08/07/09

Wheedle’s Groove

Spesso anche le ristampe possono andare a ruba, anche quando un’etichetta decide di puntare prepotentemente sul recupero di antichi tesori sommersi. La Light In The Attic di Seattle, che già a partire dal nome illustra il suo modus operandi, torna così su uno dei pezzi di maggior successo del suo catalogo. Pubblicato appena un lustro fa Wheedle’s Groove fu un biglietto da visita straripante per questa realtà discografica del Northwest, che nell’intento di omaggiare i propri eroi locali, conduceva un’indagine dettagliata sugli artisti di ispirazione soul e funk che fecero il bello ed il cattivo tempo nei dediti raduni cittadini, a cavallo tra il 1965 ed il 75. Molto prima che il black rock di Hendrix fosse benedetto lingua nazionale.

L’idea dietro a Wheedle’s Groove è delle più nobili, ridare voce a piccoli classici del genere, senza lesinare informazioni di alcun tipo. Sono infatti passati ai raggi X i singoli brani che vanno a costituire questa variopinta raccolta: tra stuntman del puro vocalismo soul – l’urlo in differita del Godfather James Brown lo potrete ascoltare con regolare frequenza – orchestrine jazz-funk che pestano senza troppe remore sull’hammond e complessi che arrivano a sporcare la propria idea di black music con sostanziali tocchi di rock e psichedelia. Alla fine della panoramica contiamo ben 18 brani, per la gioia ed il sussulto di chi detesta le aste tirate per le lunghe e vuole in men che non si dica il suo piatto caldo. Dall’Overton Berry Trio che con vezzo quasi malinconico re-interpretano l’immarcescibile Hey Jude del duo Lennon/McCartney allo shuffle di Cissy Strut dei campioni di New Orleans Meters, qui nell’essenziale ripresa del Johnny Lewis Trio.

Provare a stabilire chi abbia l’arma più affilata non è lo sport nazionale da queste parti, feriscono virtualmente tutti i singoli brani, spesso 45 giri d’antan restaurati senza eccedere in fase di post-produzione. Rare grooves o killer grooves? Questione di lana caprina, sicuramente nemmeno il più cordiale dei medici potrebbe prescrivere medicina più buona…

Analogamente a quanto accaduto con gli eroi di un passato non troppo remoto, Light In The Attic prova ad allestire una all-star band del moderno r&b, dando un’ideale seguito al primo volume di Wheedle’s Groove. Kearney Baron è un celebre ingegnere del suono locale, che spesso ha incrociato la sua strada con artisti black di fama minore. Sotto la sua guida spirituale si consuma un nuovo esaltante progetto, che per affinità può ricordare le operazioni condotte in porto recentemente da Daprtone (leggere alla voce Sharon Jones e Naomi Shelton). Gregari di grande classe si alternano in nove tracce, per lo più rivisitazioni di brani epocali. Dalla Sea Of Grass del combo strumentale Ventures a Everything Good Is Bad, tagliata dal mitico team di produttori Holland/Dozer/Holland per il gruppo vocale di Detroit 100 Proof. Ma non mancano le sorprese con una rilettura da pelle d’oca di Jesus Christ Pose dei Soundgarden ed un’altrettanto propiziatoria Fool’s Gold degli Stone Roses. A dimostrazione del fatto che il groove alberga anche nelle musiche del rock alternativo degli ultimi 20 anni.

Ma l’invasione propedeutica di Light In The Attic non si arresta certo qui, dato che Wheedle’s Groove diverrà ben presto un documentario., Per la gioia di tutti. Crate diggers accaniti e cultori meno maniacali del più sublime ordine del black sound.

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