di lui forse i celebrati M83 ed i nordici Radio Dept.. Un disco che in maniera omogenea affronta il lascito della new wave, tra onde FM e arrangiamenti spiegati.

In pratica la musica di cui sono composti i sogni.


Pop exotico da Taken By Trees





Dopo aver abbandonato le eterne promesse dell’indie pop inglese Concretes, Victoria Bergsman ha intrapreso la carriera solista scegliendo il nome d’arte Taken By Trees. Dopo aver licenziato un paio di lavori per la sempre prestigiosa inglese Rough Trade, cambia abitudini e soprattutto domicilio, accasandosi presso Secretly Canadian.  ‘Other Worlds’ è il suo poema impressionistico, ispirato da un viaggio alle isole Hawaii, luogo in cui ha tratto linfa vitale per scrivere le canzoni del nuovo album. Lavorando a stretto contatto con la fotografa Amanda Marsalis,Victoria ha documentato intimamente il suo soggiorno, registrando letteralmente i suoni in natura, servendosi anche delle documentazioni filmate di Amanda, dando così vita ad un progetto intimamente multimediale.
Il pop di Taken By Trees si bagna all’occorrenza nel dub, facendosi cullare da acquatiche linee di basso che innalzano la grammatica di questa atipica folk singer. Merito anche del produttore Henning Fürst che ha lavorato con grande attenzione ai suoni, cercando di replicare proprio quel clima tropicale dai cui la Bergsman è stata letteralmente investita.


Almeno un paio di brani sono stati portati ad esempio nello studio di registrazione: la traccia strumentale ’Diamond Head’ dei Beach Boys e ‘AP Spezial’ del re della melodica Augustus Pablo. Composizioni additate come esempio per via dei loro tratti naturalisti: tra onde marine distanti, tuoni e cinguettii. Del brano dei Beach Boys, Taken By Trees intende isolare il suono magnetico  della pedal steel, mentre per quello che riguarda Augustus Pablo è tutta la gamma delle sonorità dub ad esser presa in esame. Un disco che aldilà delle scelte sonore propone brani eclettici e di sicura presa. Con ‘Other Worlds’ l’invito è ad abbandonarsi a queste luminescenti sonorità, in un viaggio del corpo e della mente.


30/10/12

Isis: capitolo finale





L’attesa è terminata!
Il capitolo finale nella discografia degli Isis ha finalmente un nome. ‘Temporal’  è una collezione di rarità, inediti, remix e video che affronta vigorosamente  gli oltre 13 anni di carriera di questa incredibile formazione, capace di rappresentare uno dei ruoli più innovativo nel circuito del rock estreme. Questo fantastico documento sarà licenziato da Ipecac il 5 di novembre e sarà composto da 14 brani, suddivisi in due cd e da cinque video musicali inclusi nel dvd in allegato.

Continua comunque imperterrita l’attività musicale dei cinque transfughi da questa esaltante istituzione heavy. Aaron Harris, Jeff Caxide e Clifford Meyer hanno recentemente unito i loro flussi creativi con Chino Moreno (Deftones) per dar vita ai Palms, di cui si attende con grande trepidazione il debutto per la stessa Ipecac, schedulato a inizio 2013. Gli  Old Man Gloom di Aaron Turner hanno invece pubblicato l’album  No’ sul finire di giugno per la ormai defunta Hydra Head. Tutto questo non precluderà al nostro di girare gli States, l’Europa ed il Giappone assieme ai Mamiffer. Mike Gallagher continua invece con il progetto in solo MGR, oltre ad occuparsi di colonne sonore, di cui la più recente è 22nd of May.

