Ci sono due uomini che hanno profondamente rinnovato la tradizione della canzone d’autore americana, due songwriter che hanno percorso sentieri apparentemente scoscesi per regalarci gioielli ed interpretazioni di grande pregio. Entrambi si chiamano Mark: Kozelek con Red House Painters e Sun Kil Moon ha elevato la dimensione del sogno, Eitzel con American Music Club e poi in veste solista ha continuato ad alimentarlo. Una musica che riscopre il suo carattere ancestrale, affondando nella tradizione e mantenendo un gusto quasi etereo. "Klamath" è il disco che tutti i vecchi sostenitori si attendevano da Mark Eitzel, un lavoro che in nessuna maniera cedesse a tentazioni di ammodernamento, riportando tutto ad una dimensione più intimista. In poche parole il magnetismo della sua voce, una chitarra acustica ed una strumentazione davvero esigua di corredo, tanto basta ad immergersi in questa realtà parallela. "Klamath" è un fiume californiano, nei pressi di Happy Camp, un luogo di fuga per Mark tornato nella natia San Francisco dopo un tour estenuante con gli AMC. Proprio qui, in visita da amici, riscopre la naturalezza e l’immobilismo delle cose, iniziando un percorso che avrebbe portato alla finalizzazione dei nuovi brani. Gli impegni discografici prevedevano infatti un nuovo album con gli American Music Club, ma quello che verrà licenziato da Decor è in realtà un disco solista: nella visione di Mark non c’era spazio per l’elettricità e per le percussioni, il disco è lo specchio di uno spirito semplice come quello dell’autore. Le canzoni – pensate ed ideate in questo piccolo regno incontaminato della California del nord – verranno poi ultimate a San Francisco, tre mesi – tanto è bastato – per metterle completamente a fuoco. La produzione è dello stesso Eitzel e tra i pochi figuranti nel disco troviamo Franz Nicolay degli Hold Steady (al piano), Marc Capelle degli stessi American Music Club oltre a Dave Douglas (solitamente batterista aggregato alla crew di Kelley Stoltz). Quanto al mood del disco ovvio riconoscere quei tratti malinconici che da sempre hanno accompagnato il nostro, "Klamath" è una resurrezione quasi pastorale di quelle sonorità folk portate allo zenit da mostri sacri quali Nick Drake o John Martyn. Va detto anche che "Klamath" è un piccolo evento in sè, l’ultimo vagito solista del nostro risale infatti al 2001, quando pubblicò per Matador "Invisible Man", un disco invero bizzarro nella sua personale discografia. La reunion degli American Music Club nel 2003 - oltre ad esser stata una delle più attese di questo decennio – ha in qualche maniera ridisegnato le strategie di Eitzel, che oggi torna ad un impensabile livello di intensità, regalandoci uno spaccato di una rurale e misteriosa California.
27/08/09
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1 commento:
l'ultimo disco di eitzel è candyass del 2005 vai su wikipedia e copia un pò meglio la prossima volta
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