29/07/08

DAVID BYRNE "Big Love: Hymnal"



Non è nuovo l’ex leader dei Talking Heads a produzioni dal carattere estemporaneo.
Da sempre il musicista americano si è distinto in composizioni destinate a piece teatrali e nell’organizzazione di originali colonne sonore. Unitamente alla passione per la world music – ricordiamo sempre con estremo piacere la sua label Luaka Bop – David Byrne ha sempre saputo fronteggiare l’universo musicale con lo spirito del ricercatore globale.

Una nuova sfida all’orizzonte si materializza con lo score della seconda serie televisiva Big Love (la prima fu affidata alla vecchia volpe Mark Mothersbaugh dei Devo), fiction accolta da un successo esponenziale in patria, anche per l’impiego di star hollywoodiane come Tom Hanks, Chloe Sevigny ed Harry Dean Stanton. Non fa segreto dei suoi contenuti la serie, essendo incentrata sulle vicende di una famiglia di mormoni, guidata dall’attore protagonista Bill Paxton (che veste i panni di Bill Henrickson), abile nel fronteggiare la sua relazione poligama con 3 mogli e ben 7 figli, nel classico scenario di Salt Lake City, Utah, città natale e manifesto dell'intero credo.

Nemmeno Byrne vuole uscire dal seminato, tanto da preparare le musiche per Big Love con attenzione certosina, impiegando la bellezza di un intero anno solare. Proprio agli inni chiesastici mormoni cerca di ispirarsi il nostro, cercando di ricreare atmosfere e sonorizzazioni prossime alla natura della pellicola. L’idea è in realtà ancor più geniale, perché quello che ha inteso costruire Byrne è una vera è propria library, cui i produttori della serie potessero attingere liberamente, pur adoperandosi in revisioni in corso d’opera. Per nulla spaventato dai tagli della post-produzione David cerca di consegnare quanto più materiale possibile, cercando di rispettare le esigenze di copione. Ne viene fuori un commento dai toni spesso soffusi, in cui gli arrangiamenti d’archi ed il piano hanno un ruolo determinante. Una musica che presuppone un forte legame con la tradizione neo-classica, in una rivisitazione della più comune scrittura cameristica. Ed anche in questo campo Byrne sembra non avere timori reverenziali, sciorinando un lessico di tutto rispetto ed integrando queste ancestrali atmosfere con accorgimenti pop e sottigliezze jazz. Un’altra opera magistrale che indica la completezza dell’artista, uno dei capisaldi dell’emisfero pop contemporaneo tutto.

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