‘Quarter Turns Over A Living Line’ è l’atteso di debutto
della coppia di produttori inglesi Raime. E’ il seguito all’omonimo ep d’esordio
del 2010, seguito a ruota dagli altrettanto fortunati singoli'If Anywhere Was Here We Would Know Where We
Are' ed 'Hennail'. Allontanandosi progressivamente dall’arte del campionamento
delle prime fatiche, Joe Andrews e Tom Halstead hanno preso maggiore confidenza
con la strumentazione live, per quella che è la loro prima prova sulla lunga distanza.
Integrando ore ed ore di incisioni, grazie ad un chirurgico lavoro di editing,
i nostri si fanno guidare da tappeti percussivi, chitarre apparentemente
irriconoscibili e sezioni d’archi puntualmente camuffate., assemblando in
maniera del tutto casalinga un album coi fiocchi.
Rimangono in primo piano gli elementi gotici ed
industriali che da sempre hanno caratterizzato la loro arte. Ma strategie più
subdole ed oblique si insinuano nella loro scrittura, lasciando spazio a
memorie jungle (in alcune dinamiche ritmiche), cedendo anche alla fascinazione
per certo drone-metal, dub e classica contemporanea. ‘Quarter Turns Over A
Living Line’ è la prima pubblicazione estesa ufficiale dedicata ad un gruppo
contemporaneo della Blackest Ever Black, la giovane indipendente londinese di
proprietà del duo, che ha già realizzato mix di Tropic Of Cancer, Regis, Black
Rain, Pete Swanson, Cut Hands oltre alla necessaria ristampa di Flaming Tunes
(la band post-This Heat Gareth Williams).
Industrial Records è orgogliosa
di presentare il doppio DESERTSHORE / THE FINAL REPORT, progetto da lungo tempo
in cantiere ed ultima collaborazione fattiva tra gli ex membri dei Throbbing
Gristle Chris Carter, Peter 'Sleazy' Christopherson e Cosey Fanni Tutti. Due
progetti concepiti separatamente, a conferma della statura di questi
inarrivabili innovatori nel circuito avant/post-punk britannico. ‘Desertshore’ è
un tributo personalissimo al seminale album concepito da Nico nel 1970.
Un’iniziativa cui il compianto Coil Peter Christopherson inizia a lavorare a Berlino
nel 2006. Nel 2010 nella sua nuova dimora di Bangkok, dopo aver riveduto alcuni
arrangiamenti, si prepara a registrare i contributi vocali di numerosi ospiti.
Chris & Cosey nell’attesa del suo ritorno in patria, nel dicembre dello stesso
anno, preparano altro materiale. Sleazy purtroppo non tornerà più nella natia
Albione, perderà la vita in circostanze ancora misteriose nel sonno, la notte
del 25 Novembre a Bangkok.
Ma una promessa era stata fatta allo sfortunato
compagno: quella di completare l’album.Con l’entusiasmo di numerosi collaboratori vicini e lontani, il disco
vede oggi la luce: un vero e proprio tripudio artistico. Antony, Marc Almond,
Blixa Bargeld, l’ex-pornostar Sasha Grey e Gaspar Noé sono i nomi associati al
progetto. La pietra miliare prodotta da John Cale è così rivisitata in maniera inedita
dai padrini della rivoluzione industriale, tra intersezioni elettroniche e segnali
in codice, seguendo la logica delle esibizioni live dei riformati Throbbing
Gristle (prima che i rapporti con Genesis P-Orridge si incrinassero
definitivamente) e le ultime prove da studio degli stessi Coil (quel fenomenale
capitolo conclusivo a titolo ‘Ape Of Naples’).
‘The Final Report’ è invece
un’appendice alla travagliata storia dei TG, un’ultima seduta per i 3 che hanno
continuato a coltivare un’amicizia autentica negli ultimi 36 anni. I loro
lavori pionieristici hanno per sempre cambiato il volto dell’underground
britannico, quest’ultimo contributo un compendio alle loro più recenti
collaborazioni. Un lavoro di editing magistrale ha portato allo smaltimento di
ore ed ore di registrazioni. Chris Carter, Peter 'Sleazy' Christopherson e
Cosey Fanni Tutti avevano ritrovato un via ispirata, proprio alla vigilia del
tragico evento. Completato nello studio personale di Chris & Cosy nel Norfolk,
l ‘album contiene materiali registrati a cavallo tra il 2009 ed il 2010. Una
vena sperimentale irradia le incisioni, liberando lo spirito di questi
fantastici alchimisti.
