28/12/08
Ancora su Macca
E' un piacere vedere che di Fireman si continua a parlare
19/12/08
Le nostre classifiche di fine anno
ROBERTO
Erykah Badu "New Amerykah: Part One (4th World War)" (Universal Motown)
Raphael Saadiq "The Way I See It" (Sony)
Menahan Street Band "Make The Road By Walking" (Daptone Records)
Karl Hector & The Malcouns "Sahara Swing" (Now Again)
Dusk + Blackdown "Margins Music" (Keysounds Recordings)
Seun Kuti "Many Things" (Tout Ou Tard)
Pete Molinari "A Virtual Landslide" (Damaged Goods)
Fuck Buttons "Street Horrrsing" (ATP Recordings)
Black Mountain "In The Future" (Jagjaguwar)
Wildbirds & Peacedrums "Heartcorem" (The Leaf Label)
musica del passato
Herbie Hancock "Hear O Israel" (Jonny)
Rodriguez "Cold Fact" (Light In The Attic)
Mary Queenie Lyons "Soul Fever" (Vampisoul)
Mulatu Astatke "Mulatu Of Ethiopia" (Worthy)
V/A "1970's Algerian Proto-Rai Underground" (Sublime Frequencies)
mixtapes
Santogold vs. Diplo "Top Ranking" (Mad Decent)
Dj Nuts "Embalo Joven" (Mochilla Ent.)
DJ/Rupture "Uproot" (The Agriculture)
LUCA
Portishead “Third” (Go Beat!)
Fuck Buttons “Street Horrrsing” (Atp)
Alexander Tucker “Portal” (Atp)
Tv On The Radio “Dear Science” (4ad)
Religious Knives “The Door” (Ecstatic Peace)
Black Mountain “In The Future” (Jagjaguwar)
The Black Angels “Directions To See A Ghost” (Light In The Attic)
Deerhunter “Microcastle” (4ad)
Bachi Da Pietra “Tarlo Terzo” (Wallace)
Spiritualized “Songs In A & E” (Castle)
Spring Heel Jack “Songs And Themes” (Thirsty Ear)
Sao Paulo Underground “The Principle Of Intrusive Relationships” (Aesthetics)
Exploding Star Orchestra “With Bill Dixon” (Thrill Jockey)
Karl Hector + The Malcouns “Sahara Swing” (Now Again)
Dusk + Blackdown “Margins Music” (Keysound)
Ristampe
Dennis Wilson “Pacific Ocean Blue” (Sony)
Suarasama “Fajar Di Atas Awan” (Drag City)
AAVV “Nigeria Disco Funk Special” (Soundway)
JACOPO
Bowerbirds “Hymns For A Dark Horse” (Dead Oceans)
Eddie Vedder “Ost: Into The Wild” (J-Records)
Welcome Wagon “Sufjan Stevens Presents…”(Asthmatic Kitty)
The Last Shadow Puppets “The Age Of The Understatement” (Domino)
Eli “Paperboy” Reed “Roll With You” (Q Division)
Pete Molinari “A Virtual Landslide”(Damaged Goods)
Billy Bragg “Mr Love & Justice-Solo Version” (Cooking Vinyl)
Anathallo “Canopy Glow” (Anticon)
Bodies Of Water “A Certain Feelings” (Secretly Canadian)
Rodriguez “Cold Fact” (Light In The Attic)
STEFANO
Black Mountain “In The Future” (Jagjaguwar)
The Black Angels “Directions To See A Ghost” (Light In The Attic)
Welcome Wagon “Sufjan Stevens Presents…”(Asthmatic Kitty)
Pete Molinari "A Virtual Landslide" (Damaged Goods)
Rodriguez "Cold Fact" (Light In The Attic)
Mary Queenie Lyons "Soul Fever" (Vampisoul)
Caparezza "Le Dimensioni Del Mio Caos" (Emi)
Radici nel Cemento "Il Paese di Pulcinella" (RNC Produzioni)
The Boomers "Fast & Bulbous" (Goodfellas)
The Fuzztones "Horny As Hell" (Electric Mud)
ROSSANA
*Rodriguez "Cold Fact" (Light In The Attic)
Bodies Of Water "A Certain Feeling" (Secretly Canadian)
David Byrne/Brian Eno "Everything That Happens Will Happen Today" (Everything That Happens)
Okkervil River "The Stand-Ins" (Jagjaguwar)
Pete Molinari "A Virtual Landslide" (Damaged Goods)
Quinn Walker "Laughter's An Asshole/Lion Land" (Voodoo-Eros)
Shearwater "Rook" (Matador)
Shelleyan Orphan "We Have Everything That We Need" (One Little Indian)
Sun Kil Moon "April" (Caldo Verde)
The Black Angels "Direction To See A Ghost" (Light In The Attic)
The Last Shadow Puppets "The Age Of The Understatement" (Domino)
The Melvins "Nude With Boots" (Ipecac)
Wovenhand "Ten Stones" (Sounds Familirye)
18/12/08
Nancy Wallace - Old Stories
Tra i generi ‘territorialmente’ più riconoscibili a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, il folk inglese è divenuto nel corso dei decenni un manifesto ‘etnico’ di proverbiale importanza. Un suono di riferimento, anche nel momento in cui scriviamo, negli stessi Stati Uniti, le reminiscenze bucoliche assieme ai tratti fortemente immaginativi di formazioni quali Pentangle, Fairport Convention, Steeleye Span e per certi versi Comus, hanno segnato pagine importanti nella storia di quello che è il pop contemporaneo. Affini per tradizione e carta d’identità a queste sintomatiche rappresentazioni, Memory Band già colpirono l’immaginario inglese e non con il debutto per Melodic, rappresentando un’alternativa moderna a quelle impressioni elettro-acustiche. Ora che la voce solista del gruppo Nancy Wallace debutta sulla lunga distanza – dopo aver destato più di un’impressione positiva con l’Ep Young Hearts EP del 2005 – anche i più scettici dovranno ricredersi sul valore di questa musa del modern folk. Old Stories che è figlio di composizioni originali vive di arrangiamenti semplici, suoni ‘sentimentalmente’ ricchi che si sposano alla perfezione con la sua voce estremamente duttile della nostra. Dopo averci deliziato con le sue performance al fianco di Memory Band ed in tempi più recenti con Owl Service – spettacolare formazione al debutto su Southern Records nel 2008 con A Gardland Of Song- la londinese Nancy ci sorprende per la purezza del suo timbro: un momento solenne!
‘ Da tempo considerata come una delle voci più autentiche del circuito folk, questo disco, come le sue esibizioni dal vivo, stabiliscono una invidiabile intimità con l’ascoltatore. Un debutto che lascia il segno ’ (Daryl Easlea, Mojo)
17/12/08
Dalek, il nuovo album su Ipecac in uscita a fine Gennaio
Parlare di Dalek come un gruppo hip hop atipico non è che renda giustizia al consolidato combo newyorkese. Sarebbe il caso di considerare la muraglia sonora dei nostri come la punta d'iceberg di quella collisione tra musica bianca e nera, portata finalmente a compimento. Il 2009 segna il prepotente ritorno in scena del duo con "Gutter Tactics", nuovamente licenziato da Ipecac, label che attitudinalmente sposa in pieno le istanze del gruppo. E' l'ennesima scorribanda suburbana, screziata sì dalle classiche bordate white-noise, ma spesso suscettibile al fascino di certa psichedelia e delle più immaginifiche colonne sonore di film underground. Disco di strada post-moderno, tra crude battute e sciabolate metalliche, seguendo quel percorso bi-polare che è ormai cifra stilistica di Dalek. E' quello che potremmo definire un disco di confine, proprio perchè ai margini di tutte le musiche estreme sembra oculatamente muoversi la coppia composta dal produttore Oktopus e dall'mc Dalek. Sin dagli esordi era evidente quanto ampia fosse la loro passione, per non parlare poi della conoscenza musicale, quasi un pozzo senza fondo. Del resto potevate immaginare un sedicente gruppo hip-hop a braccetto con i pionieri del kraut rock Faust? O magari perdersi a meraviglia tra i rivoli avant-jazz-metal dei nostrani Zu? Tutto questo si è consumato nella maniera più naturale, un fuoco di fila che ha fatto ricredere anche i rockers più intransigenti su quello che è il mestiere dei Dalek. Guastatori. Propriamente, con rime e riffs, tagli di vinile ed atmosfere claustrofobiche, che mai come in questo "Gutter Tactis" assumono dinamiche quasi docili, accompagnando classici scenari da ring infuocato. Questo è proprio un incontro di box, tra chi manipola e chi in origine prepara i piatti, perchè da buoni onnivori le influenze che i Dalek stendono sulla tavola sono così diverse, da una parte Black Sabbath, Melvins, My Bloody Valentine e Faust, dall'altra i bricolage vinilitici di Bomb Squad, Mobb Deep, Schooly D e Wu Tang.
16/12/08
The Noise Band From Bletchley: ACTION BEAT!
Possono a ragione essere considerati una delle più promettenti realtà della scena post-punk inglese. Gli Action Beat arrivano da Bletchley e questo è il loro secondo album, il primo ad esser pubblicato per Truth Cult, nuovo marchio con distribuzione esclusiva Southern Records. Già celebri per le loro intricate partiture e la natura spesso improvvisata della loro musica gli Action Beat sono il nuovo che avanza. Con "The Noise Band From Bletchley" si staccano per certi versi dai modelli di riferimento, puntando su una maggiore originalità negli arrangiamenti. Quella che era una comune appartenenza ai modelli noise-rock e post-punk, dove la frenesia e l'impatto sonoro prendono il sopravvento, diviene un punto di partenza prezioso per gli Action Beat, che abbracciano nuove discipline. E certa psichedelia, assieme ad una tendenza per il mantra di scuola kraut rock, sembrano prendere il sopravvento in molte delle nuove composizioni. Assieme a questi slanci strumentali è di sicuro avvincente il lavoro della sezione fiati, che conferisce ulteriore colore ai brani, spostando spesso l'equilibrio verso una feeling jazzy. Nove elementi che nella dimensione live raggiungono un loro climax catartico, grazie al fitto dialogo tra sezione ritmica, fiati e chitarre. Il disco è stato inciso presso i Southern Studios e le dodici tracce (per 42 minuti) scaturite da queste incisioni avranno anche la forza di risollevare le vostre grigie serate invernali. Se Sonic Youth, The EX e Glenn Branca fanno parte del vostro dna, non farete fatica a familiarizzare con questo straripante combo d'Albione
Il Ritorno di The Hunches
Qualcuno vuole farvi credere che lo shitgaze sia una delle novità assolute provenienti dall’underground a stelle e strisce,. Vero in parte, nelle province e nei sobborghi delle grandi metropoli americane si è sempre suonato un rock’n’ roll ad alto voltaggio, volutamente sporco, indebitato con la tradizione sì, ma fortemente ammaliato dalle profezie del proto-garage, del punk rock e – perchè no – del rumorismo. Gli Hunches sono forse uno dei più dinamici ed aggressivi gruppi di stanza In The Red. Arrivano dal Northwest e pù precisamente da Portland, Oregon. Il loro garage-trash è uno schiaffo in faccia. Nulla di psicotico, la lora musica è un assalto all’arma bianca, il tutto si basa sul concetto del vivi veloce, muori giovane. Con la debita – e sufficiente – dose di ironia. Chitarre jingle-jangle che vengono esasperate, ondate di rumore bianco in salsa garage, un rincorrersi più che vigoroso, virulento. Riscrivendo le regole di un suono antico, immortale ed ormai immolato al classicismo. Exit Dreams è il loro terzo album , quello che probabilmente ne decanterà l’apice artistico ed il relativo ritiro dalle scene.
Sanguinolento ed amplificato lo-fi, per una barbarie che potrebbe aver luogo in qualsiasi cantina americana. Perché dimenticatevi degli ingegneri del suono, questa musica per poter far male non ha bisogno di alcun tipo di filtro od uomo in regia, l’essenza la si coglie su poche piste , con incisioni pressoché dal vivo.
I Cramps suonati a 45 giri, o gli Stooges di Metallic K.O.? Gli Electric Eels sotto speed od i Wipers ancor più disossati? Non è musica gentile e non pretende di esserla. Questa è pura violenza suburbana, spiattellata di fronte ai vostri occhi atterriti!
Sanguinolento ed amplificato lo-fi, per una barbarie che potrebbe aver luogo in qualsiasi cantina americana. Perché dimenticatevi degli ingegneri del suono, questa musica per poter far male non ha bisogno di alcun tipo di filtro od uomo in regia, l’essenza la si coglie su poche piste , con incisioni pressoché dal vivo.
