Disco
dell’anno per The Wire nel 2012, ‘Quarantine’ è stato uno dei debutti più
dirompenti della nuova elettronica, un disco che ha in breve eletto la sua
protagonista a paladina delle nuove tendenze ritmiche. Un affare di linguaggi
inediti e nuove declinazioni, un percorso che ha permesso a Laurel Halo di
divenire in breve un punto di riferimento per chi si muove oltre la frontiera
del digitale. Originaria di Ann Arbor, Michigan, la nostra si sposta nel 2009 a
New York, terreno fertile per le sue
indagini sonore. Alla cui base c’è una sorta di dualismo esteso. Una musica che
si fa forte delle sue contraddizioni, la produttrice ha cercato la spiritualità nell’ inorganico, lo
spazio nella claustrofobia, la speranza nella disperazione. Circostanze
che hanno permesso alla sua musica di plasmarsi in maniera autonoma, cercando
traiettorie per l’appunto inusuali, soprattutto dal punto di vista tematico.
'Chance
Of Rain' è il suo nuovo esperimento da studio, ancora sotto l’egida Hyperdub,
l’etichetta inglese che dopo aver formato le coscienze a suon di dubstep, ha
necessariamente iniziato a guardarsi intorno alla ricerca di nuovi stimoli. Nel
rispetto della sua filosofia Laurel ci tiene a scandagliare nei meandri più
astrusi della musica dance, liberando la sua vena avant e concedendosi ad
avvolgenti mutazioni ambient. Una musica che arriva direttamente dal futuro,
mai così prossimo. Una narrativa sonora che stupisce per la sua profonda
comunicatività, tessiture ritmiche che si fondono con uno spirito minimalista,
dando sovente sfogo ad una visione quasi lisergica. Disco cerebrale che preferisce però la
fisicità all’astrattismo, anche quando forme embrionali di musica techno sembrano
emergere da profondità acquatica, ricordandoci magari eroi del Detroit Sound
come i Drexciya.
Impressionante
poi la grana dei suoni e le fonti cui attinge Laurel, ogni campione o field
recordings è frutto di una sua primordiale elaborazione. Ecco perché anche gli
episodi più ‘ballabili’ di 'Chance Of Rain' vi stupiranno nelle loro
sorprendenti impennate o nella scelta di passaggi affatto tradizionali.La
copertina dell’ album è opera dei suo padre, un rinomato artista visivo il cui
obiettivo è stato spesso quello di rappresentare graficamente gli scenari
industriali del Michigan e del Rust Belt. L’ artwork in questo caso va fatto
risalire ai primi ’70 e riflette in pieno il tono psichedelico, storto ma comunque
speranzoso del disco. Masterizzato tra l’altro al celebre Dubplates and
Mastering (casa della Basic Channel) di Berlino dallo stimato ingegnere del
suono Rashad Becker.
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