Di seguito la scaletta completa dei
due dischi:
Desertshore: 1/Janitor Of Lunacy 6:47 - Vocals by Antony
Hegarty 2/Abschied 4:32 - Vocals by Blixa Bargeld 3/ Afraid 4:38 - Vocals
by Sasha Grey 4/The Falconer 6:04 - Vocals by Marc Almond 5/ All That Is My Own
4:58 - Vocals by Cosey Fanni Tutti 6/ Mutterlein 5:17 - Vocals by Blixa Bargeld
7/ Le Petit Chevalier 4:24 - Vocals by Gaspar Noé 8/ My Only Child 5:15 -
Vocals by Cosey Fanni Tutti 9/ Desertshores 4:54
The Final Report: 1/ Stasis 6:38 2/ E.H.S. 4:00 3/
Breach 5:03 4/ Um Dum Dom 2:03 5/ Trope 6:12 6/ What He Said 6:27 7/ In Accord
5:57 8 /Gordian Knot 3:47 9/ Emerge To Space Jazz 6:03 10/ The End 1:42
I tre album registrati da Gil Scott-Heron per la Flying Dutchman di
Bob Thiele , sono tra i documenti più importanti di tutta la storia della black
music. Tutta la maturità di un talentuoso artista, alle prime incisioni
ufficiali. Il manifesto ‘The Revolution Will Not Be Televised’ rimane oggi come
spot di tutta la controcultura americana, più che un monito l’accertamento di
quanto l’avanzamento mediatico non sia mai andato di pari passo con i
sommovimenti delle masse. Per la prima volta queste incisioni ricevono il
giusto trattamento in digitale, dopo numerose ristampe dal taglio non
propriamente elegante. ‘The Revolution Begins’ è così il compendio ideale alla
prima parte di carriera del poeta afro-americano. Attingendo ai nastri originali
BGP ha ripulito quei master, riportando alla luce un suono nitido, caldo ed
impeccabile. L’altra buona notizia riguarda il terzo album della collana,‘Free Will’, oggi riproposto con una scaletta
diversa.
Emerso negli anni ‘70 con il romanzo ‘The Vulture’
e la piccola raccolta di poesie ’Small Talk at 125th and Lenox’, Gil
Scott-Heron viene successivamente introdotto al produttore Bob Thiele dalla sua
casa editrice. Riportando il titolo della raccolta sopracitata, il primo lavoro
del nostro è essenzialmente uno spoken-word, colorato dalla spartana presenza
di 3 percussionisti.
Il successivo ‘Pieces Of A Man’ è già un album
stellare, che proietta l’autore nell’olimpo dei grandi della musica nera. Si
inaugura la collaborazione con il musicista Brian Jackson, studente alla
Lincoln University ed uomo chiave nell’evoluzione di un suono che spiccherà
letteralmente il volo, grazie ad arrangiamenti ariosi che riscatteranno lo
spirito rudimentale delle prime sortite. Registrato con i migliori musicisti
sul mercato (dal basso elettrico di Ron Carter alla batteria di Bernard ‘Pretty’
Purdie e passando per il flautista/arrangiatore Hubert Laws) il disco vede
sedersi lo stesso Jackson al piano. Dalla rivisitazione dell’hit ‘The
Revolution Will Not Be Televised’ ad altri classici magistrali come ‘Home Is
Where The Hatred Is’ e la stessa title-trtack - dove i drammi sociali prendono
il sopravvento su liriche immerse nelle logiche quotidiane – il disco è il
preludio alla stessa rivoluzione rap. Il tributo ad un idolo musicale in ‘Lady Day and John Coltrane’ è poi il
certificato di autenticazione di un masterpiece.
‘Free Will’ del 1972 è il terzo disco che
chiudeva l’epocale collaborazione con l’etichetta. Il triplo cd assemblato da
BGP è ovviamente ricco di alternative take, che danno una dimensione ancor più
chiara del certosino lavoro in studio. Un antologia essenziale per celebrare
uno degli autori più influenti della storia contemporanea, il cui ricordo è ancora
scolpito in maniera vivida nella memoria di centinaia di migliaia di
sostenitori.
Di ritorno con un secondo album
denso di nuove tematiche, con ‘Soft Fall’ Sun Airway ci accompagna per mano tra
le pieghe di un ideale universo etereo. Inizia tutto nello studio casalingo di
Jon Barthmus, in quel di Philadelphia. Gli
elementi mutuati dalla musica classica vengono elaborati dal produttore in
maniera autonoma, sezionati e preparati per l’esecuzione ad hoc di un quartetto
d’archi, in un appropriato studio di registrazione. Il lavoro è successivamente
soggetto a post-produzione con l’intervento prezioso di David Wrench (Caribou,
Bat for Lashes, Bear in Heaven), che porta questi rudimentali mix a nuove
vette.
In ‘Soft Fall’ le canzoni pop di
Sun Airway escono dall’intimità di una cameretta per affacciarsi all’interno di
un’ipotetica cattedrale. Pezzi luminescenti e saturi di colore, capaci di
fiorire in piena autonomia all’esterno delle vostre casse. Un’orchestra a
portata di mano, che interagisce con lo spettro pop di Barthmus, amante di
quella sofisticata iconografia che ha fatto grandi le stazioni radiofoniche
americane degli anni ’80. Non sbalorditevi di fronte agli echi di un Electric
Light Orchestra, nemmeno di fronte all’omaggio sentito alla scuderia Factory
attraverso le icone New Order. L’elettronica interagisce con gli archi, creando
tappeti avvincenti, accompagnandoci in una romantica sala da ballo, tra luci
soffuse e beats comunque consistenti. Pochi hanno saputo cogliere gli aspetti
più reconditi della musica dance come Sun Aiway, prima di lui forse i celebrati
M83 ed i nordici Radio Dept.. Un disco che in maniera omogenea affronta il
lascito della new wave, tra onde FM e arrangiamenti spiegati.
In pratica la musica di cui sono
composti i sogni.