Nel dettaglio la tracklist: 

CD 1

1.  Threshold of Transformation (demo)
2.  Ghost Key (alternate demo version)
3.  Wills Dissolve (alternate demo version)
4.  Carry (demo)
5.  False Light (demo)
6.  Grey Divide (demo)
 
CD 2

1.  Streetcleaner (cover dei Godflesh registrata nel 1999)
2.  Hand of Doom (cover dei Black Sabbath, originariamente pubblicata nel cd del 1999 Sawblade)
3.  Not in Rivers, But in Drops (remix a cura di Melvins/Lustmord; originariamente pubblicato su Holy Tears del 2007)
4. 
Holy Tears (remix  di Thomas Dimuzio; originariamente su NIRBID del 2008)
5.  Temporal (inedito registrato nel 2009)
6.  Way Through Woven Branches (dallo split Melvins/ISIS del 2010)
7.  Pliable Foe (dallo split Melvins/ISIS del 2010)
8.  20 Minutes/40 Years (versione acustica inedita)

DVD (video ufficiali)

1.  In Fiction
2.  Holy Tears
3.  Not In Rivers, But in Drops
4.  20 Minutes/40 Years
5. 
Pliable Foe (precedentemente inedito)




 

29/10/12

Dentro il futuro coi Bad Brains!





Il 20 novembre l’appuntamento è con la storia. A cinque anni dall’ultima prova in studio torna una leggenda dell’hardcore americano: i Bad Brains. Pubblicato da Megaforce come il suo predecessore del 2007 ‘Build a Nation’, il nuovo disco porta il profetico titolo di ‘Into The Future’, come se il gruppo originario di Washington DC non temesse il confronto con l’attualità. Difficile che questi mostri sacri possano temere rivali, tanto che i loro numerosi estimatori fanno letteralmente la fila pur di averli come ospiti alla prima occasione.
Il vulcanico H.R. si è recentemente unito ai Deftones il 26 di ottobre al Rams Head Live! di Baltimore, Maryland, per un paio di pezzi: una cover fulminante di ‘Right Brigade’ e ‘Bored’ degli stessi Deftones. H.R. ha dichiarato al Rolling Stone che la musica connette il passato al futuro: i miei vocalizzi hanno rafforzato l’impatto del gruppo unitamente all’espressione della chiesa della musica. Non sarebbe mai stato un album eccellente senza ciò che lo ha preceduto, i nostri esordi discografici continuano ad essere un’ispirazione maggiore e – a dire il vero – le cose sembrano andare sempre meglio.

I Bad Brains hanno prodotto  ‘Into the Future’ in piena autonomia dopo che il precedente album  era stato supervisionato dal compianto Adam ‘MCA’ Yauch dei Beastie Boys. La band ha incluso un remix di ‘Peace Be Unto Thee’ come tributo allo stesso Yauch, amico di vecchia data tra i loro primissimi estimatori. ‘Into The Future’ è il più autentico esempio del suono  Bad Brains dai tempi della mitica cassetta su Roir, almeno nelle parole del bassista Darryl Jenifer. Questo disco rispecchia l’idea stessa di autoproduzione, mostrando un senso reale di libertà artistica, assieme alla volontà di sperimentare. Ascolterete delle basi molto soulful unitamente ad assalti hardcore, riff metal e classiche sonorità dub.

Il documentario sulla band - ‘Bad Brains: A Band in D.C.‘  - è stato realizzato quest’anno ed inserito nella programmazione dei maggiori film festival internazionali. Il 12 ed il 13 di ottobre è apparso sul grande schermo anche al prestigioso Woodstock Film Festival di New York.



Zombie Zombie: motorik electro-funk





Nell’anno in cui le profezie Maya dovrebbero compiersi, i francesi Zombie Zombie pubblicano un nuovo album per etichetta Versatile dal profetico titolo “Rituels d’un Nouveau Monde” (rituali di un nuovo mondo). Scelta francese volta ad enfatizzare l’ appartenenza non solo geografica ma anche musicale. Tra le più affascinanti realtà dell’Europa continentale Zombie Zombie aderiscono ad un filone ‘retronuevo’ che trova in John Carpenter e nei nostrani Goblin i suoi più nobili referenti. Ma  col nuovo disco il combo francese ci sorprende, illumina, ci culla sulle ali di note stellari, che oltre a sfruttare la contingenza cinematica, puntano al cielo come direzione maestra. Etienne Jaumet è ai comandi con sintetizzatori analogici e modulari, rhythms boxes, effetti e voce, Cosmic Neman suona la batteria e le percussioni (rototoms, bongos, maracas, tambourine..) mentre il celebre produttore Joakim (uno degli artefici del cosiddetto ‘french touch’) siede dietro al banco di regia del suo studio parigino Labyrinthe. Un sala d’incisione da sogno: come non essere ispirati da un luogo in cui le tastiere analogiche sono fianco a fianco ai più efficienti e raffinati equipaggiamenti da studio?

