La ventinovenne Essie Jain – inglese di nascita e ora di stanza a New York – debutta con questo We Made This Ourselves, un album dal minimalismo quieto e potente al tempo stesso.
Nata in una famiglia di musicisti, Essie è cresciuta a Londra, dove fin da piccola studia pianoforte classico, violoncello e canto lirico. Un'educazione che lei stessa sospende una volta superata la soglia dell'adolescenza.
“Ho dovuto tagliar fuori la musica dalla mia vita per essere in grado di ripartire. Penso che tutti nella mia famiglia fossero contrari ma io ho sempre saputo che la musica sarebbe tornata a far parte della mia vita, e infatti è successo. Quando avevo vent'anni ho passato un anno davvero molto complesso e difficile a livello personale – trovavo molto difficile parlare a chiunque delle cose che stavo passandro e avevo bisogno di un modo per esprimerle. Ecco come la musica è tornata.” Jain ricomincia da capo a New York, iniziando lentamente a scrivere la sua musica.
“Non ero sicura di chi fossi come musicista. Avevo bisogno di un po' di tempo per respirare, per capire, e così ho preso un 8 tracce, una chitarra, un pianoforte e me stessa e ho cominciato a registrare.” Questa nuova situazione permette a Jain nuove esperienze in nuovi ambienti musicali. Conoscere il chitarrista Patrick Glynn ha poi illuminato il suo percorso.
“E' stato come quando si trova il pezzo mancante di un puzzle che è rimasto nascosto sotto il divano”, spiega Jain. “Semplicemente stiamo bene. Penso che lui abbia davvero capito quello che stavo facendo, e allo stesso tempo aveva un suo personale contributo da apportare alla mia musica. Sentivo parlare le persone di una chimica musicale che si può sviluppare con qualcuno e io avverto questo ad un livello molto profondo con Patrick.”
La coppia si esibisce in concerti low-key nel circuito folk di New York come duo di piano/voce e chitarra e partecipa con la traccia “Why” alla compilation della Kill Rock Stars The Sound The Hare Heard nel 2006.
Messo sotto contratto dall'etichetta newyorkese Ba Da Bing (la stessa di Beirut, tra gli altri), il duo si è poi concentrato sulla registrazione del debutto di Essie Jain We Made This Ourselves, con le percussioni di Jim White (Dirty Three, Will Oldham, Nina Nastasia) ad aggiungere ulteriori ispirazioni aelle session finali. Registrato per la maggior parte nel suo appartamento, l'album ruota attorno al pianoforte di Jain e alla sua voce misurata e discreta con occasionali passaggi di ottoni, fisarmonica, archi, chitarra o percussioni silenziose. Il disco “ha finito per avere un'intimità ed un carattere che non penso sarebbe stato possibile per noi ottenere in altro modo”, spiega Jain. “Volevo che fosse un disco per una “dark-hour” - quando le persone hanno bisogno di qualcosa per guarire o piangere, quando si sentono prigioniere, per avere un po' di quiete dalle cose che il mondo getta loro addosso. Ci sono momenti in cui questo può sembrare scomodo o difficile, ma è proprio quello di cui sono fatti questi momenti.”
L'effetto è quello di un chamber-folk delicato e dolorosamente onesto, il resoconto dettagliato di una storia tesa che sta fallendo e di un io emozionale che si sgretola.
La tensione montante prodotta dagli archi insieme ai cori celestiali di Jain nelle armonie stratificate di “Sailor” è decisamente avvolgente. E l'esclamazione in “Talking” - “Shut up, shut up talking / You gotta be kidding me” - non è mai stata cantata in modo tanto elegante o triste. In “Loaded”, il lamento del pianoforte accompagna le crude parole di Jain: “You passed out on uneven ground / I saw you / I saw you / Loaded, you were / Once again / Out of your mind / And on mine”. E la solenne e gentile chitarra di “Glory” trasporta la voce di Jain quasi come in un inno. Mentre il tono dell'album è segnato da un oscuro minimalismo che evita ogni indulgenza, le emozioni sono raramente sotto controllo, sempre a un passo dalla superficie. E l'effetto è affascinante. Essie si sta al momento esibendo come quartetto, con Patrick Glynn alla chitarra elettrica, un batterista e un bassista/trombettista e sta già ultimando il suo secondo album che uscirà negli Stati Uniti nel corso del 2008.