I Cramps suonati a 45 giri, o gli Stooges di Metallic K.O.? Gli Electric Eels sotto speed od i Wipers ancor più disossati? Non è musica gentile e non pretende di esserla. Questa è pura violenza suburbana, spiattellata di fronte ai vostri occhi atterriti!
Long live the loud!
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In The Red,
The Hunches
MV & EE With the Golden Road
Si annidano nelle verdi praterie del Vermont Matt "MV" Valentine – un tempo depositario della sigla drone-psichedelica Tower Recordings - ed Erika "EE" Elder, coppia di fatto, anche musicalmente parlando. Assieme al loro cane Zuma – toh, un riferimento per nulla sottile all’eroe Neil Young – sono responsabili del marchio Child Of Microtones, marchio specializzato in blues lunare, finger-picking, noise/space e folk di frontiera. Incisioni ovviamente limitate a poche centinaia di copie, per non dire decine, documenti che in parallelo descrivono l’attività del duo, in minuziose edizioni in cd-r.
Dopo esser stati benedetti dalla Ecstatic Peace di Thruston Moore, si accasano con l’album Drone Trailer presso Di Cristina, label gestita in parte da Devendra Banhart, nome tutelare della rinascita folk a stele e strisce. Con il nomignolo MV & EE & The Golden Road, si affacciano alla ribalta discografica allestendo un quintetto niente male, i nomi degli altri cospiratori sono: Doc Dunn (pedal steel, chitarra), Mike Smith (basso, fender rhodes) and James Anderson (batteria, ingegnere del suono). Drone Trailer consolida in buona parte le recenti operazioni del gruppo, puntando ancora con decisione sul formato canzone. E’ un fantastico ibrido di folk spaziale, con influssi addirittura orientali, l’idea di una blues jam psichedelica, dilatata, spinta al parossismo. Nell’apertura Anyway è addirittura impossibile non riconoscere il tocco dei Crazy Horse o le prime fatiche degli stessi Grateful Dead.
I Golden Road saranno in tour tutto l’inverno, prima negli Stati Uniti, successivamente si lanceranno in un esteso giro europeo. Una delle più pure espressioni del nuovo movimento folk Americano, in tutto il suo disarmante splendore
Dopo esser stati benedetti dalla Ecstatic Peace di Thruston Moore, si accasano con l’album Drone Trailer presso Di Cristina, label gestita in parte da Devendra Banhart, nome tutelare della rinascita folk a stele e strisce. Con il nomignolo MV & EE & The Golden Road, si affacciano alla ribalta discografica allestendo un quintetto niente male, i nomi degli altri cospiratori sono: Doc Dunn (pedal steel, chitarra), Mike Smith (basso, fender rhodes) and James Anderson (batteria, ingegnere del suono). Drone Trailer consolida in buona parte le recenti operazioni del gruppo, puntando ancora con decisione sul formato canzone. E’ un fantastico ibrido di folk spaziale, con influssi addirittura orientali, l’idea di una blues jam psichedelica, dilatata, spinta al parossismo. Nell’apertura Anyway è addirittura impossibile non riconoscere il tocco dei Crazy Horse o le prime fatiche degli stessi Grateful Dead.
I Golden Road saranno in tour tutto l’inverno, prima negli Stati Uniti, successivamente si lanceranno in un esteso giro europeo. Una delle più pure espressioni del nuovo movimento folk Americano, in tutto il suo disarmante splendore
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mv and ee with the golden road
15/12/08
Wino
Un'istituzione, l'uomo che oggi incarna al meglio la tradizione hard rock statunitense, un profeta in patria ed un musicista considerato di culto a tutte le latitudini. Motociclista sui generis, lungocrinito chitarrista e cantante, una vita vissuta sempre ai margini ed un luogo di nascita di quelli che non puoi sbagliare: Washington DC. La sua prima formazione - gli Obsessed - di cui era leader indiscusso (ricoprendo appunto il doppio ruolo di chitarrista/cantante) era solita esibirsi agli albori degli anni '80 con alcune delle più influenti formazioni hardcore/punk locali. Da qui nascerà una decennale amicizia proprio con Ian McKaye all'epoca osservante straight edge nei Minor Threat. Da sempre appassionato del classico sound Black Sabbath, di certa tonante psichdelia e finanche del più pindarico jazz rock (tra i suoi chitarristi preferiti non fa fatica ad includere John McLaughlin), Wino conosce presto una seconda giovinezza in California, unendosi ai Saint Vitus che avevano da poco salutato il loro storico vocalist Scott Reagers. Correva l'anno 1986 ed il gruppo di Dave Chandler pubblicava uno dei suoi indiscussi capolavori per SST: Born Too Late. Nella prima metà degli anni 90, Scott fa però ritorno alla navicella madre. Rimette su la premiata ditta Obsessed, ancora una volta un power trio, con formazione logicamente rivoluzionata. Giunge addirittura ad incidere per una major - la Columbia - e a supportare alcune delle più blasonate formazioni nu metal e stoner (gli stessi Kyuss individuano in Wino un padre putativo). Ma Wino è destinato sempre a nuove sfide, ragion per cui, spentisi i fari della critica, il nostro torna a muoversi nell'underground più radicale, sempre dietro a nuove collaborazioni e a gruppi capaci di rinnovare l'interesse nell'hard-rock doom come Spirit Carvan ed Hidden Hand.
"Punctuated Equilibrium" (in uscita per Southern Lord a fine Gennaio) è il primo album solista di Wino ed è stato registrato da un'altra vecchia conoscenza di Washington DC, Jay Robbins (Government Issue, Jawbox, Burning Airlines). Facendosi aiutare da una sezione ritmica di tutto rispetto che prevede alla batteria Jean Paul Gaster (Clutch, The Bakerton Group) e Jon Blank (Rezin) al basso, il nostro colleziona ancora un tetro ed avvolgente lavoro fatto di riff sub-sabbathiani ed improvvisazioni al margine col jazz rock. John Coltrane e la Mahavishnu Orchestra del resto rimangono un pallino fisso di Wino. "Questo è stato il culmine di un sogno davvero antico, che si è realizzato " le parole di Wino non lasciano spazio ad ulteriori commenti: "una delle cose principali che ho imparato in vita mia è come raggiungere il successo, o meglio, come interpretarlo. Per me non ha nulla a che fare con la ricchezza e la gloria, quanto con l'impatto che puoi avere sulla vita di altre persone. La filosofia che mi guida dice che ho ricevuto un dono, un dono musicale che utilizzo per regalare felicità agli altri."
Wino sarà anche protagonista con la sua nuova band al festival Roadburn, che si terrà in Olanda nell'aprile del 2009 e i cui biglietti sono stati messi in vendita pochi giorni fa.
Uno dei più grandi rocker del nostro tempo è di nuovo qui.
Wino sarà anche protagonista con la sua nuova band al festival Roadburn, che si terrà in Olanda nell'aprile del 2009 e i cui biglietti sono stati messi in vendita pochi giorni fa.
Uno dei più grandi rocker del nostro tempo è di nuovo qui.
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Wino
12/12/08
Jonathan Richman
E’ sempre un piacere ritrovare l’ex-leader dei Modern Lovers, anche in una situazione così intimista, addirittura confidenziale. E’ un Jonathan Richman per certi versi inedito quello che incontrerete nei solchi del nuovo album pubblicato da Munster "? A Que Venimos Sino A Caer?"– che in inglese sta per What Are We Here For But To Fall Down - una raccolta di brani che presenta principalmente pezzi cantati in spagnolo, concedendosi peraltro stuzzicanti interpretazioni in lingua francese ed italiana. Molti dei brani compresi in questa collezione sono stati concepiti in quel di Tarifa, laddove un ispirato Richman prendeva appunti su un tovagliolino, comodamente seduto al bar, intento a godersi dei lunghi e distesi pomeriggi assolati. Non esattamente un clima da movida, bensì una visione estasiata da parte di un americano che ha saputo cogliere anche le più sottili sfumature della vita nella penisola iberica. Il clima è piuttosto rilassato, con un Richman ancora una volta istrione, vero capitano di ventura anche sul terreno di un pop che lascia enorme spazio alla fantasia. Folk a lume di candela, ma non crediate che queste siano le vostre tipiche torch songs, perché la continuità con la grande tradizione americana viene in qualche maniera accantonata, al fine di abbracciare i più consoni stilemi della musica continentale. Ed è davvero l’interpretazione a fare la differenza, armato del suo unico timbro vocale, di una chitarra acustica e di sparute percussioni (per gentile concessione del fido batterista Tommy) Jonathan gioca la carta del più sbilenco pop, abbracciando anche il flamenco, la storia mediterranea e quella dei cantori vaudeville. In Che Mondo Viviamo – già ascoltata nell’album da studio Not so Much to Be Loved as to Love edito da Vapor nel 2004 – è già un classico del suo nuovo repertorio, anche in questa ripresa scarna. Come dire: la disarmante semplicità è spesso una delle armi più taglienti.
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11/12/08
Alice Russell presenta a Roma il nuovo album
Venerdi 12 Dicembre a Roma la presentazione dal vivo del nuovo album della soul singer britannica intitolato Pot Of Gold. Sempre Venerdi 12 Alice Russell si esibirà in diretta radiofonica su Radio 1 Village (RAI) in un concerto unplugged accomapgnata dalla chitara di TM Juke
UNO SPETTACOLO VERO E AUTENTICO, CHE RAGGIUNGE L’APICE CON LA SORPRENDENTE RILETTURA GOSPEL DI CRAZY, SI’, PROPRIO IL TORMENTONE DELLO SCORSO ANNO FIRMATO GNARLS BARKLEY (XL DI REPUBBLICA DICEMBRE, 5 STELLE)
ANNI DI ESIBIZIONI LIVE ACCANTO AI DJ PIU’ INNOVATIVI DELLA SCENA DANCE – L’ULTIMA E’ STATA LA COLLABORAZIONE CON MR SCRUFF DELLA NINJA TUNE PER IL BRANO MUSIC TAKES ME UP – PERMETTONO AD ALICE RUSSELL DI PASSARE DAL GOSPEL AL FUNK ALL’INTERNO DI UNO STESSO BRANO (ROCKSTAR DICEMBRE, RECENSIONE BOXATA 4 STELLE)
…QUESTA BIONDINA TUTTA GRINTA E TONSILLE, CAPACE DI RIVALEGGIARE NELLO STESSO TEMPO CON ARETHA E CAB CALLOWAY NEL BLUES PRIMITVO DI LIGHTS WENT OUT E FAR CORRERE UN BRIVIDO LUNGO LA SCHIENA NELLA RILETTURA GOSPEL DI CRAZY (GNARLS BARKLEY), SOSPESA TRA IL SACRO E IL PROFANO DI MAHALIA JACKSON (RUMORE DICEMBRE, VOTO 7)
…ALICE RUSSELL, LA VOCE NERA IN UN CORPO DI BIANCA, E’ SEMPRE MOLTO BRAVA (E IN CERTE OCCASIONI FA MIRACOLI, VEDI LIGHTS WENT OUT); IL SOUND E’ MODERNO E FRIZZANTE; E POICHE’ IL NU SOUL E’ DI MODA, UN POSTO AL SOLE PER ALICE, TRA AMY WINEHOUSE E DUFFY, NON DOVREBBE MANCARE (BLOW UP DICEMBRE, VOTO 7)
UNO SPETTACOLO VERO E AUTENTICO, CHE RAGGIUNGE L’APICE CON LA SORPRENDENTE RILETTURA GOSPEL DI CRAZY, SI’, PROPRIO IL TORMENTONE DELLO SCORSO ANNO FIRMATO GNARLS BARKLEY (XL DI REPUBBLICA DICEMBRE, 5 STELLE)
ANNI DI ESIBIZIONI LIVE ACCANTO AI DJ PIU’ INNOVATIVI DELLA SCENA DANCE – L’ULTIMA E’ STATA LA COLLABORAZIONE CON MR SCRUFF DELLA NINJA TUNE PER IL BRANO MUSIC TAKES ME UP – PERMETTONO AD ALICE RUSSELL DI PASSARE DAL GOSPEL AL FUNK ALL’INTERNO DI UNO STESSO BRANO (ROCKSTAR DICEMBRE, RECENSIONE BOXATA 4 STELLE)
…QUESTA BIONDINA TUTTA GRINTA E TONSILLE, CAPACE DI RIVALEGGIARE NELLO STESSO TEMPO CON ARETHA E CAB CALLOWAY NEL BLUES PRIMITVO DI LIGHTS WENT OUT E FAR CORRERE UN BRIVIDO LUNGO LA SCHIENA NELLA RILETTURA GOSPEL DI CRAZY (GNARLS BARKLEY), SOSPESA TRA IL SACRO E IL PROFANO DI MAHALIA JACKSON (RUMORE DICEMBRE, VOTO 7)
…ALICE RUSSELL, LA VOCE NERA IN UN CORPO DI BIANCA, E’ SEMPRE MOLTO BRAVA (E IN CERTE OCCASIONI FA MIRACOLI, VEDI LIGHTS WENT OUT); IL SOUND E’ MODERNO E FRIZZANTE; E POICHE’ IL NU SOUL E’ DI MODA, UN POSTO AL SOLE PER ALICE, TRA AMY WINEHOUSE E DUFFY, NON DOVREBBE MANCARE (BLOW UP DICEMBRE, VOTO 7)
per saperne di più guarda questo video:
The Fireman "Sing The Changes" video
“Sing the Changes” è un brano di grande impatto, vicino alle immortali armonie beatlesiane, con quei particolari fraseggi di chitarra che hanno per sempre determinato l’arrangiamento pop e che oggi risplendono di imprendibile classe. Curioso che uno dei dischi più freschi del mese venga proprio da un ex-Beatles in compagnia di una star minore degli anni ’80. Curioso ma vero.
