27/09/13

Josephine Foster, eterno viaggio a ritroso




I sognatori hanno sognato tanto quanto le cupole sono cadute, gonfiando bolle musicali da Stephen Foster agli Everlys. Ora è il tempo della meravigliosa sognatrice Josephine e la torta allo zucchero, vi assicuriamo, non avrà più lo stesso sapore. Ha indossato i suoi abiti color magenta, riportando la sua memoria indietro nel tempo con versi che hanno l’aroma del muschio ed assumono le sembianze di un nome mai evocato. Fantasmi a ben vedere, che si agitano nell’aria di un disco dai sapori old-fashioned. ‘I Am A Dreamer’ non è una prova d’appello, è l’eterna trasformazione di una storyteller. La Foster è certificata viaggiatrice nel tempo, con l’abilità di stupire ad ogni nuova prova, il suo sodalizio con l’inglese Fire si rinnova in una spettacolare rivisitazione di luoghi ed abitudini antiche.

Ci si sposta geograficamente a Nashville – dove il disco è stato registrato in due sessioni nel dicembre del 2011 e nel febbraio del 2012 -  sullo sfondo polverose cattedrali che ospitano bucoliche jam prettamente acustiche. C’è un’arpa ed una pedal steel, un contrabbasso ed una pianoforte a cascata. Una gentilezza di fondo abbraccia tutto il lavoro, uno charme d’altri tempi quasi a riproporre le migliori selezioni dei 78 giri che giravano su di un vecchio grammofono. Poi la poesia, sempre al centro della visione della Foster, questa volta tocca a ‘Blue Roses’ le cui liriche arrivano da un poema di Rudyard Kipling.

Il compagno della Foster Victor Herrero suona l’elettrica in quattro brani, ed è  forse questa l’unica concessione alla modernità in un disco i cui confini sono delimitati dagli usi e costumi del pre-war folk. Il fenomenale pianista/organista Micah Hulscher (già a lavoro con Alabama Shakes e Jesse Sykes), prepara il terreno a questa morbida discesa negli anfratti della memoria. Una serie di musicisti della scena locale a mezza via tra folk e country contribuisce poi in maniera originale  a stabilire le giuste connessioni tematiche. Bello anche il suadente tocco del violoncello dell’ex-Mum Gyoa Valtysdottir,  che compare in ‘Amuse A Muse’. Citazione d’obbligo poi per la chiusura con ‘Cabin In The Sky’ firmata da Vernon Duke (compositore russo/americano e vecchio collaboratore di Geroge Gershwin) e dal librettista John Latouche.  


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