Dopo aver abbandonato le eterne
promesse dell’indie pop inglese Concretes, Victoria Bergsman ha intrapreso la
carriera solista scegliendo il nome d’arte Taken By Trees. Dopo aver licenziato
un paio di lavori per la sempre prestigiosa inglese Rough Trade, cambia
abitudini e soprattutto domicilio, accasandosi presso Secretly Canadian. ‘Other Worlds’ è il suo poema
impressionistico, ispirato da un viaggio alle isole Hawaii, luogo in cui ha
tratto linfa vitale per scrivere le canzoni del nuovo album. Lavorando a
stretto contatto con la fotografa Amanda Marsalis,Victoria ha documentato
intimamente il suo soggiorno, registrando letteralmente i suoni in natura,
servendosi anche delle documentazioni filmate di Amanda, dando così vita ad un
progetto intimamente multimediale.
Il pop di Taken By Trees si bagna
all’occorrenza nel dub, facendosi cullare da acquatiche linee di basso che
innalzano la grammatica di questa atipica folk singer. Merito anche del
produttore Henning Fürst che ha lavorato con
grande attenzione ai suoni, cercando di replicare proprio quel clima tropicale dai
cui la Bergsman
è stata letteralmente investita.
Almeno un paio di brani sono
stati portati ad esempio nello studio di registrazione: la traccia strumentale ’Diamond
Head’ dei Beach Boys e ‘AP Spezial’ del re della melodica Augustus Pablo. Composizioni
additate come esempio per via dei loro tratti naturalisti: tra onde marine
distanti, tuoni e cinguettii. Del brano dei Beach Boys, Taken By Trees intende
isolare il suono magnetico della pedal
steel, mentre per quello che riguarda Augustus Pablo è tutta la gamma delle
sonorità dub ad esser presa in esame. Un disco che aldilà delle scelte sonore propone
brani eclettici e di sicura presa. Con ‘Other Worlds’ l’invito è ad
abbandonarsi a queste luminescenti sonorità, in un viaggio del corpo e della mente.
L’attesa è terminata! Il capitolo finale nella discografia degli
Isis ha finalmente un nome. ‘Temporal’è
una collezione di rarità, inediti, remix e video che affronta vigorosamente gli oltre 13 anni di carriera di questa
incredibile formazione, capace di rappresentare uno dei ruoli più innovativo
nel circuito del rock estreme. Questo fantastico documento sarà licenziato da
Ipecac il 5 di novembre e sarà composto da 14 brani, suddivisi in due cd e da
cinque video musicali inclusi nel dvd in allegato.
Continua comunque imperterrita l’attività
musicale dei cinque transfughi da questa esaltante istituzione heavy. Aaron
Harris, Jeff Caxide e Clifford Meyer hanno recentemente unito i loro flussi
creativi con Chino Moreno (Deftones) per dar vita ai Palms, di cui si attende
con grande trepidazione il debutto per la stessa Ipecac, schedulato a inizio
2013. GliOld Man Gloom di Aaron
Turner hanno invece pubblicato l’album ‘No’ sul finire di giugno per la ormai
defunta Hydra Head. Tutto questo non precluderà al nostro di girare gli States,
l’Europa ed il Giappone assieme ai Mamiffer. Mike Gallagher continua
invece con il progetto in solo MGR, oltre ad occuparsi di colonne sonore, di
cui la più recente è 22nd of May.
1. Streetcleaner (cover dei Godflesh
registrata nel 1999) 2. Hand of Doom (cover dei Black
Sabbath, originariamente pubblicata nel cd del 1999 Sawblade) 3. Not in Rivers, But in Drops (remix
a cura di Melvins/Lustmord; originariamente pubblicato su Holy Tears del 2007) 4. Holy Tears (remixdi Thomas Dimuzio; originariamente su NIRBID
del 2008) 5. Temporal (inedito registrato
nel 2009) 6. Way Through Woven Branches (dallo split Melvins/ISIS del 2010) 7. Pliable Foe (dallo split
Melvins/ISIS del 2010) 8. 20 Minutes/40 Years (versione
acustica inedita)
DVD (video ufficiali) 1. In Fiction 2. Holy Tears 3. Not In Rivers, But in Drops 4. 20 Minutes/40 Years 5. Pliable Foe (precedentemente inedito)
Il 20 novembre l’appuntamento è
con la storia. A cinque anni dall’ultima prova in studio torna una leggenda
dell’hardcore americano: i Bad Brains. Pubblicato da Megaforce come il suo
predecessore del 2007 ‘Build a Nation’, il nuovo disco porta il profetico
titolo di ‘Into The Future’, come se il gruppo originario di Washington DC non
temesse il confronto con l’attualità. Difficile che questi mostri sacri possano
temere rivali, tanto che i loro numerosi estimatori fanno letteralmente la fila
pur di averli come ospiti alla prima occasione.
Il vulcanico H.R. si è
recentemente unito ai Deftones il 26 di ottobre al Rams Head Live! di
Baltimore, Maryland, per un paio di pezzi: una cover fulminante di ‘Right
Brigade’ e ‘Bored’ degli stessi Deftones. H.R. ha dichiarato al Rolling Stone
che la musica connette il passato al futuro: i miei vocalizzi hanno rafforzato
l’impatto del gruppo unitamente all’espressione della chiesa della musica. Non
sarebbe mai stato un album eccellente senza ciò che lo ha preceduto, i nostri
esordi discografici continuano ad essere un’ispirazione maggiore e – a dire il
vero – le cose sembrano andare sempre meglio.
