06/08/12

Janka Nabay's Bubu Music




Il cantante della Sierra Leone Janka Nabay esclama: "Il mio unico interesse è quello di riscrivere la storia," uno di quegli obiettivi modesti sulla carta, per un’artista capace di lasciare il segno in patria. Approdato in America, dopo esser fuggito alla guerra civile, inizia a lavorare per una catena di friggitorie, pur continuando a plasmare le proprie canzoni. Ci vuole una band per supportare un autore così esplosivo, qualcuno che abbia la capacità di interpretare i ritmi dell’africa occidentale, sfoggiando una conoscenza musicale globale. Brooklyn è il luogo ideale in cui stringere alleanze, è qui che Nabay s’imbatte nella  Bubu Gang, un’accolita di indie-rockers ora rapita dalla musica sperimentale e world. Con membri di Skeletons e Chairlift a bordo, il debutto ‘occidentale’ è presto ultimato. En Yay Sah ("I'm Scared") è una delle uscite prioritarie di questo 2012 per Luaka Bop.

La musica "bubu" può suonare addirittura futuribile alle orecchie del pubblico occidentale, ma la sua è una tradizione centenaria. C’è tanta mitologia dietro a questa forma espressiva. Oltre 500 anni or sono un giovane "bubu boy" strappò la formula ad una strega pur di renderla pubblica, sacrificando la sua stessa vita nel processo. Quando l’ Islam raggiunse la Sierra Leone, bubu diviene una parte fondamentale delle processioni indigene durante il Ramadan; questa è la musica che Nabay impara  e perfeziona sin dalla più tenera età. Come numerosi musicisti locali Nabay si confronta in primis con la musica del cuore, in altre parole il reggae. Ad un contest locale il nostro sorprende però la giuria esibendosi in un originale forma di bubu music, dando praticamente il là alla sua scalata.

Spinto dalla stessa giuria realizza il suo primo lavoro presso i Forensic Recording Studios di Freetown (la capitale di Sierra Leone). Si diceva ispirato da Michael Jackson, Bob Marley e Dio, ma tra i solchi del disco si distinguono i tratti di una musica dance ipnotica, grazie all’apporti di strumenti inusuali. La lingua utilizzata è il locale Krio, incrociato con il tribale Temne, l’inglese e l’arabico. Durante gli anni della guerra Nabay si avvale della sua musica come veicolo sociale. I ribelli – a loro volta - utilizzano la sue cassette come urlo di guerra, al momento di invadere i villaggi e scovare i civili dai loro nascondigli. Arrivato negli States, il nostro trova sostegno tra i numerosi rifugiati della comunità leonina, ma questo non lo aiuta certo a vendere i suoi cd-r. La scelta per sostenersi è drastica e Nabay si ritrova a lavorar per un fast-food. L’incontro col produttore radiofonico Wills Glasspiegel – che lo aveva notato nel Bronx – porterà alla prima pubblicazione su territorio americano: Bubu King EP.

I due iniziano a recarsi con insistenza presso uno dei locali più hip del sottobosco newyorkese, lo Zebulon, alla ricerca di una vera e propria band che potesse accompagnarlo stabilmente. Durante una delle sue performance in stile karaoke, Nabay s’imbatte nel vocalist e bassista di origine siriana Boshra AlSaadi, il primo ad essere convocato nella nascitura formazione. Tony Lowe (Skeletons, Zs) responsabile per la serie di eventi a nome Cool Places presso lo stesso Zebulon, suggerisce alcuni accorgimenti ai due cantanti, occupandosi in primis delle parti chitarristiche. Per liberarsi definitivamente del fastidioso effetto karaoke e dello stantio uso di una drum machine, viene reclutato Jon Leland (Skeletons). Il suo approccio allo strumento è tale da ricordare il lavoro di 3 percussionisti in contemporanea.

A completare il gruppo provvedono Jason McMahon al basso (Skeletons, Chairlift) ed il tastierista Michael Gallope (Skeletons, Starring), il cui stile replica le linee melodie del flauto bamboo. Doug Shaw è l’ultimo pezzo del puzzle e subentra alla chitarra. Già devoto del musicista S.E. Rogie, un’icona per lo stesso  Nabay -  va a completare il puzzle. Tony Lowe abbandona la formazione per dedicarsi alla regia, ma il gruppo ormai si solidifica attorno a questa line-up, partorendo il monicker  Bubu Gang. Il prodotto di questa succulenta collaborazione è testato nei migliori dance e rock club della grande mela. I risultati sono formidabili, del resto l’attitudine del gruppo non sembra prescindere dalle vibrazioni di certo rock psichedelico e tribale, sposando sovente anche l’elettronica dal volto più umano. La musica  bubu è del resto frutto di un’idea collettiva, e quella tradizione centenaria non può che rinnovarsi in questo cruciale clash culturale. La solidità del gruppo è provata e la pubblicazione di En Yay Sah sarà davvero una rivelazione per chi tanto investe nelle produzioni in bilico tra etnica e alternative-indie.



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