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Il paradosso, semmai, è che la carriera dei Rocket From The Tombs non è mai stata documentata dettagliatamente e spesso si è dovuto ricorrere a lavori ed assemblaggi postumi pur di cogliere la portata (quasi) epocale della loro musica. Ancora una volta è l’inglese Fire Records a correre ai ripari. E – udite, udite – questo Barfly (chiaro il riferimento al vate Chuck Bukowski?) è in pratica il primo album da studio dei nostri. Ad appena 37 anni dal loro battesimo.
Unitamente a questa fatica da studio, giungerà la ristampa della collezione di incisioni dal vivo (risalente al 2002 ed in principio licenziata da Glitterhouse) 'The Day The Earth Met the Rocket From the Tombs'.
Rimettendoci alla storia scritta, i cinque di Cleveland chiusero i battenti nel 1975, anche se la loro ombra si estese direttamente sulle incarnazioni successive. “Ain’t It Fun” sarebbe divenuto un cavallo di battaglia dei Dead Boys, mentre “Final Solution” entrerà definitivamente nell’immaginario di ogni fan dei Pere Ubu.
Le parole di un sorprendentemente asciutto David Thomas a questo punto: “sono certo che se avessimo registrato un disco da studio negli anni ’70, non sarebbe stato affatto dissimile da Barfly. Dovete semplicemente focalizzare le idee aldilà del grunge e degli espedienti lo-fi’”.
Trentasette anni di attesa che ci restituiscono una formazione integra, anche nella line-up originale, se si fa eccezione per gli innesti del più recente batterista dei Pere Ubu (Steve Mehlam, anche all’organo) e dell’ex-Television Richard Lloyd (alla seconda chitarra). From here to eternity?
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