Il disco è stato registrato la scorsa primavera nel mezzo dei numerosi impegni concertistici dei due, che vantano anche carriere soliste di sicuro interesse (Cosmic Neman è da anni coinvolto con la band francese Herman Dune ad esempio). C’è molta spiritualità e magia all’interno di questo lavoro, anche se il gruppo non commette l’errore di prendersi troppo sul serio, scegliendo sempre una via raffinata ed una voce duttile. I riferimenti non mancano, la cultura dancefloor è sicuramente presente nel loro dna, ma è pronta ad accendersi in contaminazioni a dir poco coraggiose. Come nel caso di ‘Rocket N.9’ uno dei più celebri ‘singoli’ ideati dal sommo pontefice del cosmo Sun Ra. Una versione convincente, nonostante il confronto con uno dei padri dello spiritual jazz potesse suscitare qualche giustificata incertezza. Lo stato di trance rivelato dai ripetuti ascolti è comune alle tradizioni africane e caraibiche, tanto che i rituali di quelle antiche popolazioni sono stati traslati in musica dai due, al fine di ottenere un effetto realmente cosmopolita. World music futuribile se preferite, che non mancherà di conqusitarvi anche attraverso ritmi motorici (inconfondibile il tribute ai Neu! di ‘L’Age D’Or’)


Prince Rama e 10 hit per la fine del mondo





E’ il 2012 e seguendo le indicazioni dei Maya le Prince Rama sembrano prepararsi al peggio, non certo con una lista da isola deserta, bensì con una vera e propria top 10 da fine del mondo.
Concepito come una pseudo-compilazione,  l’album del duo di Brooklyn mette in fila i maggiori successi di 10 pop band scomparse durante l’apocalisse, chiamando in causa i fantasmi di ogni interprete per rendere ancor più credibili le nuove versioni. Muovendosi in piena libertà tra i generi e viaggiando ipoteticamente nel tempo,  la raccolta estemporanea elabora le connessioni tra musica pop e memoria, facendo leva su sentimenti come la nostalgia e lo spirito di appartenenza universale. Le influenze sono davvero disparate, non sorprendetevi dunque nel ritrovare il gruppo alle prese con cosmic disco, motorcycle rock, new-wave, grunge, goth, pop arabico e addirittura ghost-modern glam. Prince Rama filtrano ogni suono attraverso la lente deformante del futuro post-apocalittico.

Registrato per buona metà da Tim Koh presso l’ Ariel Pink’s Haunted Graffiti’s studio e mixato da Scott Colburn (Animal Collective, Sun City Girls, Arcade Fire), Top Ten Hits of the End of the World non è propriamente un album pop, quanto un requiem retrospettivo di tutti gli album pop mai dati alle stampe. Nulla del genere è stato mai messo in cantiere da una singola band e l’eco residuale di quest’operazione continuerà a manifestarsi in questa e nella ‘successiva’ vita

Le sorelle Taraka e Nimai Larson hanno così dato un contributo deciso alla musica indipendente, formulando un’ipotesi astrusa ma quanto meno originale. Cresciute all’ombra di fenomeni locali come Animal Collective – ricordiamo come Paw Tracks sia un’emanazione degli stessi – ed Ariel Pink, le nostre hanno sempre sposato un’immagine forte, quasi sciamanica. La loro filosofia di vita assieme ad un’adesione spregiudicata ad arcaiche forme spirituali, ne fanno un caso più unico che raro nelle trafficate stanze della musica popolare moderna.