I Bad Brains hanno prodotto ‘Into the Future’ in piena autonomia dopo che
il precedente album era stato
supervisionato dal compianto Adam ‘MCA’ Yauch dei Beastie Boys. La band ha
incluso un remix di ‘Peace Be Unto Thee’ come tributo allo stesso Yauch, amico
di vecchia data tra i loro primissimi estimatori. ‘Into The Future’ è il più
autentico esempio del suono Bad Brains dai
tempi della mitica cassetta su Roir, almeno nelle parole del bassista Darryl
Jenifer. Questo disco rispecchia l’idea stessa di autoproduzione, mostrando un
senso reale di libertà artistica, assieme alla volontà di sperimentare.
Ascolterete delle basi molto soulful unitamente ad assalti hardcore, riff metal
e classiche sonorità dub.
Il documentario sulla band - ‘Bad
Brains: A Band in D.C.‘ - è stato
realizzato quest’anno ed inserito nella programmazione dei maggiori film
festival internazionali. Il 12 ed il 13 di ottobre è apparso sul grande schermo
anche al prestigioso Woodstock Film Festival di New York.
Nell’anno in cui le profezie Maya dovrebbero compiersi, i
francesi Zombie Zombie pubblicano un nuovo album per etichetta Versatile dal
profetico titolo “Rituels d’un Nouveau Monde” (rituali di un nuovo mondo). Scelta
francese volta ad enfatizzare l’ appartenenza non solo geografica ma anche
musicale. Tra le più affascinanti realtà dell’Europa continentale Zombie Zombie
aderiscono ad un filone ‘retronuevo’ che trova in John Carpenter e nei nostrani
Goblin i suoi più nobili referenti. Ma
col nuovo disco il combo francese ci sorprende, illumina, ci culla sulle
ali di note stellari, che oltre a sfruttare la contingenza cinematica, puntano
al cielo come direzione maestra. Etienne Jaumet è ai comandi con sintetizzatori
analogici e modulari, rhythms boxes, effetti e voce, Cosmic Neman suona la
batteria e le percussioni (rototoms, bongos, maracas, tambourine..) mentre il
celebre produttore Joakim (uno degli artefici del cosiddetto ‘french touch’)
siede dietro al banco di regia del suo studio parigino Labyrinthe. Un sala
d’incisione da sogno: come non essere ispirati da un luogo in cui le tastiere
analogiche sono fianco a fianco ai più efficienti e raffinati equipaggiamenti
da studio?
Il disco è stato registrato la scorsa primavera nel mezzo
dei numerosi impegni concertistici dei due, che vantano anche carriere soliste
di sicuro interesse (Cosmic Neman è da anni coinvolto con la band francese
Herman Dune ad esempio). C’è molta spiritualità e magia all’interno di questo
lavoro, anche se il gruppo non commette l’errore di prendersi troppo sul serio,
scegliendo sempre una via raffinata ed una voce duttile. I riferimenti non
mancano, la cultura dancefloor è sicuramente presente nel loro dna, ma è pronta
ad accendersi in contaminazioni a dir poco coraggiose. Come nel caso di ‘Rocket N.9’ uno dei più celebri
‘singoli’ ideati dal sommo pontefice del
cosmo Sun Ra. Una versione convincente, nonostante il confronto con uno dei
padri dello spiritual jazz potesse suscitare qualche giustificata incertezza. Lo stato di trance rivelato dai
ripetuti ascolti è comune alle tradizioni africane e caraibiche, tanto che i
rituali di quelle antiche popolazioni sono stati traslati in musica dai due, al
fine di ottenere un effetto realmente cosmopolita. World music futuribile se
preferite, che non mancherà di conqusitarvi anche attraverso ritmi motorici
(inconfondibile il tribute ai Neu! di ‘L’Age D’Or’)
E’ il 2012 e seguendo le indicazioni dei Maya le Prince Rama sembrano
prepararsi al peggio, non certo con una lista da isola deserta, bensì con una
vera e propria top 10 da fine del mondo. Concepito come
una pseudo-compilazione, l’album del duo di Brooklyn mette
in fila i maggiori successi di 10 pop band scomparse durante l’apocalisse,
chiamando in causa i fantasmi di ogni interprete per rendere ancor più
credibili le nuove versioni. Muovendosi
in piena libertà tra i generi e viaggiando ipoteticamente nel tempo,la raccolta estemporanea elabora le
connessioni tra musica pop e memoria, facendo leva su sentimenti come la
nostalgia e lo spirito di appartenenza universale. Le influenze sono davvero
disparate, non sorprendetevi dunque nel ritrovare il gruppo alle prese con
cosmic disco, motorcycle rock, new-wave, grunge, goth, pop arabico e addirittura
ghost-modern glam. Prince Rama filtrano ogni suono attraverso la lente
deformante del futuro post-apocalittico.