BLOW UP – 7/10
il pompiere si mette a cantare. il risultato è uno dei dischi migliori di Paul Mccartney
JAM - disco del mese di dicembre
“Electric Arguments” è una grande lezione di ottima musica, talentuosa, imprevedibile e spiazzante, che se ne frega di generi precisi e scontatezze, ma prosegue a zig zag, così come hanno sempre fatto entrambi i suoi artefici
IL MUCCHIO - disco del mese di dicembre
gli arrangiamenti elettronici che contraddistinguono quasi tutto il materiale sono però ben lontani dalle atmosfere fredde e tecnologiche di dischi come Mccarteny II o dalla accozzaglia di suoni di Liverpool Sound Collage, le melodie sono spesso azzeccate e anche quando l’anima ambient/dance dei Firemn prevale, i brani sono comunque ascoltabili e godibili.
BUSCADERO - 3 stelle
diciamo che è un album del Macca con poche cerimonie, paraculo ma spiccio, talvolta piacevolmente bluesy: cioè meglio, a dirla tutta, dei CD ufficiali che il Sir ama proporci
XL - 3 stelle
“Don’t Stop Running” è il titolo dell’ultima traccia: un motto per il 66enne Macca, sempre con le sneakers ai piedi. A smettere di suonare per fortuna non ci pensa neanche
IL GIORNALE DELLA MUSICA
decisamente ispirato, vario, oserei affermare che siamo di fronte a uno dei dischi più convincenti di tutta la carriera solista di Macca e una prova ulteriore, se mai ce ne fosse bisogno, della dedizione del leader dei Beatles alla ricerca al di là del lato commerciale più famoso
ROCKERILLA – 8/10
“Electric Arguments” di destreggia fra le dodici battute e momenti quasi agresti (“Sun is Shining”), fra scosse r’n’r e wave (“Dance ‘Til We’re High”), usa armonica a bocca, elettronica dolce e, soprattutto, un mare di elettricità. Possiede un’energia e una curiosità che difettano a molti giovani, oggi: tredici pezzi per tredici giorni di incisioni, un viaggio nella psichedelica, nel rock di oggi e di ieri e una freschezza che fa apparire molto di ciò che circola attualmente scontato e risaputo.
AUDIOREVIEW – 8/10
Con “Electric Arguments” l’ex-Beatle torna alla forma canzone che esplora in maniera libera e fantasiosa: accanto a brani dal gusto un po’ retrò, trovano posto episodi sperimentali, eccentrici e dal soave tocco psichedelico
L’ESPRESSO
Insomma, un album di Paul McCartney più sperimentale e diverso, sebbene intimamente, immensamente suo, a cominciare dalla gestazione: tredici brani scritti e registrati da Paul in altrettanti giorni, a differenza delle produzioni iper-perfette alle quali Macca ci ha spesso abituato. Da beatlesiano fedele e devoto, lo segnalo come uno dei dischi migliori e più eclettici di Paul dopo I Beatles. E scusate se è poco!
ONDAROCK – 7,5/10
Gran bell’album, variegato ed esplorativo, tradizionalmente innovativo, fra il rock e l’ambient, tra il pop e la dance, l’acustica e l’elettronica.
ROCKSTAR – 4 stelle
“Sing the Changes” è un brano di grande impatto, vicino alle immortali armonie beatlesiane, con quei particolari fraseggi di chitarra che hanno per sempre determinato l’arrangiamento pop e che oggi risplendono di imprendibile classe. Curioso che uno dei dischi più freschi del mese venga proprio da un ex-Beatles in compagnia di una star minore degli anni ’80. Curioso ma vero.
BLOW UP – 7/10
il pompiere si mette a cantare. il risultato è uno dei dischi migliori di Paul Mccartney
JAM - disco del mese di dicembre
“Electric Arguments” è una grande lezione di ottima musica, talentuosa, imprevedibile e spiazzante, che se ne frega di generi precisi e scontatezze, ma prosegue a zig zag, così come hanno sempre fatto entrambi i suoi artefici
IL MUCCHIO - disco del mese di dicembre
gli arrangiamenti elettronici che contraddistinguono quasi tutto il materiale sono però ben lontani dalle atmosfere fredde e tecnologiche di dischi come Mccarteny II o dalla accozzaglia di suoni di Liverpool Sound Collage, le melodie sono spesso azzeccate e anche quando l’anima ambient/dance dei Firemn prevale, i brani sono comunque ascoltabili e godibili.
BUSCADERO - 3 stelle
diciamo che è un album del Macca con poche cerimonie, paraculo ma spiccio, talvolta piacevolmente bluesy: cioè meglio, a dirla tutta, dei CD ufficiali che il Sir ama proporci
XL - 3 stelle
“Don’t Stop Running” è il titolo dell’ultima traccia: un motto per il 66enne Macca, sempre con le sneakers ai piedi. A smettere di suonare per fortuna non ci pensa neanche
IL GIORNALE DELLA MUSICA
decisamente ispirato, vario, oserei affermare che siamo di fronte a uno dei dischi più convincenti di tutta la carriera solista di Macca e una prova ulteriore, se mai ce ne fosse bisogno, della dedizione del leader dei Beatles alla ricerca al di là del lato commerciale più famoso
ROCKERILLA – 8/10
“Electric Arguments” di destreggia fra le dodici battute e momenti quasi agresti (“Sun is Shining”), fra scosse r’n’r e wave (“Dance ‘Til We’re High”), usa armonica a bocca, elettronica dolce e, soprattutto, un mare di elettricità. Possiede un’energia e una curiosità che difettano a molti giovani, oggi: tredici pezzi per tredici giorni di incisioni, un viaggio nella psichedelica, nel rock di oggi e di ieri e una freschezza che fa apparire molto di ciò che circola attualmente scontato e risaputo.
AUDIOREVIEW – 8/10
Con “Electric Arguments” l’ex-Beatle torna alla forma canzone che esplora in maniera libera e fantasiosa: accanto a brani dal gusto un po’ retrò, trovano posto episodi sperimentali, eccentrici e dal soave tocco psichedelico
L’ESPRESSO
Insomma, un album di Paul McCartney più sperimentale e diverso, sebbene intimamente, immensamente suo, a cominciare dalla gestazione: tredici brani scritti e registrati da Paul in altrettanti giorni, a differenza delle produzioni iper-perfette alle quali Macca ci ha spesso abituato. Da beatlesiano fedele e devoto, lo segnalo come uno dei dischi migliori e più eclettici di Paul dopo I Beatles. E scusate se è poco!
ONDAROCK – 7,5/10
Gran bell’album, variegato ed esplorativo, tradizionalmente innovativo, fra il rock e l’ambient, tra il pop e la dance, l’acustica e l’elettronica.
ROCKSTAR – 4 stelle
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The Fireman,
Video
10/12/08
"Tundra" il nuovo album degli Enablers
Si dice che tre sia il numero perfetto o anche il numero magico. Meglio la seconda – di ipotesi – perché gli Enablers, californiani di San Francisco, sicuramente saranno in grado di regalarci ulteriori emozioni, attraverso la loro musica, vibrante e mistica. Si chiama Tundra il loro nuovo e terzo album che uscirà a fine gennaio per l’emerita indipendente tedesca Exile On Mainstream. Il background musicale dei nostri è tutto meno che trascurabile. Sono infatti gloriosi i trascorsi dei quattro, che in epoche sostanzialmente diverse hanno prestato servizio in gruppi più o meno mitologici dell’underground a stelle e strisce. La lista è lunga e prevede nomi quali Swans, Toiling Midgets, Timco, Nice Strong Arm, Tarnation e Broken Horse. Dopo i due album pubblicati dalla solerte Neurot gli Enablers si riaffacciano sul mercato con quella che è la loro opera forse più complessa e poetica. Visionaria nelle sue trame da rock del dopo bomba, una psichedelia che definiremmo apocalittica, senza apparire affatto sensazionali. E’ chiaro che la loro cifra musicale è figlia dei tardi anni 80 come dei primi 90, periodi artisticamente sensibili alle più propulsive innovazioni. Tundra è dunque l’album che segna una sostanziale svolta nel songwriting del gruppo: più dettagliato nei risvolti ritmici, più ricercato nelle atmosfere. L’abilità nel reinventarsi è il succo della questione, quella che era la formula originaria – un solido slo-core con momenti più rocciosi ed una voce sempre prossima al recitato – viene snellita attraverso una scrittura più brillante, tanto da risultare in un disco dalle forti sfumature romantiche ed avant-rock. L’album uscirà in edizione limitata per l’Europa - 1200 copie disponibili per l’intero territorio – in un lussuoso cofanetto in legno intarsiato a mano ed un cassettino di velluto rosso.
09/12/08
Regali di Natale - Pt.3
Cofanetto limitato a soli 3000 esemplari. Incisioni catturate a cavallo tra il settembre 1977 e l'agosto 1978 in pieno fermento punk, quando Martin Rev ed Alan Vega erano di casa presso location immortali quali il cbgb's ed il Max's Kansas City. Unitamente ai live newyorkesi in questo box troviamo anche le prime puntate in territorio europeo con i concerti in Belgio, Francia e Germania. Un appuntamento con la storia improcrastinabile.
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Regali di Natale - Pt.2
Sufjan Stevens è solito comporre ogni Natale un Christmas EP a casa e nel corso di una settimana, coinvolgendo amici, coinquilini, musicisti e una varieta' incredibile di strumenti ispirandosi al Rider's Digest Christhmas Songbook. Il rito e' cominciato nel 2001 con un ep di sette tracce intitolato Noel: Vol. I e si e' poi ripetuto ogni anno (ad eccezione del 2004), con la pubblicazione di Hark: Volume II, Ding! Dong!: Volume III, Joy: Volume IV e Peace: Volume V. Durante la composizione dell'ultimo capitolo, Sufjan ha pensato che sarebbe stato un peccato disperdere questa raccolta davvero bizzarra e non volendo scegliere tra i pezzi per assemblare una compilation, ha deciso di pubblicare tutti e cinque gli ep in un unico box intitolato "Songs for Christmas" che viene venduto ad un prezzo veramente interessante. Nel box, oltre ai 5 CD c'è un bellissimo booklet di 42 pagine contenente un saggio originale dell'acclamato romanziere americano Ricky Moody, due saggi e un racconto di Sufjan Stevens, adesivi, spartiti, testi, fumetti, ritratti di famiglia, fotografie e anche un video.
Regali di Natale - Pt.1
Una testimonianza sonora della grande depressione americana, quella che ha avuto il suo inizio nell’anno del signore 1929. Un documento sonoro eccezionale, per chi si professa amante del cosiddetto Pre-war Folk ed un acquisto imprescindibile per tutti coloro che amano i suoni ancestrali del nuovo continente. Box di 3 cd con artwork e booklet curatissimi, fondamentale al pari di “Anthology Of American Folk Music” di Harry Smith.
03/12/08
Carboniferous, il ritorno degli Zu
Esce a Febbraio il nuovo album degli Zu, prima produzione accreditata interamente a loro dai tempi del famigerato e solido "Live In Helsinki". E’ il disco con il quale si siedono in maniera permanente al tavolo dei gruppi estremi contemporanei, forti anche dell’appoggio della loro nuova etichetta, la Ipecac dell’ex Faith No More/Mr. Bungle Mike Patton. Estremo è il termine che meglio si adatta allo stile del gruppo, che con “Carboniferous” si esprime su livelli di assoluta eccellenza, prendendo spunto da una primordiale ricerca per le musiche di confine – e tendenzialmente più rumorose – del nostro tempo.