26/10/12

Sufjan Stevens anticipa il Santo Natale





Chi può salvarci dagli infedeli che remano contro le classiche abitudini natalizie? Non dovete guardare oltre e soprattutto non dovete mettere in difficoltà il vostro commerciante di fiducia. Il vostro eroe si materializza nei panni di Sufjan Stevens un diligente autore di canzoni e storie che si muove in solitario, armato di banjo e drum machine. Raccolto nella sua stanza dei sogni – che è per necessità anche uno studio di registrazione – il nostro ha tutto il necessario per mettere a  punto il secondo volume di un’antologia votata – è proprio il caso di dirlo – alle canzoni da depositare sotto l’albero.

Circondato da un volume dispensatore di inni, da composizioni musicali religiose, da spartiti musicali e da fotocopie dei cataloghi Readers Digest espressamente dediti al Natale, Sufjan Stevens intona le sue nuove composizioni a tema in tono sornione. Sono canzoni d’amore, di speranza, auspicano una pace interiore e non. Un mondo ideale in cui gli angeli custodi osservano i nostri movimenti ed ispirano le nostre azioni. In questo cofanetto composto da 5 Ep - Gloria, I Am Santa’s Helper, Christmas Infinity Voyage, Let It Snow, Christmas Unicorn – siamo avvolti da un’atmosfera quasi surreale, precipitati per incanto nelle nostre memorie ancestrali. Tante le figure e gli oggetti ricorrenti in quello che è un quadretto familiare esteso: le buste della drogheria sottocasa, il ponte coi guidatori all’interno del tunnel, gli operai, gli spazzini, le madri abbandonate, i ricchi ed i poveri, i morti viventi, la vergine Maria e lo spirito santo, il principe di Persia, l’unicorno del natale (proprio in quel ‘Christmas Unicorn’ ascolterete una citazione palese di ‘Love Will Tear Us Apart’ dei Joy Division)  e tutti quegli invisibili ospiti di un paradiso ideale che partecipano a questa assurda avventura cosmica. Inseguendo canzoni di speranza e redenzione con un cuore che rispetti la sacralità del Natale, spingendo per l’indulgenza nei confronti dei peccatori, pregando per la resurrezione dei morti ed un mondo migliore per i nascituri. Amen.


Al disco partecipano numerosi musicisti, che oltre ad esser legati da un rapporto di amicizia sincero con Sufjan, ne condividono la visione di un pop estatico. Ascolterete a diverso titolo Aaron e Bryce Dessner (The National), Richard Reed Parry (Arcade Fire), Cat Martino (braccio destro di Sufjan da The Age of Adz), Sebastian Krueger (Inlets), Gabriel Kahane, Vesper Stamper, e membri della famiglia Danielson (Daniel, Elin, Lilly, and Ida). Assieme ai cinque cd non possono certo mancare gadgets a tema, dai favolosi adesivi natalizi ai tatuaggi temporanei che faranno impazzire i vostri ragazzi. Una carta ornamentale, un poster scaccia-apocalisse, i testi delle canzoni con i relativi spartiti, fotografie allucinanti ed una grafica a dir poco psichedelica, curata dallo stesso Sufjan, che in vita sua ha difficilmente mai acceso uno spinello…Le estese note di copertina che illustrano il progetto in maniera esaustiva sono di Sufjan Stevens e del ‘protetto’ Vito Aiuto, pastore presso la Resurrection Presbyterian Church di Williamsburg, New York, e leader di Welcome Wagon.





16/10/12

Matmos - Very Large Green Triangles



In concomitanza con quello che la stampa ha definito il loro miglior disco da diversi anni a questa parte - l'Ep The Ganzfeld per la nuova etichetta Thrill Jockey -  i Matmos realizzano un video animato grazie al puntuale intervento dei vecchi partner di L.inc productions.
Immagini ispirate dalle vecchie copertine di dischi rock progressive e dalla fantascienza anni '80, nelle parole dello stesso regista Ed Apodaca. Un viaggio che allo stesso tempo vuole essere divertito e psichedelico.