Nata in una famiglia di musicisti, Essie è cresciuta a Londra, dove fin da piccola studia pianoforte classico, violoncello e canto lirico. Un'educazione che lei stessa sospende una volta superata la soglia dell'adolescenza.
“Ho dovuto tagliar fuori la musica dalla mia vita per essere in grado di ripartire. Penso che tutti nella mia famiglia fossero contrari ma io ho sempre saputo che la musica sarebbe tornata a far parte della mia vita, e infatti è successo. Quando avevo vent'anni ho passato un anno davvero molto complesso e difficile a livello personale – trovavo molto difficile parlare a chiunque delle cose che stavo passandro e avevo bisogno di un modo per esprimerle. Ecco come la musica è tornata.” Jain ricomincia da capo a New York, iniziando lentamente a scrivere la sua musica.
“Non ero sicura di chi fossi come musicista. Avevo bisogno di un po' di tempo per respirare, per capire, e così ho preso un 8 tracce, una chitarra, un pianoforte e me stessa e ho cominciato a registrare.” Questa nuova situazione permette a Jain nuove esperienze in nuovi ambienti musicali. Conoscere il chitarrista Patrick Glynn ha poi illuminato il suo percorso.
“E' stato come quando si trova il pezzo mancante di un puzzle che è rimasto nascosto sotto il divano”, spiega Jain. “Semplicemente stiamo bene. Penso che lui abbia davvero capito quello che stavo facendo, e allo stesso tempo aveva un suo personale contributo da apportare alla mia musica. Sentivo parlare le persone di una chimica musicale che si può sviluppare con qualcuno e io avverto questo ad un livello molto profondo con Patrick.”
La coppia si esibisce in concerti low-key nel circuito folk di New York come duo di piano/voce e chitarra e partecipa con la traccia “Why” alla compilation della Kill Rock Stars The Sound The Hare Heard nel 2006.
Messo sotto contratto dall'etichetta newyorkese Ba Da Bing (la stessa di Beirut, tra gli altri), il duo si è poi concentrato sulla registrazione del debutto di Essie Jain We Made This Ourselves, con le percussioni di Jim White (Dirty Three, Will Oldham, Nina Nastasia) ad aggiungere ulteriori ispirazioni aelle session finali. Registrato per la maggior parte nel suo appartamento, l'album ruota attorno al pianoforte di Jain e alla sua voce misurata e discreta con occasionali passaggi di ottoni, fisarmonica, archi, chitarra o percussioni silenziose. Il disco “ha finito per avere un'intimità ed un carattere che non penso sarebbe stato possibile per noi ottenere in altro modo”, spiega Jain. “Volevo che fosse un disco per una “dark-hour” - quando le persone hanno bisogno di qualcosa per guarire o piangere, quando si sentono prigioniere, per avere un po' di quiete dalle cose che il mondo getta loro addosso. Ci sono momenti in cui questo può sembrare scomodo o difficile, ma è proprio quello di cui sono fatti questi momenti.”
L'effetto è quello di un chamber-folk delicato e dolorosamente onesto, il resoconto dettagliato di una storia tesa che sta fallendo e di un io emozionale che si sgretola.
La tensione montante prodotta dagli archi insieme ai cori celestiali di Jain nelle armonie stratificate di “Sailor” è decisamente avvolgente. E l'esclamazione in “Talking” - “Shut up, shut up talking / You gotta be kidding me” - non è mai stata cantata in modo tanto elegante o triste. In “Loaded”, il lamento del pianoforte accompagna le crude parole di Jain: “You passed out on uneven ground / I saw you / I saw you / Loaded, you were / Once again / Out of your mind / And on mine”. E la solenne e gentile chitarra di “Glory” trasporta la voce di Jain quasi come in un inno. Mentre il tono dell'album è segnato da un oscuro minimalismo che evita ogni indulgenza, le emozioni sono raramente sotto controllo, sempre a un passo dalla superficie. E l'effetto è affascinante. Essie si sta al momento esibendo come quartetto, con Patrick Glynn alla chitarra elettrica, un batterista e un bassista/trombettista e sta già ultimando il suo secondo album che uscirà negli Stati Uniti nel corso del 2008.
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