Difficile mettere sotto vuoto l’espressione del trio romano, che attraverso una serie di soluzioni dinamitarde porta avanti il suo credo. Un album portentoso, una processione quasi senza respiro, un mastodonte di proporzioni epiche. Arduo ormai rintracciare nella loro musica uno stile predefinito, tutti gli elementi che sin qui ne hanno caratterizzato la peculiarità vengono polverizzati: un assalto all’arma bianca in cui è possibile scorgere sì brandelli di musica industriale, metal evoluto e jazz libero, ma anche una personalità ed un carattere senza pari. Che è poi il loro tratto distintivo.
Il disco è frutto di una lunga gestazione, i brani sono stati provati ad oltranza e sottoposti al classico trattamento live, una disciplina quella degli Zu: giungere ad una forma definitiva anche attraverso le innumerevoli prestazioni sui palchi internazionali. Il gruppo è un’autentica macchina da concerti, tanto che 2/3 (la cifra è arrotondata per difetto) del loro anno solare è speso costantemente in tour. Il trio, come sempre composto da Luca Mai (sax) Massimo Pupillo (basso) e Jacopo Battaglia (batteria ed elettronica), tornerà appunto on the road da inizio 2009 per promuovere l' album. Sono già annunciate date in tutta Europa, USA, Canada, Giappone, Israele, e Messico e, prima di allora, gli Zu saranno nel cast del Festival All Tomorrow Parties Nightmare Before Christmas, curato da Mike Patton e The Melvins, in programma per i primi di Dicembre 2008 a Minhead UK.
“Carboniferous” è stato prodotto da Giulio Ragno Favero (Teatro Degli Orrori ed ex-One Dimensional Man) presso il Blocco A di Padova ed Officine Meccaniche a Milano. Il disco vede la partecipazione dello stesso Mike Patton in due brani, mentre King Buzzo dei Melvins suona la chitarra in un brano registrato in session con gli Zu a Los Angeles.
Possiamo ascoltare Mike in “Soulympics” ed “Orc”. La prima traccia è volutamente giocata sulla sua gamma vocale, un alternarsi di registri diabolici e timbri altrove soavi, tutto questo mentre gli Zu si lanciano in una perfida performance dai tratti matematici. Il secondo episodio è invece più prossimo a territori ambient-industraili e qui Mike sembra condurre per mano il gruppo in un orrorifico antro.
Tra gli altri ospiti lo stesso produttore Giulio Favero (chitarra, basso sinewaves e squarewaves) ed il fenomenale percussionista Alessandro "Pacho" Rossi, che aggiunge altro colore e profondità a brani quali “Chthonian” ed “Orc”.
E’ bene ricordare come il trio base degli Zu spesso possa incontrare musicisti spiritualmente affini, per concepire e sviluppare idee dal profilo multiforme. In particolare l’alleanza con Patton deve essere vista come un punto di partenza per nuove interessanti e variopinte operazioni. Il quartetto è stato già collaudato dal vivo con ottimi risultati -memorabile l’apparizione romana con lo zampino di uno spiritato ed inedito presentatore quale Danny De Vito – e presto tornerà ad esibirsi in maniera più prepotente.
Di sicuro interessante anche la liason con i Sonic Youth: gli Zu aprono la loro data a Ostia Antica (Roma) nell’estate del 2007, quando il gruppo newyorkese nell’avvolgente atmosfera dell’anfiteatro romano esegue il classico Daydream Nation. Proprio con Original Silence (gruppo in cui ritroviamo lo stesso Thurston Moore, Jim O' Rourke, Mats Gustaffson, Terrie Ex e Paal Nilssen-Love) Massimo Pupillo avrà modo di esibirsi in occasioni quanto meno importanti.
Gli Zu hanno dimostrato nel corso degli anni di sapersi muovere anche in paralleli ambiti multimediali. Dopo la colonna sonora dal vivo per la compagnia teatrale Societas Raffaello Sanzio nello spettacolo "Vexilla Regis Prodeunt Inferni", la partecipazione al Gent Film Festival in collaborazione con la videoartista Carola Spadoni, è ora la volta di una vera e propria colonna sonora, concepita per il nuovo film di Alex Infascelli, titolato al momento “Nell' Ombra” ed interpretato da Fabrizio Bentivoglio.
Progetti in corso: la bigband con i Dalek ed il quartetto con Rob Wright (voce e basso dei Nomeansno). Sotto altri nomi i tre componenti del gruppo si muovono come Black Engine (assieme ad Eraldo Bernocchi e FM Einheit degli Einsturzende Neubauten), mentre come Garden Of Evil – assieme alla pianista classica Katia Labeque – stanno rivisitando le musiche di Bernard Herrmann. Unitamente a questa scaletta così serrata gli Zu hanno fondato con Geoff Farina e Giampaolo Felici il progetto Ardecore, con due cd usciti per Il Manifesto Dischi: il recente “Chimera” ha vinto il Premio Tenco 2007. Massimo ha poi suonato con The Ex, Original Silence (Thurston Moore, Jim O' Rourke, Mats Gustaffson, Terrie Ex, Paal Nilssen-Love), Offonoff (Terrie Ex & Paal Nilssen Love), B For Bang (Katia Labeque, Giovanni Sollima, Meg), Dimension X ( Chris Corsano & David Chalmin), 7KOaks (Alfred Harth), in quartetto con Peter Brotzmann, Toshinori Kondo & Paal Nilssen Love. Luca ha suonato dal vivo con Karate, Nomeansno e Dalek. Ha un duo con Mats Gustafsson. Attualmente è attivo con le band italiane Udus e Psychofagist.
Difficile mettere sotto vuoto l’espressione del trio romano, che attraverso una serie di soluzioni dinamitarde porta avanti il suo credo. Un album portentoso, una processione quasi senza respiro, un mastodonte di proporzioni epiche. Arduo ormai rintracciare nella loro musica uno stile predefinito, tutti gli elementi che sin qui ne hanno caratterizzato la peculiarità vengono polverizzati: un assalto all’arma bianca in cui è possibile scorgere sì brandelli di musica industriale, metal evoluto e jazz libero, ma anche una personalità ed un carattere senza pari. Che è poi il loro tratto distintivo.
Il disco è frutto di una lunga gestazione, i brani sono stati provati ad oltranza e sottoposti al classico trattamento live, una disciplina quella degli Zu: giungere ad una forma definitiva anche attraverso le innumerevoli prestazioni sui palchi internazionali. Il gruppo è un’autentica macchina da concerti, tanto che 2/3 (la cifra è arrotondata per difetto) del loro anno solare è speso costantemente in tour. Il trio, come sempre composto da Luca Mai (sax) Massimo Pupillo (basso) e Jacopo Battaglia (batteria ed elettronica), tornerà appunto on the road da inizio 2009 per promuovere l' album. Sono già annunciate date in tutta Europa, USA, Canada, Giappone, Israele, e Messico e, prima di allora, gli Zu saranno nel cast del Festival All Tomorrow Parties Nightmare Before Christmas, curato da Mike Patton e The Melvins, in programma per i primi di Dicembre 2008 a Minhead UK.
“Carboniferous” è stato prodotto da Giulio Ragno Favero (Teatro Degli Orrori ed ex-One Dimensional Man) presso il Blocco A di Padova ed Officine Meccaniche a Milano. Il disco vede la partecipazione dello stesso Mike Patton in due brani, mentre King Buzzo dei Melvins suona la chitarra in un brano registrato in session con gli Zu a Los Angeles.
Possiamo ascoltare Mike in “Soulympics” ed “Orc”. La prima traccia è volutamente giocata sulla sua gamma vocale, un alternarsi di registri diabolici e timbri altrove soavi, tutto questo mentre gli Zu si lanciano in una perfida performance dai tratti matematici. Il secondo episodio è invece più prossimo a territori ambient-industraili e qui Mike sembra condurre per mano il gruppo in un orrorifico antro.
Tra gli altri ospiti lo stesso produttore Giulio Favero (chitarra, basso sinewaves e squarewaves) ed il fenomenale percussionista Alessandro "Pacho" Rossi, che aggiunge altro colore e profondità a brani quali “Chthonian” ed “Orc”.
E’ bene ricordare come il trio base degli Zu spesso possa incontrare musicisti spiritualmente affini, per concepire e sviluppare idee dal profilo multiforme. In particolare l’alleanza con Patton deve essere vista come un punto di partenza per nuove interessanti e variopinte operazioni. Il quartetto è stato già collaudato dal vivo con ottimi risultati -memorabile l’apparizione romana con lo zampino di uno spiritato ed inedito presentatore quale Danny De Vito – e presto tornerà ad esibirsi in maniera più prepotente.
Di sicuro interessante anche la liason con i Sonic Youth: gli Zu aprono la loro data a Ostia Antica (Roma) nell’estate del 2007, quando il gruppo newyorkese nell’avvolgente atmosfera dell’anfiteatro romano esegue il classico Daydream Nation. Proprio con Original Silence (gruppo in cui ritroviamo lo stesso Thurston Moore, Jim O' Rourke, Mats Gustaffson, Terrie Ex e Paal Nilssen-Love) Massimo Pupillo avrà modo di esibirsi in occasioni quanto meno importanti.
Gli Zu hanno dimostrato nel corso degli anni di sapersi muovere anche in paralleli ambiti multimediali. Dopo la colonna sonora dal vivo per la compagnia teatrale Societas Raffaello Sanzio nello spettacolo "Vexilla Regis Prodeunt Inferni", la partecipazione al Gent Film Festival in collaborazione con la videoartista Carola Spadoni, è ora la volta di una vera e propria colonna sonora, concepita per il nuovo film di Alex Infascelli, titolato al momento “Nell' Ombra” ed interpretato da Fabrizio Bentivoglio.
Progetti in corso: la bigband con i Dalek ed il quartetto con Rob Wright (voce e basso dei Nomeansno). Sotto altri nomi i tre componenti del gruppo si muovono come Black Engine (assieme ad Eraldo Bernocchi e FM Einheit degli Einsturzende Neubauten), mentre come Garden Of Evil – assieme alla pianista classica Katia Labeque – stanno rivisitando le musiche di Bernard Herrmann. Unitamente a questa scaletta così serrata gli Zu hanno fondato con Geoff Farina e Giampaolo Felici il progetto Ardecore, con due cd usciti per Il Manifesto Dischi: il recente “Chimera” ha vinto il Premio Tenco 2007. Massimo ha poi suonato con The Ex, Original Silence (Thurston Moore, Jim O' Rourke, Mats Gustaffson, Terrie Ex, Paal Nilssen-Love), Offonoff (Terrie Ex & Paal Nilssen Love), B For Bang (Katia Labeque, Giovanni Sollima, Meg), Dimension X ( Chris Corsano & David Chalmin), 7KOaks (Alfred Harth), in quartetto con Peter Brotzmann, Toshinori Kondo & Paal Nilssen Love. Luca ha suonato dal vivo con Karate, Nomeansno e Dalek. Ha un duo con Mats Gustafsson. Attualmente è attivo con le band italiane Udus e Psychofagist.
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02/12/08
Milano New Wave, la nuova imperdibile uscita Spittle
Spesso – con fare tipicamente sarcastico – si parla della Milano anni ’80 come della Milano da bere, quella dei manager rampanti, dell’altezzoso mondo della moda, degli aperitivi tres chic. Eppure un underground pulsava nelle viscere della metropoli meneghina, rispecchiando in questo l’andamento dei tempi. La chiamarono tidal wave, un’onda anomala che in realtà poco aveva a che spartire col barocco rock nostrano, né – tanto meno – con le pruriginose stagioni del dopo-disco. Other Side, State Of Art, La Maison e Jeunesse D’Ivoire con la loro algida sensualità, la loro funkness tutta bianca ed il loro sound decadente avrebbero forse potuto fare fortuna altrove. Il loro sound era incredibilmente allineato alle coordinate del sentire continentale, tanto da stupire anche ai giorni nostri. Non si fossero esaurite in rare incisioni da studio – ed in ancor più fantomatiche esibizioni dal vivo – le loro carriere artistiche avrebbero potuto conoscere un sussulto, magari spalleggiate dall’interesse di label che all’epoca stavano ridisegnando i confini del nuovo rock, fossero Factory o Mute.
L’incedere lugubre di Other Side ricorda a tratti quello dei Bauhaus, influssi gotici però stemperati da un’inedita vena ritmica. Il white funk di State Of Art rischia di suonare attualissimo anche ai giorni nostri. La band capitanata dal vocalist Fred Ventura (oggi apprezzato produttore nel ramo letfield dance e curatore di questa raccolta) sfidava sul suo stesso campo Talking Heads ed A Certain Ratio, sfiorando addirittura le intuzioni avant pop dei primissimi Spandau Ballet. I collage elettronici di La Maison parlavano invece la lingua dei Cabaret Voltaire del primo periodo, i loro cut-up sonori tanto dovevano all’allora trio di Richard H Kirk e Chris Watson. Fascinoso invece il new romantic di Jeunesse D’Ivoire che quasi in tema con le più sofisticate pop wave band inglesi, anticipava un discorso melodico estremamente raffinato. Quattro formazioni e quattro storie a sé stanti, un bagaglio artistico non indifferente, sciorinato in cinque brani per band di rarissima reperibilità, oggi finalmente confezionati dalla sempre sorprendente Spittle in un packaging dal tocco futurista. Un’eredità che non dobbiamo affatto dimenticare.