Matmos - Very Large Triangles

02/10/12

Esce il 15 ottobre il nuovo Godspeed You! Black Emperor






E’ difficile credere che sia già passato un decennio dalla pubblicazione di ‘Yanqui U.X.O’., l’ultimo album da studio della compagine canadese che ha definitivamente infranto i canoni del dopo-rock. Del resto l’etica che da sempre ha caratterizzato i Godspeed You! Black Emperor è molto distante dalle logiche di mercato, quasi a definire un approccio ‘politicizzato’ che forse dai tempi dei Crass non era stato così deciso. Per Yanqui  nessun piano promozionale o di marketing, il disco usciva in sordina poco prima del natale 2003, ribadendo semmai il credo extra-parlamentare dei nostri, forti indipendentisti francofoni con base a Montreal. Mai scorderemo quella bomba molotov effigiata sul retro-copertina dell’Ep ‘Slow Riot For New Zero Canada’ e ancor meno la back cover di Yanqui, dove vengono tracciati i rapporti inestricabili tra le multinazionali del disco e la vastità dell’industria bellica.

Tornanti propriamente in azione nel 2010, senza del resto mai aver annunciato un ufficiale allontanamento dalle scene, i Godspeed hanno anche organizzato una delle più riuscite edizioni del festival ATP, portando con sé numerosi artisti del roster Constellation. Il ritorno in studio è improvviso, volutamente tenuto segreto. Contrariamente alle logiche che vogliono il social network in anticipo sui tempi. Nessuna indiscrezione, ancora a ribadire quella veduta distante dalle logiche aberranti del consumismo.

Chi segue i Godspeed rispetta le consegne, un atto di fede e rispetto. Per tornarsi a scuotere di fronte all’annuncio improvviso, alla trasmissione di dati istantanea. Quattro i  lunghi brani che costituiscono questa ascesa paradisiaca: Mladic, Their Helicopter’s Sing, We Drift Like Worried Fire e Strong Like Lights At The Printemps Erable. Un cd ed un lp con sette pollici in allegato, un nuovo trionfo dei sensi, un’epica inarrivabile. La prima e la terza traccia del disco sono state registrate presso lo studio di ‘casa’ Hotel2Tango da Howard Bilerman, la seconda e la quarta nella sala prove del gruppo stesso, successivamente mixate presso The Pines. Il vinile è stato stampato in grammatura 180 presso Optimal (Germany) con copertina apribile.

La formazione del gruppo prevede oggi i seguenti musicisti: Thierry Amar, David Bryant, Bruce Cawdron, Aidan Girt, Efrim Manuel Menuck, Michael Moya, Mauro Pezzente, Sophie Trudeau e Karl Lemieux.




L'arena di Fatboy Slim





Big Beach Boutique è il nuovo cd + dvd del fenomeno inglese Fatboy Slim. Il primo ed il 2 di giugno del 2012 Norman Cook si è esibito in quello che è giusto definire il suo più ambizioso spettacolo in carriera: il Big Beach Bootique 5,  il primo rave party ad andare in scena in uno stadio di calcio inglese. La città è Brighton (città adottiva dell’ex-Housemartins) casa dell’ Hove Albion FC, il complesso l’Amex Stadium. A ricevere in maniera a dir poco entusiastica uno dei padrini del ‘big beat’, un pubblico quantificabile in oltre 40mila unità. E non siamo certo noi a dovervi spiegare quale fosse la chimica che ha accompagnato l’evento. In occasione del quale è stato eretto il più grande muro di luci: oltre 600 metri quadrati di pura estasi visiva. Con una miriade di campanelli e fischietti a puntellare tutta la performance, in un clima genuinamente festaiolo.

