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In America, dove i sotterranei hanno sempre pullulato di artisti pieni di spirito, il rock più proletario nei mezzi – nonchè nei risultati – sembra conoscere una nuova sfavillante stagione. In particolare etichette come la Siltbreeze – dalle cui parti sono transitati i Guided By Voices, antesignani di quel pop rumoroso e sbilenco oggi tanto in voga, come i Times New Viking, sensazione shitgaze – sembrano aver rilanciato un’estetica brute, in cui il rock torna finalmente alle fondamentali regole dettate dal garage (si prendano ad esempio i formativi volumi Pebbles e Back From The Grave) e dal punk dei primordi.
Gli Eat Skull col loro secondo album per l’etichetta – Wild And Inside – abbracciano questo credo primitivo dando libero sfogo alla loro verve rumorista. Grandi i progressi del frontman Rob Enbom che sotto la coltre di elettricità riesce a confezionare gioielli di pop mentecatto che hanno un sapore lontano, ricordando così altra memorabilia non-allineata, come il paisley punk dei The Last o le rurali atmosfere dei gruppi neozelandesi del giro Flying Nun, etichetta che grazie ai ‘favori’ dei Crystal Stilts è oggi divenuta cruciale quanto una Rough Trade od una Sarah Records.
Gli Eat Skull sembrano scriverlo a grandi lettere: prendete la vostra dose di rumore oggi, sarà più dolce che mai.
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