MILANO NEW WAVE 1980-1983
Other Side
01 The Taste Of The Fables
02 Central
03 Praise
04 December, Fragment
05 Contrition
State Of Art
06 Downtown
07 Dantzig Station
08 Venice
09 At Night
10 Show Me
La Maison
11 Igloo
12 Critical Situation
13 Mercedes
14 Jet Two
15 Narciso
Jeunesse d'Ivoire
16 A Gift Of Tears
17 Silent Imagery
18 Scenery
19 Praise
20 Moon
L’incedere lugubre di Other Side ricorda a tratti quello dei Bauhaus, influssi gotici però stemperati da un’inedita vena ritmica. Il white funk di State Of Art rischia di suonare attualissimo anche ai giorni nostri. La band capitanata dal vocalist Fred Ventura (oggi apprezzato produttore nel ramo letfield dance e curatore di questa raccolta) sfidava sul suo stesso campo Talking Heads ed A Certain Ratio, sfiorando addirittura le intuzioni avant pop dei primissimi Spandau Ballet. I collage elettronici di La Maison parlavano invece la lingua dei Cabaret Voltaire del primo periodo, i loro cut-up sonori tanto dovevano all’allora trio di Richard H Kirk e Chris Watson. Fascinoso invece il new romantic di Jeunesse D’Ivoire che quasi in tema con le più sofisticate pop wave band inglesi, anticipava un discorso melodico estremamente raffinato. Quattro formazioni e quattro storie a sé stanti, un bagaglio artistico non indifferente, sciorinato in cinque brani per band di rarissima reperibilità, oggi finalmente confezionati dalla sempre sorprendente Spittle in un packaging dal tocco futurista. Un’eredità che non dobbiamo affatto dimenticare.
MILANO NEW WAVE 1980-1983
Other Side
01 The Taste Of The Fables
02 Central
03 Praise
04 December, Fragment
05 Contrition
State Of Art
06 Downtown
07 Dantzig Station
08 Venice
09 At Night
10 Show Me
La Maison
11 Igloo
12 Critical Situation
13 Mercedes
14 Jet Two
15 Narciso
Jeunesse d'Ivoire
16 A Gift Of Tears
17 Silent Imagery
18 Scenery
19 Praise
20 Moon
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01/12/08
Kid 606 - Die Soundboy Die
L’enfant terrible dell’elettronica californiana – tiene sempre a ribadire le sue origini messicane comunque – torna con un succulento album messo in circolo da una delle più lungimiranti etichette indie inglesi: la Very Friendly. Dopo aver attraversato in lungo e in largo tutti i possibili scenari elettronici, a partire da quella gloriosa metà novanta, Kid 606 mostra prepotentemente il suo valore, lanciando un messaggio a tutti gli artisti borderline del nostro tempo.
Avendo pubblicato per etichette prestigiose quali Mille Plateaux, Ipecac e la personale Tigerbeat 6, il nostro ha sconvolto letteralmente la scena digitale, affiancandosi anche a nomi di peso quali Matmos. Non c’è genere che non abbia toccato, dall’ambient al più astratto click’n’cuts, passando per un’idea assai stravagante di dancehall. Ed è proprio su quest’ultima posizione che si attesta in Die Soundboy Die, facendo collidere generi estremamente fisici come il dubstep, il ragga e la techno. E’ un riemergere prepotente della scena rave, nei suoi aspetti più antichi e moderni. Ma questa è una pura coincidenza, sono canzoni queste sorrette da oscure e spaventose linee di basso, che intendono celebrare la vita, pensando contemporaneamente alla morte. Non propriamente un concept album, almeno a livello sonoro, perché i cambi di tempo e stile fanno di questo disco un’opera estremamente sfaccettata a livello ritmico. Ma intendiamoci, questa è pur sempre la musica migliore per testare i vostri impianti, soprattutto in previsione di un clash tra sound system. Perché proprio in quella cultura è immersa la musica di Kid 606, pregna degli stilemi del genere. E’ un sound che colpisce al basso ventre, impietosamente, che impone una danza sfrenata, ritualistica.
Se amate crogiolarvi con le sonorità di The Bug, Vex'd, Drop The Lime e Dj /Rupture troverete pane per i vostri denti, anche perchè a tutti gli effetti Kid 606 può essere annoverato tra i precursori di un suono anfetaminico, che partendo dai bassifondi inglesi – con in mente la lezione dei grandi dj jamaicani – affronta a volto scoperto gli scenari del nuovo millennio, imponendo drastiche combinazioni concettuali.
Nera danza industriale, l’incubo più prossimo per gli appassionati di chill out music…
Avendo pubblicato per etichette prestigiose quali Mille Plateaux, Ipecac e la personale Tigerbeat 6, il nostro ha sconvolto letteralmente la scena digitale, affiancandosi anche a nomi di peso quali Matmos. Non c’è genere che non abbia toccato, dall’ambient al più astratto click’n’cuts, passando per un’idea assai stravagante di dancehall. Ed è proprio su quest’ultima posizione che si attesta in Die Soundboy Die, facendo collidere generi estremamente fisici come il dubstep, il ragga e la techno. E’ un riemergere prepotente della scena rave, nei suoi aspetti più antichi e moderni. Ma questa è una pura coincidenza, sono canzoni queste sorrette da oscure e spaventose linee di basso, che intendono celebrare la vita, pensando contemporaneamente alla morte. Non propriamente un concept album, almeno a livello sonoro, perché i cambi di tempo e stile fanno di questo disco un’opera estremamente sfaccettata a livello ritmico. Ma intendiamoci, questa è pur sempre la musica migliore per testare i vostri impianti, soprattutto in previsione di un clash tra sound system. Perché proprio in quella cultura è immersa la musica di Kid 606, pregna degli stilemi del genere. E’ un sound che colpisce al basso ventre, impietosamente, che impone una danza sfrenata, ritualistica.
Se amate crogiolarvi con le sonorità di The Bug, Vex'd, Drop The Lime e Dj /Rupture troverete pane per i vostri denti, anche perchè a tutti gli effetti Kid 606 può essere annoverato tra i precursori di un suono anfetaminico, che partendo dai bassifondi inglesi – con in mente la lezione dei grandi dj jamaicani – affronta a volto scoperto gli scenari del nuovo millennio, imponendo drastiche combinazioni concettuali.
Nera danza industriale, l’incubo più prossimo per gli appassionati di chill out music…
28/11/08
Tour italiano per Wildbirds & Peacedrums
Dalla Svezia una delle novità più interessanti del panorama musicale europeo. Voce e batteria, per una band capace di mescolare folk, soul, blues e free music come pochi sanno fare. Il loro esordio 'Heartcore' è tra le gemme indiscusse del 2008.
Da non perdere, dal vivo in Italia:
Stasera (28 Novembre) al Magnolia di Milano, domani 29 Novembre all'Init di Roma e il 30 Novembre al Velvet di Rimini.
Stasera (28 Novembre) al Magnolia di Milano, domani 29 Novembre all'Init di Roma e il 30 Novembre al Velvet di Rimini.
'Duo svedese dal suono pop minimale, tra blues, jazz, folk e pop. Sorprende la voce di Mariam Wallentin: una forza della natura.' 8Recensione boxata su Jam di maggio, 4 stelle) 'Già a buon diritto tra le pagine di più pura e perfetta bellezza che potrà regalarci il 2008'. (Blow Up)
'Capaci di rapire con ballate folk eteree, tambureggianti blues sui generis, romanticismo pop e un senso tangibile di energia quasi primitiva.' (Rumore)
'...Wildbirds&Peacedrums, coppia di musicisti realmente fuori dagli schemi senza voler risultare alternativi per forza...il perfetto esmpio di come la contaminazione sia l'arma in più per realizzare, nel terzo millennio, musica destinata a rimanere...' (Il Mucchio)
'Essenziale, perchè tutto gira tra le corde vocali di Marias e le percussioni di Andreas; sofisticato, perchè subito sotto si scoprono un'infinità di suoni che portano la mente lontano in luoghi meravigliosi e sconosciuti.' (Beat Magazine)
'La musica di Heartcore ...fonde elementi di blues, jazz e folk e pop in un'attitudine spontanea e improvvisativa che miscela purezza e istinto animale, innocenza e ferinità con esiti talvolta sorprendenti...i due riescono a creare atmosfere ancestrali e magiche, capaci di trasportare l'ascoltatore in una dimensione fuori dal tempo.' (Jam)
'Capaci di rapire con ballate folk eteree, tambureggianti blues sui generis, romanticismo pop e un senso tangibile di energia quasi primitiva.' (Rumore)
'...Wildbirds&Peacedrums, coppia di musicisti realmente fuori dagli schemi senza voler risultare alternativi per forza...il perfetto esmpio di come la contaminazione sia l'arma in più per realizzare, nel terzo millennio, musica destinata a rimanere...' (Il Mucchio)
'Essenziale, perchè tutto gira tra le corde vocali di Marias e le percussioni di Andreas; sofisticato, perchè subito sotto si scoprono un'infinità di suoni che portano la mente lontano in luoghi meravigliosi e sconosciuti.' (Beat Magazine)
'La musica di Heartcore ...fonde elementi di blues, jazz e folk e pop in un'attitudine spontanea e improvvisativa che miscela purezza e istinto animale, innocenza e ferinità con esiti talvolta sorprendenti...i due riescono a creare atmosfere ancestrali e magiche, capaci di trasportare l'ascoltatore in una dimensione fuori dal tempo.' (Jam)
Zomby - Where were you in '92?
Werk Discs è lieta di presentare l’album di debutto di Zomby, astro nascente della scena dubstep al tramonto di questo 2008. Where Were U in 92 ? è come un fulmine a ciel sereno, un mixtape fatto di piccoli capolavori ritmici sommersi. Questo è il biglietto da visita di un’artista che ha scosso dalle fondamenta l’intera scena dance/elettronica continentale. Non aspettatevi però un amorfo omaggio ai tempi ed ai modi che furono, perché Zomby ha tutto l’interesse a riattualizzare il sound del dopo-rave con il necessario gusto ed aprendo a scampoli di modernità. Disco dall’alto tasso energetico, dove il beat è spesso spezzato, in onore alla scena garage/2 step che ha fatto il bello e cattivo tempo nell’Inghilterra di inizio decennio. Prima la jungle, poi il drum’n’bass, il grime ed immediatamente a ruota il dubstep. Se un neologismo come bass rave potesse aver mai ragione d’esistere, Zomby impersonerebbe il ruolo di pioniere di quest’altra sensazionale creazione ritmica.
Prestando fede al suo nomignolo, Zomby compare dal nulla ed all’anagrafe risulta già defunto. Le sue prime uscite erano già gettonate da Mary Anne Hobbs che dalle frequenze di Radio One – ed all’interno dello show Breezeblock – promuoveva senza mezzi termini il produttore inglese. Da lì è immediato il riconoscimento dei più noti dj e network internazionali: Kode 9 (Londra), Sinden Kiss FM (Londra), Skream (Londra), Erol Alkan (Londra), Laurent Garnier (Parigi), Drop The Lime (New York), DJ/Rupture (New York), Tayo Kiss FM (Londra), Diplo (NYC), Richie Vibe Vee 1XTRA (Londra), DJ Chef (Londra), Toddla T (Sheffield), Oneman (Londra), DJ Maxximus (Berlino), Blackdown (Londra), Bok-Bok & Manara (Londra), Modeselektor (Berlino), Rob Da Bank (Londra), etc. Amatissimo anche negli States, dove gira con allarmante frequenza, Zomby è riconosciuto oltreoceano come uno dei selecter principe di uno stile che coniuga la Chicago house con i più contemporanei fermenti ritmici inglesi. L’album per Werk è seguito a stretto giro dal doppio dodici pollici inedito per Hyperdub, che vira verso una sorta di funk digitale davvero marziale.