Filmato in maniera eccellente in Dolby 5.1 surround, la scaletta di Fatboy Slim mette in fila alcuni dei suoi più grandi successi, al fianco di clamorose hit a firma Calvin Harris, Armand van Helden e Knife Party. Sono stati anni incredibili per il dj, Fatboy Slim ha girato il globo in lungo ed in largo, battendo alcune delle più celebri capitali della musica. Dal Detroit music festival alla Grande Muraglia cinese, passando per la babilonia del divertimento Las Vegas e circoscritte puntate in Brasile e Giappone. Ma il mito della grande spiaggia continua a rivivere in un tour che vedrà il nostro protagonista nel 2013 con eventi speciali in Sud Africa, Sud America e ancora in Oriente, all’inseguimento di ogni record possibile nell’industria dell’intrattenimento.


01/10/12

Matthew E. White, il volto nuovo dell'adult pop?





Come molti di noi, Matthew E. White è nato e cresciuto in un universo strutturato. Tra le sabbie di Virginia Beach e la giungla di Manila, Matthew è stato così esposto a scenari completamente diversi, tra oriente estremo e le luci sfavillanti di una delle località turistiche per eccellenza degli Stati Uniti.

Uno dei passi decisi verso l’universo musicale coincide con il prematuro abbandono del gioco del basket. Scegliendo una chitarra come amico, Matthew si diletta in ascolti sagaci, sfiorando le polveri del Delta blues, rimandando a memoria le incisioni primordiali di Alan Lomax e concentrandosi sulle tecniche di registrazione di Lee Perry all’interno del suo Black Ark. Una gioventù scandita peraltro dalle storie del menestrello di New Orleans Dr. John, dalle altre invenzioni jamaicane di King Tubby e dai cicli minimalisti di Terry Riley.

Una curiosità che accende il giovane musicista alla ricerca di una via originale al pop, in cui le orchestrazioni, per quanto realizzate in economia, potessero comunicare un senso di grandeur più unica che rara. Ogni piccola particella musicale è finalizzata al raggiungimento di un risultato consistente, come un’opera capace di resistere all’urto del tempo. C’è un occhio cinematico ed un senso tangibile di eternità. Anche i testi ricoprono un ruolo importante, sfiorando condizioni comuni di amore, morte e ricerca. Anche in questo caso le liriche tradiscono tributi espliciti ad eroi personali come Washington Phillips, Allen Toussaint, Jorge Ben, Jimmy Cliff e Randy Newman.

Laddove non c’è una sezione fiati a puntellare il tono quasi carnascialesco dell’album, c’è una sezione d’archi (il brano sotto la lente d’ingrandimento è Big Love) condotta da Trey Pollard assieme alle frenetiche tastiere di Phil Cook dei Magafaun. Chitarrista eccezionale con un importante training jazz alle spalle, White è solitamente accompagnato dal bassista Cameron Ralston (il saggio) e dal batterista Pinson Chanselle (il mitico), in quel trio che prende il nome di Spacebomb House Band. Fiati, archi e cori sigillano poi Big Inner, uno sforzo ancora encomiabile per Hometapes, che ci regala il più logico successore al capolavoro dissepolto Pacific Ocean Beach di Dennis Wilson.




Il nuovo Menahan Street Band





Pochi dubbi sul fatto che Daptone sia depositaria del nuovo verbo soul, e pochi dubbi sull’eccellenza certificata degli artisti in catalogo. La cura negli arrangiamenti ed il tocco sublime degli strumentisti di casa ha consentito al marchio made in Brooklyn di toccare ripetutamente le vertigini del successo, costruendo un seguito mondiale impareggiabile. Il combo meglio noto come Menahan Street Band licenzia il suo secondo album il 30 di ottobre, ridefinendo così i confini della sua scienza musicale.

Un disco interamente strumentale registrato nel corso degli ultimi due anni, The Crossing è un manifesto sonico che in 11 passi fotografa l’essenza stessa della band, i cui frutti rigogliosi hanno avuto la capacità di influenzare un’intera scena, non fosse altro per le loro capillari collaborazioni. Portati per mano dal chitarrista/produttore Tom Brenneck e dal batterista e co-fondatore Homer Steinweiss, Menhan Street Band conta poi sul talento individuale del bassista Nick Movshon, del trombettista Dave Guy e del sax tenore Leon Michels. Tutti e cinque i musicisti si sono incrociati a più riprese a partire dagli albori dello scorso decennio in numerosi progetti, cruciale poi la membership nella formazione-simbolo di questa rinascita : i Dap-Kings. Tra gli ospiti ‘associati’ segnaliamo il tastierista degli Antibalas Victor Axelrod - organo in due pezzi - e Mike Deller della Budos Band al piano.

