Chimica? Mettiamola così, del resto nei circuiti e nelle macchine utilizzate dai tre di New York possono spesso infiltrarsi sostanze non propriamente legali. Non è tempo di disquisire sulla bontà di sostanze psicotrope ed altre, certo è che non si può negare il progressivo avvicinamento dei Black Dice alla cultura chimica, all’esperienza totalizzante della disco d’urto. Perché in questa musica fracassona, sempre più distante dall’epopea industrial e invece più affine alle locomotive a carbone del broken beat, i fratelli Copeland – Bjorn ed Eric – ed Aaron Warren trovano la chiave di volta per la loro feconda vena, toccando ancora inediti picchi espressivi. La cronaca dice di Repo come del loro quinto album da studio, il loro secondo per Paw Tracks. Ancora un pasticcio sonoro che mai come prima si abbevera alla fonte dei ritmi urbani, perché a Brooklyn – la seconda patria del trio – il ritmo è urbano, nero o bianco, nel rispetto del più solido meticciato. Registrato ancora presso gli studi Rare Book Room, Repo è un’avvincente gara di podismo, mai corsa a ritmi vertiginosi, ma consumata strategicamente fino allo strappo finale. Dub, hip-hop e breakcore, un trittico attorno al quale prendono forma le un tempo psichedeliche volute chitarristiche di Eric Copeland, che ora si adopera verso un più coeso lavoro di gruppo, facendo del suo strumento l’ennesimo marchingegno ritmico portato ad innalzare la fitta base strumentale sulla quale si allineano i nuovi Black Dice. Mortificare il gruppo con altisonanti paragoni non è gioco gradito, i tre newyorkesi sono ora un’istituzione, una presenza di rito sulle scena della nuova musica d’oltreoceano. Loro stessi sono divenuti – dopo il cambio progressivo di pelle – riferimento per nuove, incombenti, generazioni di terroristi sonici. Un altro disco ineccepibile con tutti i suoi spigoli ed i suoi ritmi sghembi, che anche i club più alternativi possano finalmente ospitarli a braccia aperte?
23/02/09
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento