11/02/09

Danny Given


Eravamo al culmine della summer of love, proprio in un luogo culto come San Francisco, che attraverso i suoi gruppi, i suoi volti, aveva scalato gli edifici culturali di una benpensante America, proponendo spesso deformi immagini psichedeliche, nella celebrazione di un nuovo corpo e di una nuova anima. Figlio proprio di quella San Francisco - rivoluzionaria nei sentimenti - è Daniel "Danny" Given. Il 14 agosto del 1969 veniva al mondo, tra mille speranze, nel 1985 decide che la musica sarà il suo media, il suo cavallo di troia, la via all’emancipazione globale. La prima illuminazione è in un chiesa locale, durante la funzione domenicale Danny è catturato dal suono sprigionato dall’Hammond B3. Basta sfiorarlo per ottenere quel suono urbano e così definitivo nella storia della black music. Poi il gospel, i cori intonati dalle donne di colore e da lì l’affannosa ricerca dei giusti stimoli all’interno dei jazz club locali. Spesso ad osservare i musicisti dall’esterno, quando i soldi per accedere alle hall concertistiche non c’erano davvero…Una passione che fagocita Danny, assieme a quella per i viaggi, i luoghi da cui attingere al suono puro sono infiniti, è tutto un rincorrersi di idee, di sapori. Assieme al canto Danny Given sviluppa la passione per il piano elettrico – il rinomato Rhodes – e quello classico, pur mai divenendo un musicista professionista. Ma è l’istinto a plasmare le sue prime composizioni. Il jazz è la traccia guida, rovistando tra i dischi del padre scopre Gerry Mulligan e Chet Baker. Saranno queste le sue prime ed inequivocabili guide spirituali. Poi sarebbe anche arrivata la passione per il suono west coast e per un gruppo così talentuoso come gli Steely Dan. Ma quella è un’altra storia. Tanto è vero che alla voce disco da isola deserta Danny non fatica a segnalare "Birth Of The Cool" di Miles Davis e Gil Evans . Il suo delizioso debutto per la collana di audiobooks Appunti Di Viaggio è fatto di brani a lume di candela, introspettivi, eppure gioiosi nella loro malinconia. Una voce adulta, baritonale tende la mano all’ascoltatore, nell’ombra, solleticando avventurosi paragoni tra il jazz cameristico ed il pop più sofisticato. Un artista a tutto tondo, anche nella sua lieve scrittura, nei suoi testi fondati su esperienze di vita vissuta. Con la complicità di Adam Benjamin al piano, Shane Endsley alla prima tromba e Nate Wood alla batteria, si consuma questo viaggio al confine della notte e delle note, avventura dall’antico fascino moderno.

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