17/05/12

The legacy of the tallest man on Earth



 
Un piccolo miracolo è quello che si compie con ‘There’s No Leaving Now’ il ritorno in scena del cantastorie svedese Kristian Matsson, ai più noto con il nome d’arte di The Tallest Man On Earth. Una placida realtà è quella che ci sfiora nel suo terzo album da studio, pubblicato con tutte le attenzioni del caso da Dead Oceans, che non ha mai smesso di supportare questo talento classe ’83. Continua a muoversi con destrezza tra chitarra, banjo e pianoforte, confortando la sua vena pop con elementi di sacrale classicità.

Compositore in proprio che preferisce ai suntuosi arrangiamenti un approccio di gran lunga intimista, il nostro ha sempre usato la lingua inglese come veicolo delle sue storie. Al 2006 risale il suo debutto, a distanza di oltre un lustro è uno dei nomi più considerati di tutta la filosofia folk-pop. Di lui cattura l’entusiasmo, la schiettezza. Canzoni come bozzetti, una condizione privata che entra nella nostra quotidianità in punta di piedi.

La figura più vicina a Kristian sembra essere quella del giovane Dylan, l’abilità compositiva dei due è infatti paragonabile. The Tallest Man on Earth è noto anche per la sua presenza scenica, un magnetismo che unitamente alla sua voce ne hanno fatto figura carismatica nell’universo indie. Dopo aver aperto i concerti di altre anime affini come John Vanderslice e Bon Iver, il cantautore svedese è pronto a raccogliere con There’s No Leaving Now quanto di buono seminato ad oggi. Dettagliato pur nella sua estetica asciutta il nuovo disco si illumina in torch-song dall’intensità unica, dalla title-track a Revelation Blues, passando per la conclusiva On Every Page, una sorta di flamenco occidentale che dice dell’estrema caparbietà del nostro, nello scrivere canzoni che vanno a scolpirsi nella memoria collettiva. In autunno lo vedremo nel nostro paese, sarà un’esperienza.

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