Con The Crossing il gruppo espande mirabilmente i suoi orizzonti, puntando ad un sound più corposo e aperto ad influenze world. C’è una sicura fascinazione per l’ethio-sound – così come riportato in auge da Mulatu Astatke – uno sguardo d’insieme al tocco latino di casa Fania e tante reminiscenze del più groovy catalogo Blue Note. Il disco è stato registrato nel rispetto religioso delle tecniche analogiche presso il Dunham Sound Studios, il piccolo tempio costruito 4 anni or sono da Brenneck dopo aver ricevuto da Jay-Z un sotanzioso assegno per le royalties di Make The Road By Walking, brano campionato dallo stesso produttore r&b nel singolo di successo “Roc Boys (And the Winner Is…)”. Tra gli artisti che si sono serviti al contempo della sala d’incisione e dei membri di Menahan ricordiamo : Mark Ronson, Rufus Wainwright, Cee-lo Green, Theophilus London e Diane Birch.




JahWobble/Keith Levene: di nuovo insieme dopo i PIL






Difficile non pensare a questa collaborazione come ad una risposta piccata al ritorno in scena dei Public Image Ltd di John Lydon. Che i rapporti tra il bassista originale dei PIL e l’ex-Pistols non fossero idilliaci ne abbiamo avuto riprova nel corso degli anni, ma continuare a speculare sulla vicenda non porta da nessuna parte. Piuttosto, facciamo ordine. Perché il basso e la chitarra di una delle più influenti formazioni del dopo-punk britannico si ritrovano a distanza di eoni, in pratica dopo aver plasmato quella forma di musica liquida che era ‘Metal Box’ (o ‘Second Edition’ se preferite) uno di quei manifesti in musica molto prossimi all’assoluto.

Sei e quattro corde che si avviluppano in un disegno arcaico, replicando in qualche maniera l’immagine classica dello Yin & Yang. Che guarda caso è proprio il titolo dell’album licenziato da Cherry Red. Tutti brani originali concepiti da Jah Wobble, con l’eccezione di una ‘Within You Without You’, brano minore del repertorio Beatles, periodo Sgt. Pepper. Un disco che volteggia tra sinfonie dub, aprendo ad inediti quadretti pop e lasciandosi cullare da certe divagazioni jazz elettriche, che fanno comunque parte delle corde del bassista (si pensi alle sue collaborazioni con Evan Parker o con il Modern Jazz Ensemble).

La tromba di Sean Corby – con tanto di sordina – ci riporta in ‘Fluid’ a certe ovattate atmosfere davisiane o – a dirla tutta – ai remix di Laswell di Panthalassa (altro musicista che ha spesso incrociato le vie artistiche di Jah Wobble). Mentre la voce di un'altra veterana come Little Annie si affaccia in ‘Vampires’. Un incontro che ha del memorabile, avvicinatevi con confidenza.



Neurosis - Honor Found In Decay





Il decimo album da studio dei Neurosis coincide anche con un momento cruciale con le sorti della musica pesante in genere. Che il metal e l’hardcore nelle loro forme più progressive e distintamente avant fossero terreno fertile di scambio era cosa nota, ma  forse a qualcuno sfuggiva l’impatto ‘definitivo’ di certe musiche sugli scenari rock estremi e più in generale sulla cultura underground contemporanea. Questo per ribadire come il gruppo originario di Oakland, California, abbia recitato da sempre un ruolo di primissimo piano e rappresentato con la sua quasi enciclopedica discografia un esempio a tutto tondo.