Registrato per buona metà da Tim Koh presso l’ Ariel Pink’s Haunted Graffiti’s
studio e mixato da Scott Colburn (Animal Collective, Sun City Girls, Arcade
Fire), Top Ten Hits of the End of the World non è propriamente un album pop,
quanto un requiem retrospettivo di tutti gli album pop mai dati alle stampe. Nulla
del genere è stato mai messo in cantiere da una singola band e l’eco residuale
di quest’operazione continuerà a manifestarsi in questa e nella ‘successiva’
vita
Le sorelle Taraka e Nimai Larson hanno così dato un contributo deciso alla
musica indipendente, formulando un’ipotesi astrusa ma quanto meno originale.
Cresciute all’ombra di fenomeni locali come Animal Collective – ricordiamo come
Paw Tracks sia un’emanazione degli stessi – ed Ariel Pink, le nostre hanno
sempre sposato un’immagine forte, quasi sciamanica. La loro filosofia di vita
assieme ad un’adesione spregiudicata ad arcaiche forme spirituali, ne fanno un
caso più unico che raro nelle trafficate stanze della musica popolare moderna.
Chi può salvarci dagli infedeli che remano contro le
classiche abitudini natalizie? Non dovete guardare oltre e soprattutto non
dovete mettere in difficoltà il vostro commerciante di fiducia. Il vostro eroe
si materializza nei panni di Sufjan Stevens un diligente autore di canzoni e
storie che si muove in solitario, armato di banjo e drum machine. Raccolto
nella sua stanza dei sogni – che è per necessità anche uno studio di
registrazione – il nostro ha tutto il necessario per mettere a punto il secondo volume di un’antologia votata
– è proprio il caso di dirlo – alle canzoni da depositare sotto l’albero.
Circondato da un volume dispensatore di inni, da composizioni musicali
religiose, da spartiti musicali e da fotocopie dei cataloghi Readers Digest
espressamente dediti al Natale, Sufjan Stevens intona le sue nuove composizioni
a tema in tono sornione. Sono canzoni d’amore, di speranza, auspicano una pace
interiore e non. Un mondo ideale in cui gli angeli custodi osservano i nostri
movimenti ed ispirano le nostre azioni. In questo cofanetto composto da 5 Ep -
Gloria, I Am Santa’s Helper, Christmas Infinity Voyage, Let It Snow, Christmas
Unicorn – siamo avvolti da un’atmosfera quasi surreale, precipitati per incanto
nelle nostre memorie ancestrali. Tante le figure e gli oggetti ricorrenti in
quello che è un quadretto familiare esteso: le buste della drogheria sottocasa,
il ponte coi guidatori all’interno del tunnel, gli operai, gli spazzini, le
madri abbandonate, i ricchi ed i poveri, i morti viventi, la vergine Maria e lo
spirito santo, il principe di Persia, l’unicorno del natale (proprio in quel ‘Christmas
Unicorn’ ascolterete una citazione palese di ‘Love Will Tear Us Apart’ dei Joy
Division) e tutti quegli invisibili
ospiti di un paradiso ideale che partecipano a questa assurda avventura
cosmica. Inseguendo canzoni di speranza e redenzione con un cuore che rispetti
la sacralità del Natale, spingendo per l’indulgenza nei confronti dei peccatori,
pregando per la resurrezione dei morti ed un mondo migliore per i nascituri. Amen.
Al disco partecipano numerosi musicisti, che oltre ad
esser legati da un rapporto di amicizia sincero con Sufjan, ne condividono la
visione di un pop estatico. Ascolterete a diverso titolo Aaron e Bryce Dessner
(The National), Richard Reed Parry (Arcade Fire), Cat Martino (braccio destro
di Sufjan da The Age of Adz), Sebastian Krueger (Inlets), Gabriel Kahane,
Vesper Stamper, e membri della famiglia Danielson (Daniel, Elin, Lilly, and Ida).
Assieme ai cinque cd non possono certo mancare gadgets a tema, dai favolosi
adesivi natalizi ai tatuaggi temporanei che faranno impazzire i vostri ragazzi.
Una carta ornamentale, un poster scaccia-apocalisse, i testi delle canzoni con
i relativi spartiti, fotografie allucinanti ed una grafica a dir poco
psichedelica, curata dallo stesso Sufjan, che in vita sua ha difficilmente mai
acceso uno spinello…Le estese note di copertina che illustrano il progetto in
maniera esaustiva sono di Sufjan Stevens e del ‘protetto’ Vito Aiuto, pastore
presso la Resurrection
Presbyterian Church di Williamsburg, New York, e leader di
Welcome Wagon.
In concomitanza con quello che la stampa ha definito il loro miglior disco da diversi anni a questa parte - l'Ep The Ganzfeld per la nuova etichetta Thrill Jockey - i Matmos realizzano un video animato grazie al puntuale intervento dei vecchi partner di L.inc productions.
Immagini ispirate dalle vecchie copertine di dischi rock progressive e dalla fantascienza anni '80, nelle parole dello stesso regista Ed Apodaca. Un viaggio che allo stesso tempo vuole essere divertito e psichedelico.
E’ difficile credere che sia già
passato un decennio dalla pubblicazione di ‘Yanqui U.X.O’., l’ultimo album da
studio della compagine canadese che ha definitivamente infranto i canoni del dopo-rock.
