Indossate scarpe comode. Liberata la mente da ingombranti pensieri. E’ tempo di lanciarsi in danze sfrenate in onore della miglior pop venue. Qui si torna a bomba sugli anni d’oro del brit-pop, e questo "The Loves …Love You" pare davvero una remota chicca dalla stagione scolastica – ehm…- 95/96. Se è Fortuna Pop! a metterci la faccia, lasciatevelo dire, la qualità non può che essere ottima. Ed in appena 10 canzoni The Loves ci consegnano quella brillantezza che è merce rara di questi tempi, perché a fare canzoni ammiccanti bisogna esser portati. La giusta alchimia tra ritornelli appiccicosi e strutture fantasiose è alla base di un disco incredibile; connubio tra il dream pop di casa Sarah Records e Postcard, il gusto per le brumose ballate di deriva scozzese e l’impeto giovanilista dei primissimi Blur. L’alternanza tra voce maschile e femminile fornisce un ulteriore elemento distintivo. C’è un pizzico di malinconia in questi pezzi tutto sommato, pare che il gruppo abbia ufficialmente dato addio alle scene il giorno di San Valentino, scegliendo una data quanto meno simbolica. In eredità un album che ha del sensazionale, affrontando in scioltezza una ventina d’anni di quella musica britannica che mai invecchia, mantenendo una salda presa sui buoni sentimenti e su un recondito romanticismo dopo-adolescenziale. “December Boy”, che è il singolo predestinato, ha degli autentici violini, oltre alle voci di Emma Hall dei Pocketbooks e Liz Hunt dei The School. In un impasto che - provate ad indovinare – vuole anche dire Phil Spector e wall of sound. E poi, sinceramente, pensate di scrollarvi di dosso facilmente il refrain di "Bubblegum"? A meno che non abbiate scarsamente a cuore le questioni di casa british, questa è roba da mettere al tappeto anche il più scontroso dei collezionisti… Capitolo finale dicevamo, e tanta materia da registrare alla voce ‘canzone perfetta’: "That Boy Is Mine" e "King Kong Blues" dovrebbero essere nella playlist di ogni radio FM che si rispetti e al diavolo i luoghi comuni: ricordatevi, lassù c’è sempre qualcuno che vi ama…
25/02/11
The Loves ...Love You
Indossate scarpe comode. Liberata la mente da ingombranti pensieri. E’ tempo di lanciarsi in danze sfrenate in onore della miglior pop venue. Qui si torna a bomba sugli anni d’oro del brit-pop, e questo "The Loves …Love You" pare davvero una remota chicca dalla stagione scolastica – ehm…- 95/96. Se è Fortuna Pop! a metterci la faccia, lasciatevelo dire, la qualità non può che essere ottima. Ed in appena 10 canzoni The Loves ci consegnano quella brillantezza che è merce rara di questi tempi, perché a fare canzoni ammiccanti bisogna esser portati. La giusta alchimia tra ritornelli appiccicosi e strutture fantasiose è alla base di un disco incredibile; connubio tra il dream pop di casa Sarah Records e Postcard, il gusto per le brumose ballate di deriva scozzese e l’impeto giovanilista dei primissimi Blur. L’alternanza tra voce maschile e femminile fornisce un ulteriore elemento distintivo. C’è un pizzico di malinconia in questi pezzi tutto sommato, pare che il gruppo abbia ufficialmente dato addio alle scene il giorno di San Valentino, scegliendo una data quanto meno simbolica. In eredità un album che ha del sensazionale, affrontando in scioltezza una ventina d’anni di quella musica britannica che mai invecchia, mantenendo una salda presa sui buoni sentimenti e su un recondito romanticismo dopo-adolescenziale. “December Boy”, che è il singolo predestinato, ha degli autentici violini, oltre alle voci di Emma Hall dei Pocketbooks e Liz Hunt dei The School. In un impasto che - provate ad indovinare – vuole anche dire Phil Spector e wall of sound. E poi, sinceramente, pensate di scrollarvi di dosso facilmente il refrain di "Bubblegum"? A meno che non abbiate scarsamente a cuore le questioni di casa british, questa è roba da mettere al tappeto anche il più scontroso dei collezionisti… Capitolo finale dicevamo, e tanta materia da registrare alla voce ‘canzone perfetta’: "That Boy Is Mine" e "King Kong Blues" dovrebbero essere nella playlist di ogni radio FM che si rispetti e al diavolo i luoghi comuni: ricordatevi, lassù c’è sempre qualcuno che vi ama…
Meat Puppets, il nuovo album è "Lollipop"
24/02/11
Black Spiders: esce anche in Italia il primo album della band di Sheffield
The Atomic Bitchwax, nuovo album su Tee Pee
Sonic Youth "Simon Werner A Disparu - Original Enregisterment Sonore"
E’ un disco che torna anche sugli aspetti virtualmente meno pop dei Sonic Youth, che con l’ultima fatica da studio - The Eternal per Matador - avevano forse mostrato un pochino la corda. Nessuna paura, il fascino di questa opera – immortalata presso il personale Echo Canyon West studio di Hoboken, New Jersey – rispecchia in pieno l’ immagine del cineasta francofono Fabrice Gobert. Concepito scientificamente in un paio di settimane, lo score ha visto i Sonic Youth elaborare i brani sulla stessa lunghezza d’onda delle immagini, provando un collante credibile, gestito grazie ai miracoli del multitracking. La prima del film è stata data nel maggio del 2010 durante il festival del cinema di Cannes, premessa ad un successo ai botteghino maturato nel corso di questo autunno, nel paese d’origine. Nell’attesa che il film venga distribuito nel resto d’Europa, rimane questo biblico pezzo d’arte moderna, firmato in calce da Thurston Moore e soci.
