03/09/13

All the way to the...Tropic Of Cancer




Circondata da un sensazionale hype Camella Lobo è il volto nuovo della più gotica elettronica californiana. L’artista ha messo a punto il suo debutto sulla lunga distanza in quel di Los Angeles con la complicità di un nome storico della musica techno, il produttore  Karl O'Connor (altrimenti noto come Regis) che ha apportato i ritocchi definitivi al disco nelle doppia sede di New York e Londra. E’ nello specifico il ritorno di Camella alla Blackest Ever Black, giusto a due anni di distanza dall’Ep ‘The Sorrow Of Two Blooms’, terzo disco nel catalogo della label britannica e ad oggi uno dei suoi  più ricercati. I temi trattati all’interno del lavoro sono inequivocabili, si parla di romanticismo, devozione, dolore ed arrendevolezza.

Sentimenti che vengono trasferiti con la giusta dose di alchimia all’interno di un contesto musicale singolare, spingendo su atmosfere certamente languide, ma senz’altro più stravaganti rispetto a quanto le uscite di Tropic Of Cancer ci avevano abituati nel recente passato. Parliamo a tutti gli effetti di un progetto solista per la Lobo, che debuttava nel 2009 con 'The Dull Age/Victims' – un dieci pollici licenziato da Downwards – e prima in una serie di collaborazioni con Juan Mendez (Silent Servant), che sarebbe andata a formare un’essenziale trilogia. 'Be Brave' – ancora su Downward – poteva contare su un remix esclusivo della leggenda Richard H. Kirk, che coi suoi Cabaret Voltaire e nella lunga attività in solo avrebbe rinnovato la scena elettronica tutta. A seguire poi le pubblicazioni per Mannequin, Sleeperhold Publications e Ghostly International (uno split con gli altrettanto chiacchierati HTRK) e la raccolta ‘The End Of All Things’.Restless Idylls’, il primo vero e proprio album della nostra, si muove tra intense figure synth-wave, aprendo anche a sostanziosi scenari cinematografici. C’è tutta un’aurea lynchiana, che sottintende il lavoro della Lobo, come quella Hollywood inversa portata in scena nel capolavoro ‘Mulholland Drive’.

Su scheletrici beat si insinua la voce della nostra, metà sirena e metà musa stregata, una figura sinuosa che ondeggia tra twang chitarristici e ariose movenze sintetiche. Esoterismi industriali e pop da oltretomba, in un disco che appare come un piccolo trattato di psicanalisi. Un album che vi stupirà e renderà ancor più magnetico l’avvento della stagione autunnale.




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