Del resto l’etica che da sempre ha caratterizzato i Godspeed You! Black Emperor
è molto distante dalle logiche di mercato, quasi a definire un approccio
‘politicizzato’ che forse dai tempi dei Crass non era stato così deciso. Per Yanquinessun piano promozionale o di marketing, il
disco usciva in sordina poco prima del natale 2003, ribadendo semmai il credo
extra-parlamentare dei nostri, forti indipendentisti francofoni con base a
Montreal. Mai scorderemo quella bomba molotov effigiata sul retro-copertina
dell’Ep ‘Slow Riot For New Zero Canada’ e ancor meno la back cover di Yanqui,
dove vengono tracciati i rapporti inestricabili tra le multinazionali del disco
e la vastità dell’industria bellica.
Tornanti propriamente in azione
nel 2010, senza del resto mai aver annunciato un ufficiale allontanamento dalle
scene, i Godspeed hanno anche organizzato una delle più riuscite edizioni del
festival ATP, portando con sé numerosi artisti del roster Constellation. Il
ritorno in studio è improvviso, volutamente tenuto segreto. Contrariamente alle
logiche che vogliono il social network in anticipo sui tempi. Nessuna
indiscrezione, ancora a ribadire quella veduta distante dalle logiche aberranti
del consumismo.
Chi segue i Godspeed rispetta le
consegne, un atto di fede e rispetto. Per tornarsi a scuotere di fronte
all’annuncio improvviso, alla trasmissione di dati istantanea. Quattro i lunghi brani che costituiscono questa ascesa
paradisiaca: Mladic, Their Helicopter’s Sing, We Drift Like Worried Fire e Strong
Like Lights At The Printemps Erable. Un cd ed un lp con sette pollici in
allegato, un nuovo trionfo dei sensi, un’epica inarrivabile. La prima e la
terza traccia del disco sono state registrate presso lo studio di ‘casa’ Hotel2Tango
da Howard Bilerman, la seconda e la quarta nella sala prove del gruppo stesso,
successivamente mixate presso The Pines. Il vinile è stato stampato in
grammatura 180 presso Optimal (Germany) con copertina apribile.
La formazione del gruppo prevede oggi i seguenti musicisti: Thierry
Amar, David Bryant, Bruce Cawdron, Aidan Girt, Efrim Manuel Menuck, Michael
Moya, Mauro Pezzente, Sophie Trudeau e Karl Lemieux.
Big
Beach Boutique è il nuovo cd + dvd del fenomeno inglese Fatboy Slim. Il primo
ed il 2 di giugno del 2012 Norman Cook si è esibito in quello che è giusto
definire il suo più ambizioso spettacolo in carriera: il Big Beach Bootique 5,
il primo rave party ad andare in scena in uno stadio di calcio inglese.
La città è Brighton (città adottiva dell’ex-Housemartins) casa dell’ Hove
Albion FC, il complesso l’Amex Stadium. A ricevere in maniera a dir poco
entusiastica uno dei padrini del ‘big beat’, un pubblico quantificabile in
oltre 40mila unità. E non siamo certo noi a dovervi spiegare quale fosse la
chimica che ha accompagnato l’evento. In occasione del quale è stato eretto il
più grande muro di luci: oltre 600 metri quadrati
di pura estasi visiva. Con una miriade di campanelli e fischietti a puntellare
tutta la performance, in un clima genuinamente festaiolo.
Filmato in maniera eccellente in Dolby 5.1 surround, la
scaletta di Fatboy Slim mette in fila alcuni dei suoi più grandi successi, al
fianco di clamorose hit a firma Calvin Harris, Armand van Helden e Knife Party.
Sono stati anni incredibili per il dj, Fatboy Slim ha girato il globo in lungo
ed in largo, battendo alcune delle più celebri capitali della musica. Dal
Detroit music festival alla Grande Muraglia cinese, passando per la babilonia
del divertimento Las Vegas e circoscritte puntate in Brasile e Giappone. Ma il
mito della grande spiaggia continua a rivivere in un tour che vedrà il nostro
protagonista nel 2013 con eventi speciali in Sud Africa, Sud America e ancora in
Oriente, all’inseguimento di ogni record possibile nell’industria
dell’intrattenimento.
Come molti di noi, Matthew E.
White è nato e cresciuto in un universo strutturato. Tra le sabbie di Virginia
Beach e la giungla di Manila, Matthew è stato così esposto a scenari
completamente diversi, tra oriente estremo e le luci sfavillanti di una delle località
turistiche per eccellenza degli Stati Uniti.
Uno dei passi decisi verso l’universo musicale coincide con il prematuro
abbandono del gioco del basket. Scegliendo una chitarra come amico, Matthew si
diletta in ascolti sagaci, sfiorando le polveri del Delta blues, rimandando a
memoria le incisioni primordiali di Alan Lomax e concentrandosi sulle tecniche
di registrazione di Lee Perry all’interno del suo Black Ark. Una gioventù
scandita peraltro dalle storie del menestrello di New Orleans Dr. John, dalle
altre invenzioni jamaicane di King Tubby e dai cicli minimalisti di Terry Riley.
Una curiosità che accende il
giovane musicista alla ricerca di una via originale al pop, in cui le
orchestrazioni, per quanto realizzate in economia, potessero comunicare un
senso di grandeur più unica che rara. Ogni piccola particella musicale è
finalizzata al raggiungimento di un risultato consistente, come un’opera capace
di resistere all’urto del tempo. C’è un occhio cinematico ed un senso tangibile
di eternità. Anche i testi ricoprono un ruolo importante, sfiorando condizioni
comuni di amore, morte e ricerca. Anche in questo caso le liriche tradiscono
tributi espliciti ad eroi personali come Washington Phillips, Allen Toussaint,
Jorge Ben, Jimmy Cliff e Randy Newman.
Laddove non c’è una sezione fiati
a puntellare il tono quasi carnascialesco dell’album, c’è una sezione d’archi
(il brano sotto la lente d’ingrandimento è Big Love) condotta da Trey Pollard
assieme alle frenetiche tastiere di Phil Cook dei Magafaun. Chitarrista
eccezionale con un importante training jazz alle spalle, White è solitamente
accompagnato dal bassista Cameron Ralston (il saggio) e dal batterista Pinson
Chanselle (il mitico), in quel trio che prende il nome di Spacebomb House Band.
Fiati, archi e cori sigillano poi Big Inner, uno sforzo ancora encomiabile per
Hometapes, che ci regala il più logico successore al capolavoro dissepolto
Pacific Ocean Beach di Dennis Wilson.
Pochi dubbi sul
fatto che Daptone sia depositaria del nuovo verbo soul, e pochi dubbi
sull’eccellenza certificata degli artisti in catalogo. La cura negli
arrangiamenti ed il tocco sublime degli strumentisti di casa ha consentito al
marchio made in Brooklyn di toccare ripetutamente le vertigini del successo,
costruendo un seguito mondiale impareggiabile. Il combo meglio noto come Menahan
Street Band licenzia il suo secondo album il 30 di ottobre, ridefinendo così i
confini della sua scienza musicale.
Un disco
interamente strumentale registrato nel corso degli ultimi due anni, The
Crossing è un manifesto sonico che in 11 passi fotografa l’essenza stessa della
band, i cui frutti rigogliosi hanno avuto la capacità di influenzare un’intera
scena, non fosse altro per le loro capillari collaborazioni. Portati per mano
dal chitarrista/produttore Tom Brenneck e dal batterista e co-fondatore Homer
Steinweiss, Menhan Street Band conta poi sul talento individuale del bassista Nick
Movshon, del trombettista Dave Guy e del sax tenore Leon Michels. Tutti e
cinque i musicisti si sono incrociati a più riprese a partire dagli albori
dello scorso decennio in numerosi progetti, cruciale poi la membership nella
formazione-simbolo di questa rinascita : i Dap-Kings. Tra gli ospiti
‘associati’ segnaliamo il tastierista degli Antibalas Victor Axelrod - organo
in due pezzi - e Mike Deller della Budos Band al piano.
Con The Crossing il
gruppo espande mirabilmente i suoi orizzonti, puntando ad un sound più corposo
e aperto ad influenze world. C’è una sicura fascinazione per l’ethio-sound – così
come riportato in auge da Mulatu Astatke – uno sguardo d’insieme al tocco latino
di casa Fania e tante reminiscenze del più groovy catalogo Blue Note. Il disco
è stato registrato nel rispetto religioso delle tecniche analogiche presso il Dunham
Sound Studios, il piccolo tempio costruito 4 anni or sono da Brenneck dopo aver
ricevuto da Jay-Z un sotanzioso assegno per le royalties di Make The Road By
Walking, brano campionato dallo stesso produttore r&b nel singolo di
successo “Roc Boys (And the Winner Is…)”. Tra gli artisti che
si sono serviti al contempo della sala d’incisione e dei membri di Menahan
ricordiamo : Mark Ronson, Rufus Wainwright, Cee-lo Green, Theophilus
London e Diane Birch.
Difficile non pensare a questa
collaborazione come ad una risposta piccata al ritorno in scena dei Public
Image Ltd di John Lydon. Che i rapporti tra il bassista originale dei PIL e
l’ex-Pistols non fossero idilliaci ne abbiamo avuto riprova nel corso degli
anni, ma continuare a speculare sulla vicenda non porta da nessuna parte.
Piuttosto, facciamo ordine. Perché il basso e la chitarra di una delle più
influenti formazioni del dopo-punk britannico si ritrovano a distanza di eoni,
in pratica dopo aver plasmato quella forma di musica liquida che era ‘Metal
Box’ (o ‘Second Edition’ se preferite) uno di quei manifesti in musica molto
prossimi all’assoluto.
Sei e quattro corde che si
avviluppano in un disegno arcaico, replicando in qualche maniera l’immagine classica
dello Yin & Yang. Che guarda caso è proprio il titolo dell’album
licenziato da Cherry Red. Tutti brani originali concepiti da Jah Wobble, con
l’eccezione di una ‘Within You Without You’, brano minore del repertorio
Beatles, periodo Sgt. Pepper. Un disco che volteggia tra sinfonie dub, aprendo
ad inediti quadretti pop e lasciandosi cullare da certe divagazioni jazz elettriche,
che fanno comunque parte delle corde del bassista (si pensi alle sue
collaborazioni con Evan Parker o con il Modern Jazz Ensemble).