Cornershop & The Double ‘o’ Groove featuring Bubbly Kaur
E giunse il tempo del bangla beat…E’ così che per il loro settimo album da studio i Cornershop cambiano rotta, non è più il brit-pop ad essere speziato di aromi hindustani ma è proprio la musica di quella porzione d’oriente a venire a patti con l’occidente, mantenendo però uno spirito auto-affermativo. Il sound che viene oggi impacchettato da filosofi del beat (ogni riferimento a Madlib ed Egon è puramente voluto) in compilation dal fascino glamour, trova nei solchi di questo "Cornershop & The Double ‘o’ Groove" un attendibile corrispettivo moderno. La sezione più logica in cui inserire questa deliziosa collaborazione con la vocalist Bubbly Kaur è nel world beat, a fianco dei cosiddetti rare grooves. Riportasse altra data di pubblicazione il disco poteva esser licenziato dall’etichetta britannica - specializzata in ristampe - Finders Keepers, giusto per darvi un’ulteriore pietra di paragone. Nel singolo apripista "United Provinces of India" sono messi in campo tutti gli elementi di questa strepitosa joint-venture, dalla strumentazione di nomenclatura sud-asiatica alle basi hip-hop, per sfiorare poi quell’innato gusto pop lisergico che è comunque nel tessuto genetico dei Cornershop, da sempre. Pensavano ad un disco del genere da 20 anni, ma poi le esigenze da studio ed il successo spartiacque di "Brimful Of Asha" hanno delineato altro percorso artistico. Fortuna che le tregue – ma anche le crepe – del mercato discografico odierno hanno concesso una via di fuga a Tjinder Singh e Ben Ayres, che senza ansia ci regalano il disco ritmico della stagione. Punjabi Folk Music goes downtempo, roba da far girare la testa anche a Gilles Peterson.
AGF & Craig Armstrong - Orlando
Da una parte il compositore scozzese Craig Armstrong – già a lavoro su numerose colonne sonore, spesso interagendo con orchestre di stampo moderno – dall’altro l’ex voce dei tedeschi Laub Antye Greie, produttrice esecutiva e depositaria del marchio AGF Produktions
Lo stesso Armstrong aveva composto le musiche per una rendition del caposaldo di William Shakespeare - Romeo & Juliet – guadagnando riconoscimenti come il BAFTA for Achievement in Film Music ed un Ivor Novello. La sua composizione per il musical Moulin Rouge di Baz Luhrmann gli ha consentito nel 2001 di guadagnare addirittura un Golden Globe Award per miglior colonna sonora originale. L’arte di sposare musica ed immagini (sul grande schermo) gli ha permesso tra l’altro di lavorare agli score di Love Actually, World Trade Center (Oliver Stone) e The Incredible Hulk.
Al 2001 risale il primo incontro con la Greie, invitata a cantare nel secondo disco solista di Armstrong a titolo As If to Nothing. Successivamente gli artisti lavorano a Pianos (2004), The Dolls (2005 con Vladislav Delay) e Memory Take My Hand (2008).
In una produzione diretta nel 2010 da Cathie Boyd, AGF ed Armstrong provvedono a musicare l’opera in scena. Per questo cd i due compositori si affidano al tono fluente e narrativo del testo originale, in modo da ricreare tra gli ascoltatori il medesimo fluente effetto lirico esercitato sui numerosi lettori. Un viaggio che affonda nella memoria del protagonista stesso, perché Orlando era appunto uno scrittore!
Composizioni come The Tree, Betrayal e Sleep hanno spinto i due autori ad incorporare drone e processi digitali ai temi prefissati, in una ri-attualizzazione dell‘influente libro dato alle stampe dalla Woolf un secolo fa. Il risultato è una composizione del 21° secolo rispettosa delle sue profonde origini ‘letterarie’.
Bearsuit - The Phantom Forest (Fortuna Pop!)
Ammiccando alla disco sintetica in Please Don’t Take Him Back – suonata a ripetizione da BBC 6Music – i Bearsuit strizzano l’occhio al dancefloor con fare maniacale, preparando dei manicaretti su misura per i più esagitati viveur del fine settimana.
Scavando tra i solchi di questo album troverete però anche il romanticismo della via del ritorno, quella magari battuta all’alba della domenica mattina, dopo una serata vissuta al massimo. Ed è un imprinting tipicamente britannico questo, il classico effetto dopo-bomba, il rilassamento visivo dopo la sbornia strobo. Concordiamo dunque sul fatto che questo è il miglior parto in carriera dei Bearsuit, che nel frattempo hanno messo a libro paga una nuova sezione ritmica. La band di Norwich consta ora di Iain Ross (chitarra e tastiere), Lisa Horton (tastiere), Jan Robertson (chitarra e tastiere), Charlene Katuwawala (basso e tastiere) e Joe Naylor (batteria). Ovviamente tutti e cinque i musicisti in squadra si alternano alla voce, come in una collettiva fanfara pop. Pronti ad esibirsi per la seconda volta negli States al SXSW, non mancheranno di mettere solidi radici oltreoceano, prima di tornare a piantare le tende nel vecchio continente. Prendendo spunto dall’ultima stagione riot (in più di un’occasione sono Le Tigre di Kathleen Hanna ad affacciarsi alla memoria) e guardando tanto all’Inghilterra lo-fi pop di Comet Gain quanto al più scorbutico post-punk di scuola Factory, i Bearsuit hanno messo assieme una strabordante idea di pop mutante per l’imminente collezione primavera-estate.
23/02/11
Crystal Stilts - In Love With Oblivion (Fortuna Pop!)
E’ stato un colpo al cuore il loro album di debutto, una di quelle cose che – musicalmente parlando - rasenta la perfezione, pur non ambendo a tale primato. Da quel fitto intreccio logistico ed artistico che è la Brooklyn dei giorni nostri i Crystal Stilts hanno inviato cartoline di amore sonico a mezzo mondo, giocando con le tinte chiaroscurali di un garage psych che sembrava coniato a Manchester nei giorni del dopo-punk. Alight Of Night con il suo definitivo stomp chitarristico accese la miccia, in uno scenario da psichedelia anni ’90, con il sole al tramonto e l’eco distante della surf music.
Il nuovo album è licenziato in Europa da Fortuna Pop!, che seguendo le analoghe direttive di Pains Of Being Pure At Heart, prende alle sue dipendenze la band della East Coast, oggi capace di sfoggiare uno stile invidiabile, per via di un’applicazione scientifica al suono. Ancora una volta si incrociano strade e percorsi sotterranei, come è lecito per chi ha dedicato anima e corpo al suono indipendente. I fratelli Reid come il pop angolare del giro neozelandese Flying Nun/Xpressway rimangono ancora a parziale garanzia del suono dei Crystal Stilts, che comunque spingono verso un rinnovamento strutturale.
"Shake The Shackles", primo singolo estratto dall’album, aveva già lasciato intuire quale fosse il destino dei nostri. Puntuale l’album in Love With Oblivion rifugge ogni dubbio liberando un suono che danza sullo spoglio palcoscenico di un post-punk d’atmosfera, in cui mai viene smarrito il gusto per un pop allegorico e trasversale. Nel solco del migliore wave partorita a cavallo tra anni 80 e 90 i Crystal Stilts costruiscono il loro impero dei sensi.
22/02/11
Si intitola "Carcarà" il nuovo album dei Gentlemen's Agreement, nei negozi a fine marzo
A distanza un’orchestrina di mariachi sembra introdurre il tema portante del disco: è un esotismo di quelli nobili ed i Gentlemen’s Agreement sembrano essersi trasferiti in qualche periferia dell’emisfero occidentale per concepire il loro secondo album, “Carcarà”. Il solco lo segna un libro, un viaggio dell’anima, pur se comodamente seduti in veranda. “Verità tropicale” a firma Caetano Veloso, non è una semplice biografia ma l’immagine nitida di un movimento artistico ai più noto come tropicalismo. Storie di opposizione in musica, prima che i generali spazzassero via il sogno di quei valenti artisti. Rasserenato il clima oggi, maggiori possibilità di arrivare al nucleo della questione, grazie all’industria del disco che ha puntato parecchio sull’oggetto ristampa. Ed i Gentlemen’s Agreement proprio di quel suono si sono innamorati, lasciando in piedi altrettante ipotesi e frammenti di musica. Oltre il confine tra Stati Uniti e Messico, una cartolina da Cuba ed in generale un atteggiamento che accanto alla filosofia dei cantori del tempo, vede un sobrio utilizzo delle percussioni. In questo gioco di citazioni la formazione cresce, anche esponenzialmente. Sono oggi in cinque i ragazzi : Raffaele Giglio (Voce, Ukulele, Chitarra Acustica, Tres Cubano, Mandolino); Fabio Renzullo (Tromba, Toy piano, Armonica, Cori), che in questo disco ha scritto gran parte delle sezioni fiati ; Gomez (Contrabbasso, Cori) ; Andrea De Fazio (Batteria, Cori) e Gibbone (Surdo, Caixa, Quica, Agogo, Clave, Triangolo, Pandeiro, Repinique, Tamburim, Chocalho, Cori). “Carcarà” è anche un racconto, con un filo conduttore, una volta concepite le canzoni è stato il metodo di arrangiamento a portare alla creazione di un corpo unico. Che poi si parli d’amore non corrisposto o nostalgia (o saudade per dirla in portoghese) sarebbe il caso di chiederlo ai diretti protagonisti. Prodotto dall’etichetta partenopea Materia Principale, il disco è stato registrato da Alfonso La Verghetta presso lo studio Italy Sound Lab, rigorosamente in acustico, proprio per prestare fede ad un comandamento: quello di riprodurre fedelmente dal vivo i suoni di "Carcarà". Che sarà anche uno spettacolo suggestivo, un piccolo carnevale folklorico itinerante in cui il gruppo ricorrerà a scenografie, costumi e maschere, dando sfoggio ad una innata teatralità. L’artwork e il primo video del disco sono stati realizzati dal talentuoso Alessandro Rak, che ha contribuito, con il suo tratto a costruire un immaginario attorno a questa delicata storia. Tra gli ospiti del disco Alfredo Maddaluno (Atari), Lelo Natale Smith (Le Loup Garou) e Peppino e Peppone (Tromba e Sax dei Rudy&Crudi).
Howe Gelb & A Band Of Gypsies
21/02/11
Danielson, un nuovo disco ricco di ospiti
Africa Head Charge - Voodoo Of The Godsent (On-U Sound)
Per antonomasia uno dei nomi e dei progetti più longevi dell’intero casato, con Voodoo Of The Godsent i nostri si presentano al cospetto del loro pubblico con un surrogato di ritmi arcaici, esaltati da una produzione ed una visione pur sempre futurista. Le 12 tracce che rilanciano African Head Charge anche al cospetto di un platea di stretta osservanza elettronica, sono state prodotte come di consueto dal re Mida Adrian Sherwood presso il suo ‘Care Home’ studio a Ramsgate. Si tratta del primo album dopo il bel viaggio afro-futurista del 2005 a titolo Visions Of A Psychedelic Africa.
Messi in piedi agli albori degli anni ’80 dallo stesso Sherwood e dal percussionista Bonjo Iyabinghi Noah, gli African Head Charge hanno forse rappresentato l’ideale della in-house band, entità attorno alla quale si sono alternati molteplici collaboratori in un forsennato work in progress, in cui l’elemento umano prendeva sempre e comunque il sopravvento. Con a bordo affiliati storici quali Skip McDonald e Crocodile, in Voodoo Of The Godsent si registrano gli ingressi della leggendaria sezione fiati Crispy Horns, del funambolo Adamski, al synth analogico, del leggendario bassista George Oban e di un pioniere della dancehall quale Jazzwad. Per giunta ascolterete un disco dall’istinto variabile, in cui i ritmi in levare pur rappresentando la costante non ne costituiscono l’elemento formativo. Quello che scorre in superficie è un fiume limaccioso, tradotto in musica un breakbeat mutante, in cui elementi di musica trance e suoni da una giungla retro-futurista si alternano in spirali catartiche.
I 30 anni della On-U Sound
Una serie di ristampe e la pubblicazione di un disco inedito faranno da corollario all’evento, che verrà idealmente spalmato nelle settimane a cavallo tra fine marzo ed inizio aprile. I tre classici ripubblicati sono rispettivamente il debutto omonimo dei New Age Steppers, la pietra miliare dei Creation Rebel (Starship Africa) e l’ormai rarissimo Off The Beaten Track degli African Head Charge. Tutti i lavori sono stati puntualmente remasterizzati e aldilà degli evidenti contenuti innovativi d’epoca, abbiamo la certezza di assaporare una vera e propria alchimia da studio, in cui la scienza della post-produzione sembra materia addirittura marziana.
Off The Beaten Track del 1986 rimane un capolavoro, non fosse altro per la presenza di due mostri sacri quail Skip McDonald (chitarra) e Jah Wobble (basso). Un disco così fluido da rappresentare uno standard qualitativo unico nel genere.
Altra pietra d’angolo è l’omonimo New Age Steppers del 1981. Un cast spettacolare a tenere le fila di questo ambizioso progetto, che flirtava con cultura post-punk ed eredità jamaicana. La compianta Ari Up delle Slits, Mark Stewart, Style Scott dei Roots Radics ed una giovanissima figlia d’arte come Neneh Cherry, ne costituivano il fluttuante organico. La ripresa del classico Fade Away di Junior Byles, rappresentò un vero e proprio exploit commerciale per On U Sound stessa, un singolo che fece breccia nelle classifiche indipendenti del tempo.
Starship Africa dei Creation Rebel è il disco più vecchio del lotto, concepito addirittura nel 1978 da Sherwood in combutta con Charlie ‘Eskimo’ Fox, ‘Crucial’ Tony e Dr Pablo, in pratica la prima sezione ritmica ufficiale del marchio di casa. Tornare sui solchi – digitali – di questi dischi è atto dovuto. La coscienza di molti artisti e dj contemporanei – non fosse ultima l’esperienza del dubstep – deve moltissimo al ruolo spartiacque di questa gloriosa etichetta.
17/02/11
Il ritorno di Easy Star All Stars "First Light"
Nelle 13 canzoni che compongono il nuovo album, trovano spazio 12 originali ed una dub version, mentre tra gli ospiti si segnalano le presenze di The Meditations, Cas Haley (di cui abbiamo recentemente apprezzato il debutto solista), Junior Jazz, Lady Ann e Tony Tuff. Si tratta di un'ennesima ripartenza e della dimostrazione palese di come EasyStar All Stars non si ponga limiti di sorta, nel proseguire la sua campagna 'mediatica'. Le sorprese sono sempre e comuqnue dietro l'angolo, nel frattempo godiamo di questa nuova offerta, concepita con tutti i crismi della spiritualità di deriva jamaicana.
15/02/11
Tape The Radio
La band viene alla luce nel marzo del 2008, quando il bassista Ben Caruso lascia la natia San Francisco pr mettersi in squadra col batterista canadese Bryan Mclellan ed il londinese Malcolm Carson, che ricopre il duplice ruolo di cantante/chitarrista. Non ci sono mezzi termini all’inizio: l’importante è arrivare, pur di vivere trincerati in studio. A Deptford si svolgono le operazioni, in un quartier generale che ha tutto meno che il comfort dei luoghi sacrali dediti al marketing più rampante. Tape The Radio si guadagnano presto la nomea di hardest working band in town, non solo per le giornate spese a costruire un’ideale scaletta, ma anche per i numerosi live che per tutto il 2010 saranno non solo motivo di grande orgoglio, ma concreto lasciapassare per gli ambienti commerciali che contano. Aprire per Band Of Skulls, Plan B, The Noisettes, Athlete e Stereophonics, sarà la strada più breve al grande pubblico. ‘Our Love Is A Broken Heart’ è il terzo singolo pubblicato dalla band, prodotto da Jim Lowe e mixato da Alan Moulder (The Killers, Depeche Mode, My Bloody Valentine) ) ed inaugura un periodo particolarmente felice per la band, che dopo aver raccolto numerosi spot sul magazine NME e su BBC 6 Music, sembra pronta al cosiddetto salto di qualità. Confermato lo stesso team di produttori dell’ultimo fortunato singolo, la band sta apponendo gli ultimi tocchi al debutto lungo, programmato per la primavera del 2011, nel frattempo una serie di apparizioni in terra italiana previste per Aprile vi aiuteranno a prendere confidenza con il brillante ed astuto pop romantico del trio, immerso negli anni ’80 ma dotato di una visione quanto mai contemporanea.
09/02/11
Il nuovo disco di Marco Parente in uscita a Marzo
I brani di “La Riproduzione Dei Fiori” sono tutti scritti da Marco Parente.
Questa la track- list del disco:
“IL DIAVOLACCIO”
“LA RIPRODUZIONE DEI FIORI”
“C'ERA UNA STESSA VOLTA”
“SEMPRE”
"LA GRANDE VACANZA”
“BAD MAN”
“L'OMINO PATOLOGICO”
“Dj J”
“IL DIAVOLO AL MERCATO”
“SHAKERA BEI
“DARE AVERE”
07/02/11
Kode9 And The Spaceape - Black Sun (Hyperdub Records)
E lo spazio siderale sembra ancor più vicino nelle effusioni sintetiche di Kryon che vedono la presenza del mago Flying Lotus. Un commiato che rinsalda la seconda prova sulla lunga distanza di Kode 9, vera giostra del ritmo robotico.
Panda Bear - Tomboy (Paw Tracks)
Dopo una manciata di singoli pubblicati da etichette ‘speciali’ come Kompakt, Fat Cat, Paw Tracks e Domino, il terreno era fertile per il ritorno maggiore. Pensando paradossalmente alla produzione grassa di tripudi alternative-rock come Nirvana e White Stripes, Noha sceglie un focus diverso, optando per una grana sonora più robusta. E’ come parcheggiare in mansarda le tentazioni lo-fi per aprire i canali radiofonici e farsi cullare dalle onde FM. Ecco perché l’R&B è l’altra soluzione, per un disco propriamente stratificato. E sapete quanta musica ha ascoltato il ragazzo in vita sua? Esatto, a metterli insieme tutti quei nomi si rischierebbe di redigere un’enciclopedia indipendente. La buona notizia è che lo spirito di sintesi è ancora l’arma in più, un lasciapassare per le terre del sapere audiovisivo.
1. You Can Count On Me 2. Tomboy 3. Slow Motion 4. Surfer's Hymn 5. Last Night At The Jetty 6. Drone 7.Alsatian Darn 8. Scheherazade 9.Friendship Bracelet 10. Afterburner 11. Benfica
01/02/11
Wild Palms, a Marzo l'album di debutto su One Little Indian
L’attesa è terminata, finalmente una delle più carismatiche formazioni indie inglesi arriva all’debutto. Già depositari di un immaginario esotico, i Wild Palms mettono in discussione le regole della wave britannica, liberando solari melodie post-punk che danno profondità e colori diversi a quella che è stata la grande stagione Factory. Con la produzione di Gareth Jones (Grizzly Bear/ Depeche Mode/ These New Puritans), ora stabilmente in formazione anche nel ruolo di bassista, i quattro sigillano l’uscita sulla lunga distanza con un programma di canzoni sublimi, pop-chiaroscurale, forsennato o ingentilito a seconda dell’umore del momento. Il carismatico vocalist Lou Hill è stato un enfant prodige del circuito garage londinese, mentre il chitarrista originario di Chatham Darrel Hawkins è un adoratore di Billy Childish. Chiudono la formazione l’indemoniato batterista James Parish e l’elegante Gareth Jones. Lo scenario di questa comunione stilistica è a Southgate, North London, anno del signore del 2007. Sono le passioni comuni a muovere in primis il gruppo, desideri e tentazioni artistiche da ricondurre ad un unico comun denominatore, puntando ad una progressiva evoluzione. Ed è proprio la scrittura a fare la differenza rispetto al sottobosco delle numerose indie band d’oltremanica. Un senso di drammaticità ed un dinamismo che sembra avere le movenze di un documentario autorale, sono alla base delle manifatture del gruppo. Quelle dei Wild Palms sono creazioni da indossare, vestiti per l’anima, delizie neo-romantiche. "Until Spring" diviene così una serena escursione di carattere wave, abbellita da una penna che non preclude tocchi di classe e sottili divagazioni sul tema. Per nulla intenzionati ad adagiarsi sugli allori i Wild Palms, proprio per rendere ancora più lussureggiante il loro suono hanno aggiunto una seconda chitarra nella figura di Bobby Krilic, elemento di spicco in vista dell’imminente tour europeo. Coglietene i frutti ora, prima dell’esplosione planetaria.