Prestando fede al suo nomignolo, Zomby compare dal nulla ed all’anagrafe risulta già defunto. Le sue prime uscite erano già gettonate da Mary Anne Hobbs che dalle frequenze di Radio One – ed all’interno dello show Breezeblock – promuoveva senza mezzi termini il produttore inglese. Da lì è immediato il riconoscimento dei più noti dj e network internazionali: Kode 9 (Londra), Sinden Kiss FM (Londra), Skream (Londra), Erol Alkan (Londra), Laurent Garnier (Parigi), Drop The Lime (New York), DJ/Rupture (New York), Tayo Kiss FM (Londra), Diplo (NYC), Richie Vibe Vee 1XTRA (Londra), DJ Chef (Londra), Toddla T (Sheffield), Oneman (Londra), DJ Maxximus (Berlino), Blackdown (Londra), Bok-Bok & Manara (Londra), Modeselektor (Berlino), Rob Da Bank (Londra), etc. Amatissimo anche negli States, dove gira con allarmante frequenza, Zomby è riconosciuto oltreoceano come uno dei selecter principe di uno stile che coniuga la Chicago house con i più contemporanei fermenti ritmici inglesi. L’album per Werk è seguito a stretto giro dal doppio dodici pollici inedito per Hyperdub, che vira verso una sorta di funk digitale davvero marziale.
Xela - In Bocca Al Lupo
John Twells oltre a specchiarsi nel nome d’arte Xela è anche direttore artistico e proprietario dell’etichetta Type. Il suo approccio musicale guarda ben oltre gli steccati del genere elettro-acustico, incorporando spesso e volentieri elementi estranei, che danno una dimensione molto ampia del suo soffio artistico. Piuttosto che citare compositori moderni, o prodigiosi interpreti del verbo digitale, John Xela guarda con spirito del tutto avanguardista alla musica sacra e al cinema. Mettendo a nudo le sue influenze, non perde occasione di citare Dario Argento, Lucio Fulci, George Romero, Umberto Lenzi, John Carpenter e Lamberto Bava, registi che hanno sempre valutato fondamentale l’idea di ‚suono’ nelle loro pellicole. Questo passaggio è stato evidente nel suo penultimo album da studio The Dead Sea, macabra discesa nei meandri del soundtrack horror, grazie ad un’efficace produzione strumentale in grado di citare ambient siolazionista, spettrale folk music ed elettronica ante-litteram. Da qualche parte tra gli scenari retro-futuristi del BBC Radiophonic Workshop e la cosiddetta grey area (altro modo per indicare le culture ‚industriali’ di inizio 80, sulal falsa riga dell’omonima collanana Mute).
Ancora più immerso in questi magmatici scenari è il nuovo cimento da studio a titolo In Bocca Al Lupo, quasi un eufemismo se pensiamo alle sinistre atmosfere evocate dal solo John. Nel particolare si tratta di una composizione di 60 minuti concepita per un’ orrorifica installazione in quel di Chicago. Per giungere alla definizione di questo tema, Xela ha spesso visitato le antiche basiliche e cattedrali italiane e spagnole, per scorgerne nell’architettura ulteriori elementi di ispirazione.
E’ evidente come questo album sia ulteriore sforzo nella definizione di un genere proprio, atipico, dove in completa assenza del ritmo, si spolvera tutta l’inventiva del mezzo analogico, delle sue remote possibilità e della potenza descrittiva della musica in sé. Un suono che sicuramente non può prescindere dagli oscuri scenari in cui è concepito, un cinema per le orecchie, un’acquatica sala degli orrori. Rievocando in parte la morte statica del David Lynch di Eraserhead come le pieghe più rarefatte dei nuovi terroristi sonici – leggete alla voce Wolf Eyes, Hair Police e Yellow Swans – Xela ci consegna con In Bocca Al Lupo il definitivo – e sprezzante – manifesto horror di questo decennio.
Ancora più immerso in questi magmatici scenari è il nuovo cimento da studio a titolo In Bocca Al Lupo, quasi un eufemismo se pensiamo alle sinistre atmosfere evocate dal solo John. Nel particolare si tratta di una composizione di 60 minuti concepita per un’ orrorifica installazione in quel di Chicago. Per giungere alla definizione di questo tema, Xela ha spesso visitato le antiche basiliche e cattedrali italiane e spagnole, per scorgerne nell’architettura ulteriori elementi di ispirazione.
E’ evidente come questo album sia ulteriore sforzo nella definizione di un genere proprio, atipico, dove in completa assenza del ritmo, si spolvera tutta l’inventiva del mezzo analogico, delle sue remote possibilità e della potenza descrittiva della musica in sé. Un suono che sicuramente non può prescindere dagli oscuri scenari in cui è concepito, un cinema per le orecchie, un’acquatica sala degli orrori. Rievocando in parte la morte statica del David Lynch di Eraserhead come le pieghe più rarefatte dei nuovi terroristi sonici – leggete alla voce Wolf Eyes, Hair Police e Yellow Swans – Xela ci consegna con In Bocca Al Lupo il definitivo – e sprezzante – manifesto horror di questo decennio.
Viva In The Red!
E’ stato un anno intenso per In The Red, in assoluto uno dei più memorabili, la testimonianza definitiva di un marchio che ha saputo imporre nuovi dettami nelle basse sfere della scena underground internazionale. Facciamo ordine. C’è una sorta di figliol prodigo che torna alla base con un atipico jukebox: Jon Spencer, ovviamente accompagnato dalla fida Blues Explosion. Di contro un altro enfant prodige dal carattere piuttosto riottoso che di nome fa Jay Reatard, ora destinato a scalare le classifiche indipendenti forte di un accordo con Matador. Ma ve lo diciamo noi, il doppio antologico pubblicato da In The Red è la sua cosa più graffiante: come i Wire e gli Stranglers a braccetto in direzione Back From The Grave e Pebbles. Poi altre ragazze riottose. Tre per l’esattezza, si chiamano Vivian Girls e sono già un fenomeno mediatico. Tra shoegaze ed attitudine lo-fi, il più fresco e roboante pop che avete ascoltato in stagione.
E ancora, l’uomo che dalla Motorcity – Detroit – ha fatto sì che soul e garage rock convergessero in un’unica direzione: Mick Collins. L’ennesima sortita con una rinnovata versione dei Dirtbombs in We Have You Surrounded è roba destinata a cultori e profani. Del resto è stato proprio il frontman di colore a suggerire due fondamentali ad un personaggio come Jack White Stripes.
Le sorprese non finiscono qui, tanto che l’etichetta ci riserva una coppia di uscite proprio sul filo di lama, anche per mettere in difficoltà i rigorosi osservatori dell’underground occidentale. I Mystery Girls sono il lato più gentile della faccenda, hanno iniziato nella natia Green Bay, Wisconsin, poco più che teenagers. Il loro terzo album – Incontinopia – è stato registrato un paio di anni fa e come i vini di buona qualità è rimasto in cantina, a macerare. Ed il suono vintage della band non ha fatto altro che risentirne, benevolmente. Dosi massicce di garage-punk ed r&b, con un tocco di psichedelia, a rendere ancor più fascinose le loro evoluzioni. Spicca in particolare la voce di Casey Grajek, roca e genuinamente blues. Le chitarre di Jordan Davis e Mount Mathieu D'Congo' duellano come nella miglior tradizione di MC5 e Yardbirds. Elementi che fanno di Incontinopia un classico a tutti gli effetti.
Per cinque ragazzi dalle facce pulite abbiamo un corrispettivo più selvaggio, provenienza Inghilterra. Si chiamano Black Time, sono londinesi e da anni sono il terrore dei benpensanti. Almeno coloro che amano crogiolarsi tra sonorità morbide e gentili. Sono una macchina dal vivo, rodatissima, forti di numerosi tour in giro per gli States ed il vecchio continente. Terrore e sgomento. Se volete vederla in questi termini. Eppure questo barbaro garage affogato nel vetriolo farà la gioia di tutti gli oltranzisti. Double Negative è la nuova fatica del trio composto da Lemmy Caution, Janie Too Bad, e Mr. Stix. Se siete abituati al clima teso ed orrorifico delle raccolte Back From The Grave od ai temibili jukebox allestiti dai Cramps, troverete pane per i vostri denti. Il loro immaginario si rifà opportunamente a ricordi fumettistici e cinematografici che odorano di serie b. Una band rock adorata da Ed Wood, nel gioco delle ipotesi. Sono forse l’ultima frontiera del rock’n’roll più animale. E l’apprezzamento dei media specializzati non manca: ‘brani suonati e registrati con una finezza tecnica che fa assomigliare Billy Childish a David Gilmour’ (All Music Guide). Amen.
Le sorprese non finiscono qui, tanto che l’etichetta ci riserva una coppia di uscite proprio sul filo di lama, anche per mettere in difficoltà i rigorosi osservatori dell’underground occidentale. I Mystery Girls sono il lato più gentile della faccenda, hanno iniziato nella natia Green Bay, Wisconsin, poco più che teenagers. Il loro terzo album – Incontinopia – è stato registrato un paio di anni fa e come i vini di buona qualità è rimasto in cantina, a macerare. Ed il suono vintage della band non ha fatto altro che risentirne, benevolmente. Dosi massicce di garage-punk ed r&b, con un tocco di psichedelia, a rendere ancor più fascinose le loro evoluzioni. Spicca in particolare la voce di Casey Grajek, roca e genuinamente blues. Le chitarre di Jordan Davis e Mount Mathieu D'Congo' duellano come nella miglior tradizione di MC5 e Yardbirds. Elementi che fanno di Incontinopia un classico a tutti gli effetti.
Per cinque ragazzi dalle facce pulite abbiamo un corrispettivo più selvaggio, provenienza Inghilterra. Si chiamano Black Time, sono londinesi e da anni sono il terrore dei benpensanti. Almeno coloro che amano crogiolarsi tra sonorità morbide e gentili. Sono una macchina dal vivo, rodatissima, forti di numerosi tour in giro per gli States ed il vecchio continente. Terrore e sgomento. Se volete vederla in questi termini. Eppure questo barbaro garage affogato nel vetriolo farà la gioia di tutti gli oltranzisti. Double Negative è la nuova fatica del trio composto da Lemmy Caution, Janie Too Bad, e Mr. Stix. Se siete abituati al clima teso ed orrorifico delle raccolte Back From The Grave od ai temibili jukebox allestiti dai Cramps, troverete pane per i vostri denti. Il loro immaginario si rifà opportunamente a ricordi fumettistici e cinematografici che odorano di serie b. Una band rock adorata da Ed Wood, nel gioco delle ipotesi. Sono forse l’ultima frontiera del rock’n’roll più animale. E l’apprezzamento dei media specializzati non manca: ‘brani suonati e registrati con una finezza tecnica che fa assomigliare Billy Childish a David Gilmour’ (All Music Guide). Amen.
27/11/08
ANATHALLO - Canopy Glow (Anticon Records)
A volte i miracoli hanno la forma di canzoni celestiali. E sappiamo come nella storia della musica popolare sono spesso le melodie ad iscrivere un’artista direttamente nel mito. Matt Joynt ed Erica Froman arrivano da Chicago, Illinois e sono il nucleo di Anathallo, band che sancisce in maniera inequivocabile il binomio Anticon = contemporary indie music. Sapori sixties e neo-psichedelia si insinuano nelle maglie del brano d’apertura Noni's Field ipotizzando un duetto a distanza tra lo spirito santo Brian Wilson ed il figlio Panda Bear. Aldilà dei paragoni altisonanti il secondo album di Anathallo è un caleidoscopio indie, che ci lascia ancora ben sperare sulle sorti della più viscerale ed artistoide pop music. Un inno alla vita, consideratelo come tale.
Sono sinfonie tascabili quelle ideate dai due, armonie preziose che si insinuano su deliziosi corpi percussivi. La veste di polistrumentisti consente alla coppia di cambiare spesso ruolo, approcciando con confidenza elementi acustici e digitali utilizzando sì moderne tecnologie, ma con un innato gusto vintage. Ecco perché queste melodie vi faranno pensare ad un qualche residuato bellico pop psichedelico, magari ibernato e riportato a noi attraverso un tunnel dei desideri.
Canopy Glow è così un disco poetico e profetico, illuminato dai raggi di un ottimismo cosmico. La rinascita artistica di Anticon passa direttamente da Anathallo, tappa decisiva verso riconoscimenti globali.
Sono sinfonie tascabili quelle ideate dai due, armonie preziose che si insinuano su deliziosi corpi percussivi. La veste di polistrumentisti consente alla coppia di cambiare spesso ruolo, approcciando con confidenza elementi acustici e digitali utilizzando sì moderne tecnologie, ma con un innato gusto vintage. Ecco perché queste melodie vi faranno pensare ad un qualche residuato bellico pop psichedelico, magari ibernato e riportato a noi attraverso un tunnel dei desideri.
Canopy Glow è così un disco poetico e profetico, illuminato dai raggi di un ottimismo cosmico. La rinascita artistica di Anticon passa direttamente da Anathallo, tappa decisiva verso riconoscimenti globali.
http://www.myspace.com/anathallo
26/11/08
Tenebrous Liar
E’ l’esatto momento in cui ci si avvicina al collasso, quando le corde della chitarra grondano sangue, quando il rock diviene esercizio trasfigurato, lavoro sporco per mendicanti dell’anima, tenebrosi e loschi figuri che vanno a scandagliare nella più tetra coscienza. Il leader dei Tenebrous Liar Steve Gullick non riesce certo a nascondere il senso di pericolo celato tra le note della musica della sua band, del resto da una persona così abile nel riprodurre immagini (Steve è stimato fotografo, richiesto anche dai gruppi indie più à la page) non potevamo che attenderci figure spettrali, grottesche. Un senso di dramma e di combattimento interiore contraddistingue l’opera della band inglese, che sotto la protezione artistica della Tenor Vossa (il marchio di proprietà dei Breathless) lancia il suo disturbato segnale in feedback al mondo intero. Steve Gullick ha lavorato per buona metà degli anni ‘90 al servizio del Melody Maker, forte della sua professionalità ha avuto modo di incrociare alcune delle più influenti realtà d’oltreoceano. Condizione che umanamente ed artisticamente ha finito con l’influenzare il nostro, al momento del battesimo di fuoco coi suoi Tenebrous Liar. Il gruppo che viene alla luce nel 2004, location East London, in un loft che prima era un autentico deposito di riviste e pubblicazioni indipendenti (Steve con gli amici di sempre non ha mai abbandonato la sua passione per la fotografia e la comunicazione, dando vita ad ulteriori magazine e progetti grafici). Ad assisterlo nelle sue prime invettive sonore è James Johnston (leader dei Gallon Drunk e cospiratore nei Bad Seeds), ma presto le collaborazioni di Steve assumeranno toni sempre più profondi e magnetici. Di recente lo ricordiamo protagonista col gruppo aperto Soulsavers, lo stesso che si è servito dei prodigi di Mark Lanegan.
La storia dei Tenebrous Liar si fa ancora più intrigante in tempi recenti: dopo tre album per Fire Records arriva la nuova pubblicazione per Tenor Vossa. "Last Stand" è un cacofonico album di blues rock striato di venature soul. Solenni marce funebre che odorano di accorata disperazione metropolitana. Il taglio è severo, queste chitarre gracchianti graffiano come artigli affilati. C’è tutta un’estetica rock da serie B, corpi mutanti nell’oltretomba sonoro. Se vi diciamo che i nostri hanno aperto le recenti date inglese di Nick Cave e Bad Seeds non farete davvero fatica ad immaginare questa combustione artistica. I Tenebrous Liar sono il risveglio della più malsana filosofia rock, un alveare di tendenze spiritate, luogo per celebrare la caduta degli ultimi dei noti.
“If Leonard Cohen brings a smile to your face and you are partial to a bit of low-fi then Tenebrous Liar is the band for you” THE SUN
“Imagine Lift To Experience stuck in the eternal damnation their songs tried to escape from, but with a result more ashcan reality than spiritually vivid” DROWNED IN SOUND
"Tenebrous Liar purvey a dark, doomed and deliciously damaged style of cosmic/ambient rock melancholy, which is nevertheless hugely uplifting" TIMEOUT
“Ultimately, this debut occupies a murky place in a collective musical psyche that may make your stereo frown. It1s not pretty, it1s largely devoid of hope and direction, yet crucially - it still has the power to uplift. It1s really good” MOJO
La storia dei Tenebrous Liar si fa ancora più intrigante in tempi recenti: dopo tre album per Fire Records arriva la nuova pubblicazione per Tenor Vossa. "Last Stand" è un cacofonico album di blues rock striato di venature soul. Solenni marce funebre che odorano di accorata disperazione metropolitana. Il taglio è severo, queste chitarre gracchianti graffiano come artigli affilati. C’è tutta un’estetica rock da serie B, corpi mutanti nell’oltretomba sonoro. Se vi diciamo che i nostri hanno aperto le recenti date inglese di Nick Cave e Bad Seeds non farete davvero fatica ad immaginare questa combustione artistica. I Tenebrous Liar sono il risveglio della più malsana filosofia rock, un alveare di tendenze spiritate, luogo per celebrare la caduta degli ultimi dei noti.
“If Leonard Cohen brings a smile to your face and you are partial to a bit of low-fi then Tenebrous Liar is the band for you” THE SUN
“Imagine Lift To Experience stuck in the eternal damnation their songs tried to escape from, but with a result more ashcan reality than spiritually vivid” DROWNED IN SOUND
"Tenebrous Liar purvey a dark, doomed and deliciously damaged style of cosmic/ambient rock melancholy, which is nevertheless hugely uplifting" TIMEOUT
“Ultimately, this debut occupies a murky place in a collective musical psyche that may make your stereo frown. It1s not pretty, it1s largely devoid of hope and direction, yet crucially - it still has the power to uplift. It1s really good” MOJO
Lord OF £ 39
Aldilà dei sinistri volti incappucciati e della cultura chimica (avete presente le storie di Irvine Welsh?) che da sempre ne ha contraddistinto le abitudini, la scena rave è in realtà riuscita ad imporsi sulla distanza, mutando necessariamente corpo e andando ad informare una cultura musicale relativamente giovane come quella del dubstep. Neil Landstrumm - che proprio incappucciato adora farsi ritrarre – opera in questo ambito di confine sin dal 1994; nonostante il suo nome d’arte parli nordeuropeo, il nostro si colloca tra le figure più rappresentative della scena dance underground britannica. Tanto da aver inciso per alcune delle etichette simbolo dell’area, come Peacefrog e – attualmente – Planet Mu. Per nulla trascurabile anche la sua sortita per la tedesca Tresor, capace di proiettare musica trance ed acid house verso nuovi lidi. Dopo il debutto per l’etichetta di Mike Paradinas con Restaurant of Assassins, per Neil è stato logico abbracciare un nuovo verbo ritmico, che oltre alle primordiali influenze techno prevedesse elementi di dub, breakbeat e Miami bass. Tutto questo per definire un nuovo corpo e fare definitivamente breccia nei cuori dei più spregiudicati ascoltatori di alternative dance, fermo restando il supporto incondizionato di BBC, con i suoi programmi di genere, Kiss FM e Radio 1 (lo show definitivo di Mary Anne Hobbs).
Con Lord for £ 39 Neil amplia se possibile il suo raggio d’azione, puntando in maniera prepotente anche sull’elemento vocale, chiamando a sé, mc e vocalist di rinomata fama. Carlton Killawatt, Ebola e Si Begg sono i nomi su cui si punta, per offrire un flavour più prossimo all’hip-hop stradaiolo. Ora la collisione di stili è totale, Lord For £ 39 è la summa dell’elettronica più borderline: dall’abstract funk al two step, dal grime al garage, un distillato di tutto quello che è comunemente detto urban. Mescolando le più precise tecniche digitali con il culto per le apparecchiature vintage, il nuovo cimento di Neil Landstrumm rilancia prepotentemente le quotazioni del nostro, per destinazione erede di figure cardinali come Aphex Twin e Squarepusher.
Con Lord for £ 39 Neil amplia se possibile il suo raggio d’azione, puntando in maniera prepotente anche sull’elemento vocale, chiamando a sé, mc e vocalist di rinomata fama. Carlton Killawatt, Ebola e Si Begg sono i nomi su cui si punta, per offrire un flavour più prossimo all’hip-hop stradaiolo. Ora la collisione di stili è totale, Lord For £ 39 è la summa dell’elettronica più borderline: dall’abstract funk al two step, dal grime al garage, un distillato di tutto quello che è comunemente detto urban. Mescolando le più precise tecniche digitali con il culto per le apparecchiature vintage, il nuovo cimento di Neil Landstrumm rilancia prepotentemente le quotazioni del nostro, per destinazione erede di figure cardinali come Aphex Twin e Squarepusher.
La tracklist:
01 TRANSMISSION (WITH SI BEGG)
02 EASTER KRUNK POWER
03 SHIT DADDY BASS (WITH CARLTON KILLAWATT)
04 OLD RABBITS
05 LITTLE HELP FROM RUSTIE (WITH TOBIAS SCHMIDT [S.E.S.])
06 DIRTY BUTCHER
07 THE KING OF MALTA
08 £ 20 TO GET HOME (WITH SI BEGG)
09 CATEGORY D
10 THE DOSE (WITH EBOLA)
11 NIKE VOLUME (WITH PROFISEE)
12 WITCHES BUTTER
13 MASK OF MUSK
14 ROSS KEMP AS PIXEL
25/11/08
Jimi Tenor & Kabu Kabu - 4th Dimension
Benvenuti a bordo, la corsa a rotta di collo sulle montagne russe (rollercoaster) – citazione libera da Total Devastation, uno dei suoi singoli più in voga ai tempi della Warp – assieme al più esotico musicista nord-europeo può avere inizio.
Finlandese doc e proprietario della preziosa indipendente Sahko Recordings – che finalmente ne diffonde in esclusiva il verbo – Jimi Tenor non ha davvero paura di bruciarsi. Perché a differenza della glaciale elettronica o del pop algido prodotto in patria e nei paesi adiacenti, lui ha scelto il sole, la brillantezza, un orizzonte luminoso. Una progressione straordinaria: l’invadente presenza nel circuito della club culture patrocinato dal marchio Warp, le delizie per fiati e big band negli album pubblicati con Crippled Dick Hot Wax, l’immersione totale nel calderone della black music dei giorni nostri. E’ una quarta dimensione che più che attivare varchi futuristi, riporta in auge le sonorità e la cultura nera dei tardi 60/primi 70, mostrando però un upgrade notevole nei confronti delle correnti tecnologie.
Si rinnova la collaborazione con il gruppo di musicisti dell’Africa occidentale Kabu Kabu – ora residenti in Germania – in quella che è un immersione nei luoghi del mito. Africa, ma anche America. Perché il legame spirituale è così evidente. Il trepidare dell’afro-beat, ma anche il respiro spaziale e cinematico di grandi compositori quali Sun Ra, Charles Mingus e Lalo Schifrin. Meno concentrato sul suo ormai caratteristico timbro vocale, Jimi si mostra polistrumentista abile e spregiudicato, sfoggia il suo repertorio con armi affascinanti quali il sax tenore, il flauto ed il sintetizzatore. Mystery Spot - che apre l’album – è una baldanzosa festa afrobeat, come si conviene ai migliori Fela Kuti e Tony Allen. Lo stesso dicasi per Grind e Me, I Say Yes. Spiccano però gli arrangiamenti fiatistici e l’approccio poliritmico che se possibile spostano ancora di più il tiro verso le volte celestiali dell’Arkestra e del suo vate Sun Ra. Altrove anche un vento jazz-rock e qualche ‘sinistro’ arrangiamento progressivo indicano la strada al nuovo Jimi, addirittura in rotta di collisione coi Goblin del benemerito Simonetti. Anche la forte propensione tribale parla una lingua universale, riportando alla luce – nei modi – l’impeto di alcune tribù africane, spesso immortalate in leggendari field recordings (pensiamo alle serie tematiche di Nonesuch, Folkways ed Ocora).
Ancient to the future, il motto è dell’Art Ensemble Of Chicago, d’accordo, ma Jimi Tenor sembra farne proprio una ragione di vita, col nuovo – superlativo – 4th Dimension.
Finlandese doc e proprietario della preziosa indipendente Sahko Recordings – che finalmente ne diffonde in esclusiva il verbo – Jimi Tenor non ha davvero paura di bruciarsi. Perché a differenza della glaciale elettronica o del pop algido prodotto in patria e nei paesi adiacenti, lui ha scelto il sole, la brillantezza, un orizzonte luminoso. Una progressione straordinaria: l’invadente presenza nel circuito della club culture patrocinato dal marchio Warp, le delizie per fiati e big band negli album pubblicati con Crippled Dick Hot Wax, l’immersione totale nel calderone della black music dei giorni nostri. E’ una quarta dimensione che più che attivare varchi futuristi, riporta in auge le sonorità e la cultura nera dei tardi 60/primi 70, mostrando però un upgrade notevole nei confronti delle correnti tecnologie.
