Sorpresa, tripudio: il disco solista di Jason Simon è poco meno di un capolavoro, una prepotente immersione nei meandri della roots music americana, un'escursione nel deserto del folk più acido. E' in effetti un disco che semina aromi di frontiera, in ogni suo passaggio, nei fraseggi acustici come nei momenti elettrici. Un debutto che lo affranca dalla formazione madre Dead Meadow, con la quale ha contribuito non poco a ridefinire passaggi cruciali del nuovo hard rock, ricoprendo il doppio ruolo di cantante/chitarrista. Adorati tra i seguaci dello stoner rock, ma anche supportati nei circuiti indie (si pensi all'associazione con Matador), i Dead Meadow hanno sempre liberato effluvi psichedelici dal loro sound. Quello che Jason realizza in questo album è un puro distillato di canzoni lisergiche, seppur in punta di piedi. La sua musica si abbevera alla fonte santa di Leonard Cohen e Townes Van Zandt, recuperando anche il versatile stile chitarristico del geniale Sandy Bull. Non c'è alcuna velleità ritmica, l'intima dimensione dell'omonimo debutto è affare per menti elastiche, una carezzevole estasi sonora che ci instrada sulle antiche rotte dei menestrelli a stelle e strisce.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento