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Presto l’eco di questo talento in erba raggiungerà il fronte occidentale, Jonti registrerà in rapida successione con il vivace ed eclettico chimico pop Mark Ronson, sarà a New York per spalleggiare la vocalist Santigold, e per sedere allo stesso tavolo di Sean Lennon oltre che servire quel favoloso organico a nome Dap-Kings. Le amicizie in alto possono essere tentatrici, ragion per cui il musicista ha ben deciso di intraprendere la strada opposta per il suo debutto targato Stones Throw. Ha fatto tutto da sé, dall’inizio alla fine, senza in questo delimitare le sue progressioni e le sue capacità realizzative. Il boss del’etichetta - Peanut Butter Wolf – pur riconoscendo il valore pop di alcuni suoi brani, sottolinea come gli arrangiamenti di Jonti pur in veste solista siano magniloquenti. Roba da togliere il respiro. Ed è esattamente quello che accade in quest’opera prima densa di particolari. Folktronica, memorie vintage, alfabeto sixties rivisto e corretto, funk bianco. Viene da pensare ad un’incarnazione contemporanea di giganti quali David Axelrod e Galt McDermot. E già questo paragone dovrebbe lusingare non poco un’artista dal luminoso avvenire.
Incredibilmente originale, inusuale, una delle cose che più entusiasmanti che abbia ascoltato di recente (MARK RONSON)
Jonti ha definitivamente il suo stile, una cosa che rende eccezionale qualsiasi esperienza professionale con lui stesso. È’ un grande musicista. (ALBERT HAMMOND JR, THE STROKES)
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