Si rinnova la collaborazione con il gruppo di musicisti dell’Africa occidentale Kabu Kabu – ora residenti in Germania – in quella che è un immersione nei luoghi del mito. Africa, ma anche America. Perché il legame spirituale è così evidente. Il trepidare dell’afro-beat, ma anche il respiro spaziale e cinematico di grandi compositori quali Sun Ra, Charles Mingus e Lalo Schifrin. Meno concentrato sul suo ormai caratteristico timbro vocale, Jimi si mostra polistrumentista abile e spregiudicato, sfoggia il suo repertorio con armi affascinanti quali il sax tenore, il flauto ed il sintetizzatore. Mystery Spot - che apre l’album – è una baldanzosa festa afrobeat, come si conviene ai migliori Fela Kuti e Tony Allen. Lo stesso dicasi per Grind e Me, I Say Yes. Spiccano però gli arrangiamenti fiatistici e l’approccio poliritmico che se possibile spostano ancora di più il tiro verso le volte celestiali dell’Arkestra e del suo vate Sun Ra. Altrove anche un vento jazz-rock e qualche ‘sinistro’ arrangiamento progressivo indicano la strada al nuovo Jimi, addirittura in rotta di collisione coi Goblin del benemerito Simonetti. Anche la forte propensione tribale parla una lingua universale, riportando alla luce – nei modi – l’impeto di alcune tribù africane, spesso immortalate in leggendari field recordings (pensiamo alle serie tematiche di Nonesuch, Folkways ed Ocora).
Ancient to the future, il motto è dell’Art Ensemble Of Chicago, d’accordo, ma Jimi Tenor sembra farne proprio una ragione di vita, col nuovo – superlativo – 4th Dimension.
Asobi Seksu
Uscirà il 16 di febbraio il nuovo album dei newyorkesi Asobi Seksu, titolato "Hush". Il duo composto da James Hanna (chitarra/voce) e dall'affascinante Yuki Chikudate (voce solista e tastiere) si è fatto portavoce del suono shoegaze oltreoceano, raccogliendo peraltro ottimi riscontri e stringendo una solida alleanza con una delle migliori indipendenti inglesi: la One Little Indian.
Ad un primo ascolto possiamo notare come il pop lisergico della coppia abbia subìto una certa accelerazione, risultando per certi versi più nerboruto e violento. Più prepotente anche l'uso della componente elettronica, nella fattispecie dei sintetizzatori analogici che rendono così vintage la loro musica. "Hush", che è il terzo album del gruppo, vive anche su una visione chimica, tanto che le atmosfere evocate da "Blind Little Rain" ci portano idealmente nel campo tanto congeniale al primo Brian Eno solista. Proprio quei giochi tra silenzio ed effettistica ante-litteram onorano il percorso emotivo ed estetico dell'ex Roxy Music.
Ragazzi prodigio stando alle loro stesse ammissioni (Yuki si esibiva in importanti manifestazioni teatrali già alla tenera età di 8 anni, mentre Hanna nella sua adolescenza si divideva tra il culto per certo hardcore e l'innata passione per i Mogwai), i nostri incrociarono le loro strade una volta giunti alla Manhattan School of Music. Solo in quel momento le loro prospettive furono chiare.
"E' stato positivo essere impegnati musicalmente tutto il giorno, tanto che molte delle band in cui ho militato in passato erano propense a provare unicamente di sabato" spiega Hanna, chitarrista con insegnamenti classici alle spalle "Suonare la musica di altri mi ha fatto sentire come un robot per un certo periodo a ben pensarci."
"Sono riuscita a raggiungere il diploma quasi per miracolo," aggiunge Yuki. "Mi piace suonare il piano, ma le tre ore di training giornaliero mi hanno mandato letteralmente in crisi."
Chiusa la parentesi scolastica, Hanna inizia a lavorare a sofisticati brani dream pop, appellandosi a Yuki per il ruolo di front-woman. Il problema semmai era quello di allestire una band vera e propria, capace di imbarcarsi in tour e sostenere tutte le attività promozionali del caso. Dopo una serie di tentativi ed una coppia di album recepiti con entusiasmo dalla critica, sul finire del 2006 Asobi Seksu diviene un duo a tutti gli effetti.
"Il nuovo disco è stato lavorato mentre ci sentivamo fisicamente distrutti" così spiega Hanna. Circostanza insolita, se pensiamo che tutto l'album è circondato da un effetto fenice, una vibrazione positiva che indica anche un nuovo corso; tanto che in brani come "Me and Mary", "Sing Tomorrow's Praise" e "Glacially" potrete ascoltare un fuoco chitarristico ad oggi assolutamente inedito per Asobi Seksu. Ed è evidente anche la distanza presa dal revival shoegaze, nonostante le affinità pubblicamente ammesse nel recente passato. Hanna e Yuki sono così ossessionati dall'idea del suono da esplorare che certo non intendono abbandonarsi ad un'idea esclusiva. Il segreto è nelle dinamiche e nell'utilizzo dello spazio. E' cresciuta l'abilità in veste di arrangiatori, i nostri possono districarsi tra un muro del suono come abbandonarsi a gentili atmosfere, scrollandosi di dosso definitivamente il fantasma di Kevin Shields.
Ad un primo ascolto possiamo notare come il pop lisergico della coppia abbia subìto una certa accelerazione, risultando per certi versi più nerboruto e violento. Più prepotente anche l'uso della componente elettronica, nella fattispecie dei sintetizzatori analogici che rendono così vintage la loro musica. "Hush", che è il terzo album del gruppo, vive anche su una visione chimica, tanto che le atmosfere evocate da "Blind Little Rain" ci portano idealmente nel campo tanto congeniale al primo Brian Eno solista. Proprio quei giochi tra silenzio ed effettistica ante-litteram onorano il percorso emotivo ed estetico dell'ex Roxy Music.
Ragazzi prodigio stando alle loro stesse ammissioni (Yuki si esibiva in importanti manifestazioni teatrali già alla tenera età di 8 anni, mentre Hanna nella sua adolescenza si divideva tra il culto per certo hardcore e l'innata passione per i Mogwai), i nostri incrociarono le loro strade una volta giunti alla Manhattan School of Music. Solo in quel momento le loro prospettive furono chiare.
"E' stato positivo essere impegnati musicalmente tutto il giorno, tanto che molte delle band in cui ho militato in passato erano propense a provare unicamente di sabato" spiega Hanna, chitarrista con insegnamenti classici alle spalle "Suonare la musica di altri mi ha fatto sentire come un robot per un certo periodo a ben pensarci."
"Sono riuscita a raggiungere il diploma quasi per miracolo," aggiunge Yuki. "Mi piace suonare il piano, ma le tre ore di training giornaliero mi hanno mandato letteralmente in crisi."
Chiusa la parentesi scolastica, Hanna inizia a lavorare a sofisticati brani dream pop, appellandosi a Yuki per il ruolo di front-woman. Il problema semmai era quello di allestire una band vera e propria, capace di imbarcarsi in tour e sostenere tutte le attività promozionali del caso. Dopo una serie di tentativi ed una coppia di album recepiti con entusiasmo dalla critica, sul finire del 2006 Asobi Seksu diviene un duo a tutti gli effetti.
"Il nuovo disco è stato lavorato mentre ci sentivamo fisicamente distrutti" così spiega Hanna. Circostanza insolita, se pensiamo che tutto l'album è circondato da un effetto fenice, una vibrazione positiva che indica anche un nuovo corso; tanto che in brani come "Me and Mary", "Sing Tomorrow's Praise" e "Glacially" potrete ascoltare un fuoco chitarristico ad oggi assolutamente inedito per Asobi Seksu. Ed è evidente anche la distanza presa dal revival shoegaze, nonostante le affinità pubblicamente ammesse nel recente passato. Hanna e Yuki sono così ossessionati dall'idea del suono da esplorare che certo non intendono abbandonarsi ad un'idea esclusiva. Il segreto è nelle dinamiche e nell'utilizzo dello spazio. E' cresciuta l'abilità in veste di arrangiatori, i nostri possono districarsi tra un muro del suono come abbandonarsi a gentili atmosfere, scrollandosi di dosso definitivamente il fantasma di Kevin Shields.
21/11/08
Just Aint Gonna Work Out - The Weekend Tune
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Hart Gore - Mean Mans' Dream
Per chi vi ha assistito alle loro performance dal vivo sono un ricordo indelebile, nonostante negli ultimi 15 anni le produzioni discografiche in ambito estremo non siano certo mancate. I tre olandesi raccolti sotto il tenebroso cappello di Gore, sono stati a loro modo antesignani di un nuovo modo di intendere la musica chitarristica. Hanno spostato in avanti le lancette dell’evoluzione post-hardcore e metal, intessendo fittissime trame sonore. Tutto ciò accadeva nella prima metà degli anni ’90, quando il termine rock matematico era solo un'ipotesi nelle menti delle più avvedute firme della critica internazionale. Hanno folgorato la stessa Rollins Band ed infuriavano proprio nel periodo in cui No Means No e The Ex rappresentavano l’avanguardia nei circuiti di stretta osservanza hardcore/punk. Southern Lord paga pegno a questa fondamentale compagine, che avendo brutalizzato gli schemi della musica strumentale, si è guadagnata un ruolo da protagonista nella più spietata storia del rock indipendente. Monolitici e spesso avvezzi alla ripetizione armonica, i Gore hanno tracciato un sentiero di fondamentale importanza, accorciando le distanze tra la musica cosiddetta colta ed il più fangoso rock underground. Pionieri animati anche da una sana ironia, laddove anche le truculenti immagini che accompagnavano le loro copertine erano frutto di una passione smodata per l’art brut. Spiazzanti anche quando inserivano i testi dei loro brani nella busta del vinile, pur avendo mai utilizzato lo ‘strumento’ voce. Riesumati i nastri originali, i primi due album dei Gore hanno subito un importante processo di restauro. Il doppio cd che immortala la loro prima fase creativa contiene la bellezza di 43 tracce, in ragione del fatto che agli album originali sono state aggiunte significative composizioni inedite. Tornare su questi fragorosi luoghi per i pochi die-hard fans sarà un piacere sublime, per i nuovi adepti l’occasione di incrociare un satirico mostro a tre teste. Considerato lo status symbol raggiunto da nomi quali Don Caballero o Pelican, rimarrete sbigottiti di fronte alla lucida follia con cui i tre olandesi hanno confezionato la loro opera. Da qui all’eternità?
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20/11/08
The Fireman in esclusiva su Myspace
Da oggi e per pochi giorni su MYSPACE sarà possibile ascoltare interamente il nuovo album dei FIREMAN di Paul McCartney e Youth, in uscita domani venerdì 21 Novembre in Italia.
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The Fireman
David Byrne & Brian Eno - Strange Overtones
“In definitiva, Everything That Happens Will Happen Today mostra come la musica possa guarire persino quando non riesce a curare. Quello che pare importante è la speranza collettiva in un qualche evento, incanalata in forma di canzone da una coppia di antichi visionari la cui musica pare tuttora destinata a ispirare giovani gruppi. E noi”- ROLLING STONE
“Questo è un disco di canzoni pop, scritte da Eno e cantate (benissimo) da Byrne. A prima vista è tutto semplice, quasi banale: citazioni da Paul Simon (Home) e Neil Young (Life Is Long), funk postmoderno (Strange Overtones) e prove di pop perfetto sparse un po’ ovunque” - XL
“La qualità della scrittura è quella del miglior Eno autore di canzonette: la title track, con quel placido emergere dall’ambiente sonoro, non sfigurerebbe su Before and After Science. Home cita a tratti il canzoniere di Simon & Garfunkel, il singolo Strange Overtones distribuito gratuitamente in rete da qualche mese gioca con il groove e con i trucchi della produzione dance, regalando un elsatico ed elegante funk postmoderno” – IL MUCCHIO
“Viene fuori un suono ricco di suggestioni dove convivono chitarre acustiche ed e-bow, note sparse di pianoforte e fredde programmazioni, hurdy gurdy e batteria elettronica, ottoni e tastiere. Un suono tutto sommato defilato, cheè questo è un disco più di Byrne che di Eno. E’ pop, ma senza la grana grossolana della roba da classifica” - JAM
“Questo è un disco di canzoni pop, scritte da Eno e cantate (benissimo) da Byrne. A prima vista è tutto semplice, quasi banale: citazioni da Paul Simon (Home) e Neil Young (Life Is Long), funk postmoderno (Strange Overtones) e prove di pop perfetto sparse un po’ ovunque” - XL
“La qualità della scrittura è quella del miglior Eno autore di canzonette: la title track, con quel placido emergere dall’ambiente sonoro, non sfigurerebbe su Before and After Science. Home cita a tratti il canzoniere di Simon & Garfunkel, il singolo Strange Overtones distribuito gratuitamente in rete da qualche mese gioca con il groove e con i trucchi della produzione dance, regalando un elsatico ed elegante funk postmoderno” – IL MUCCHIO
“Viene fuori un suono ricco di suggestioni dove convivono chitarre acustiche ed e-bow, note sparse di pianoforte e fredde programmazioni, hurdy gurdy e batteria elettronica, ottoni e tastiere. Un suono tutto sommato defilato, cheè questo è un disco più di Byrne che di Eno. E’ pop, ma senza la grana grossolana della roba da classifica” - JAM
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