Un corto circuito, trovarsi catapultati come per incanto nelle città regine del noise rock e del post punk americano degli anni ’90. Una macchina del tempo messa in moto da tre veri appassionati - Luca, Livio e Damiano – folgorati in tenera età dagli sviluppi del sound più chitarristico e decisi ad immolarsi alla causa, sposando anche la cultura ed i frutti del pensiero do it yourself. Pur mantenendo nella loro musica gli spigoli e gli arrangiamenti tipici del meno edulcorato rock dei nineties – se cercate delle coordinate di riferimento, il lavoro di etichette come Touch & Go, Dischord e Thrill Jockey potrebbe essere un’indicazione di massima – Schiele non perdono mai di vista il gusto per certe melodie, a volte epidermiche altre subdole, ma non meno convincenti. Basso, chitarra e batteria, oltre ad una voce duttile che sa farsi strumento addizionale per necessità. Dal 2001 il gruppo inizia a macinare una serie di concerti fino a fermare il momento su disco, nel 2005 con “This Heart Does Not Hurt”, autoprodotto ed autofinanziato, con la produzione artistica di David Lenci. Ancora musica sotto i denti, nuovi brani e nuove esperienze fino ad arrivare al successore “Pictures Of Mountains”, registrato sul finire del 2008 con l’ausilio di Giulio Favero (One Dimensional Man, Il Teatro Degli Orrori), uno dei sound engineer più attivi ed affidabili sul territorio. Rigorosamente in presa diretta, e senza alcuna sovraincisione (fatta eccezione per la chitarra di Giulio in “My Death” e del violoncello di Leonardo Gatto dei We Were On Off su “This Heart Does Not Hurt”), per poter cogliere la spontaneità e l'intensità live del gruppo stesso, il disco è così specchio fedele dell’attitudine Schiele. Nelle 10 tracce che costituiscono l’ossatura del disco è l’immediatezza a sbalordire, unitamente all’urgenza emotiva, confermata dai saliscendi umorali e strutturali che avvicinano i brani degli Schiele ad una turbolenta onda d’urto. Il titolo è un omaggio alla montagna - presenza costante nella vita del gruppo - alla sua austerità, alla sua bellezza. Ogni canzone del disco è così una cartolina spedita da un’ipotetica vetta, a volte illuminata dal sole, bella e rilassante, altre volte drammatica e tormentata, coperta da nuvole, addirittura disperata. Ogni brano una storia: il vuoto lasciato da una violenta e viva energia che si è spenta (In The Room There Was Violence), un amore finito e sofferto (Portraits Of Love), una critica verso l’amicizia fasulla offerta dai social networks (We Don't Want To Be Your Friends), lo smarrimento che a volte comporta l'affrontare la vita (Mountains Get Higher), la paura di soffrire e far soffrire i propri cari in punto di morte (My Death, liberamente tratta dall'omonima poesia di Raymond Carver). Un secondo album che già spicca per qualità e personalità, promuovendo gli Schiele non solo negli angusti steccati del rock Made in Italy, ma offrendo anche allettanti prospettive per il mercato indipendente internazionale. Una poetica intensa, un rock chiaroscurale che può essere assalto all’arma bianca o anche promessa di calore.
03/07/09
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