Se di contaminazione è lecito parlare, i Neurosis ne sono forse gli alfieri, coscienziosamente trasportati da un rispettoso credo do it yourself. Non a caso è la stessa Neurot a patrocinare nuovamente il loro ambizioso progetto, consentendo al gruppo di superare indenne oltre un quarto di secolo artisticamente ispirato. Chiamato nuovamente dietro al banco di regia, Steve Albini ha provveduto a plasmare le tracce di  Honor Found In Decay con la solita perizia tecnica, firmando  la quinta collaborazione ufficiale con il gruppo. Il loro suono monolitico è stato catturato presso i famigerati Electrical Audio studios di Chicago, le sette tracce sono state in seguito masterizzate da John Golden presso i Golden Mastering di Ventura, California.

Un’ora di musica che coincide con una delle pubblicazioni più attese di questo di 2012, non fosse altro per il lunghissimo lustro che ci separa dalla ultima fatica ‘Given To The Rising’. E’ un disco che cattura la band di Steve Von Till e Scott Kelly al suo apice emozionale. Non a caso i membri del gruppo si relazionano al disco come al loro più alto picco artistico. La forma estetica non è stata mai secondaria allo sviluppo del loro concept, tanto che la video arte di Josh Graham continua ad essere un riferimento essenziale.

Aspettatevi un disco davvero denso di idee, in cui tutte le possibili sensazioni suscitate in passato dalla band riemergono nelle forme più insolite. Fatti salvi i classici attacchi proto-industriali e la solita ascendenza folk apocalittica, il gruppo sa come elaborare sfuriate metalliche e contemplare la profondità di soluzioni acustiche. Del resto già esplorate in chiave solista da Von Till e Kelly in tempi non sospetti. Un album concettuale a tutto tondo, che il gruppo farà rivivere nell’imminente ATP (dal 30 di novembre al 2 di dicembre presso Camber Sands, Inghilterra) organizzato dal sodale Steve Albini e dai suoi Shellac. L’ennesima esperienza catartica.




The Secret - Agnus Dei





The Secret sono una delle formazioni più marcatamente heavy ad aver mai calcato i palchi italiani. Nati nel 2003 hanno presto incanalato rabbia e malcontento in un suono dai contorni nevrotici, violentissimo per definizione e davvero tirato allo spasimo. Nelle loro intenzioni l’idea era quella di far convergere metallo, hardcore ed un certo barbaro esoterismo sotto un unico tetto, fotografando un universo non propriamente idilliaco. Scenari da fine del mondo o da apocalisse annunciato, alimentati da un palpabile senso di tensione e da una spinta emotiva seconda a nessuno. Nel 2010 il battesimo di fuoco con la pubblicazione del primo album per Southern Lord, ‘Solve Et Coagula’. Artiglieria pesante per una delle label che meglio ha saputo interpretare l’ampia panoramica dell’estremismo in musica.

Continuando ad incrociare elementi di crust/grind e primitivo black metal in un contesto profondamente ed irrimediabilmente oscuro i quattro confezionano il secondo lavoro sulla lunga distanza. L’idea stessa di dividere il palco con alcuni dei loro artisti preferiti, non ha fatto altro che incrementare il senso di ‘potenza’ di questo gruppo, capace di affrontare alla pari trasferte importanti tanto con Kvelertak che con Converge e Sunn O))). Il nome dei Converge ricorre indirettamente ancora una volta, come per il debutto è proprio il chitarrista Kurt Ballou ad immortalare la band presso i collaudati Godcity studios. ‘Agnus Dei’ è così senza misure un titano blasfemo, una nuova imbeccata per chi si ciba esclusivamente di suoni al vetriolo. The Secret confermano la loro eccellenza; gettano il loro guanto di sfida certi di non avere molti concorrenti nel circuito metal-core.
Il 2012 sarà l’anno delle conferme, bagnato da questo monolite di 45 minuti che in 13 brani ripercorre tutte le strade del sound più estremo, lasciando pochissimi dubbi sulla statura di un gruppo ormai venerato a livello internazionale. The Secret saranno in tour a cavallo tra novembre e dicembre in Europa con  Touche Amore e A Storm of Light.