La tromba di Sean Corby – con tanto di sordina – ci riporta in ‘Fluid’ a
certe ovattate atmosfere davisiane o – a dirla tutta – ai remix di Laswell di
Panthalassa (altro musicista che ha spesso incrociato le vie artistiche di Jah
Wobble). Mentre la voce di un'altra veterana come Little Annie si affaccia in
‘Vampires’. Un incontro che ha del memorabile, avvicinatevi con confidenza.
Il decimo album da studio dei
Neurosis coincide anche con un momento cruciale con le sorti della musica
pesante in genere. Che il metal e l’hardcore nelle loro forme più progressive e
distintamente avant fossero terreno fertile di scambio era cosa nota, maforse a qualcuno sfuggiva l’impatto ‘definitivo’
di certe musiche sugli scenari rock estremi e più in generale sulla cultura
underground contemporanea. Questo per ribadire come il gruppo originario di
Oakland, California, abbia recitato da sempre un ruolo di primissimo piano e
rappresentato con la sua quasi enciclopedica discografia un esempio a tutto
tondo.
Se di contaminazione è lecito
parlare, i Neurosis ne sono forse gli alfieri, coscienziosamente trasportati da
un rispettoso credo do it yourself. Non a caso è la stessa Neurot a patrocinare
nuovamente il loro ambizioso progetto, consentendo al gruppo di superare
indenne oltre un quarto di secolo artisticamente ispirato. Chiamato nuovamente
dietro al banco di regia, Steve Albini ha provveduto a plasmare le tracce di Honor Found In Decay con la solita
perizia tecnica, firmandola quinta
collaborazione ufficiale con il gruppo. Il loro suono monolitico è stato
catturato presso i famigerati Electrical Audio studios di Chicago, le sette
tracce sono state in seguito masterizzate da John Golden presso i Golden
Mastering di Ventura, California.
Un’ora di musica che coincide con
una delle pubblicazioni più attese di questo di 2012, non fosse altro per il
lunghissimo lustro che ci separa dalla ultima fatica ‘Given To The Rising’. E’
un disco che cattura la band di Steve Von Till e Scott Kelly al suo apice
emozionale. Non a caso i membri del gruppo si relazionano al disco come al loro
più alto picco artistico. La forma estetica non è stata mai secondaria allo sviluppo
del loro concept, tanto che la video arte di Josh Graham continua ad essere un
riferimento essenziale.
Aspettatevi un disco davvero
denso di idee, in cui tutte le possibili sensazioni suscitate in passato dalla
band riemergono nelle forme più insolite. Fatti salvi i classici attacchi
proto-industriali e la solita ascendenza folk apocalittica, il gruppo sa come
elaborare sfuriate metalliche e contemplare la profondità di soluzioni
acustiche. Del resto già esplorate in chiave solista da Von Till e Kelly in
tempi non sospetti. Un album concettuale a tutto tondo, che il gruppo farà rivivere
nell’imminente ATP (dal 30 di novembre al 2 di dicembre presso Camber Sands,
Inghilterra) organizzato dal sodale Steve Albini e dai suoi Shellac. L’ennesima esperienza catartica.
The Secret sono una delle formazioni più
marcatamente heavy ad aver mai calcato i palchi italiani. Nati nel 2003 hanno
presto incanalato rabbia e malcontento in un suono dai contorni nevrotici,
violentissimo per definizione e davvero tirato allo spasimo. Nelle loro
intenzioni l’idea era quella di far convergere metallo, hardcore ed un certo
barbaro esoterismo sotto un unico tetto, fotografando un universo non
propriamente idilliaco. Scenari da fine del mondo o da apocalisse annunciato,
alimentati da un palpabile senso di tensione e da una spinta emotiva seconda a
nessuno. Nel 2010 il battesimo di fuoco con la pubblicazione del primo album
per Southern Lord, ‘Solve Et Coagula’. Artiglieria pesante per una delle label
che meglio ha saputo interpretare l’ampia panoramica dell’estremismo in musica.
Continuando ad incrociare elementi di
crust/grind e primitivo black metal in un contesto profondamente ed
irrimediabilmente oscuro i quattro confezionano il secondo lavoro sulla lunga
distanza. L’idea stessa di dividere il palco con alcuni dei loro artisti
preferiti, non ha fatto altro che incrementare il senso di ‘potenza’ di questo
gruppo, capace di affrontare alla pari trasferte importanti tanto con Kvelertak
che con Converge e Sunn O))). Il nome dei Converge ricorre indirettamente
ancora una volta, come per il debutto è proprio il chitarrista Kurt Ballou ad
immortalare la band presso i collaudati Godcity studios. ‘Agnus Dei’ è così
senza misure un titano blasfemo, una nuova imbeccata per chi si ciba
esclusivamente di suoni al vetriolo. The Secret confermano la loro eccellenza;
gettano il loro guanto di sfida certi di non avere molti concorrenti nel
circuito metal-core. Il 2012 sarà l’anno delle conferme, bagnato
da questo monolite di 45 minuti che in 13 brani ripercorre tutte le strade del
sound più estremo, lasciando pochissimi dubbi sulla statura di un gruppo ormai
venerato a livello internazionale. The Secret saranno in tour a cavallo
tra novembre e dicembre in Europa conTouche Amore e A Storm of Light.