"Neon Mirage": con questo nuovo titolo si ripresenta Stan Ridgway, una delle voci americane più significative degli ultimi 30 anni, chansonnier autentico che ha cavalcato il vento della new wave più sotterranea per poi dar vita ad una sfavillante carriera solista. Da tempo l’incantesimo si è compiuto, i suoi Wall Of Voodoo riprendevano la Ring Of Fire di Johnny Cash, oggi Stan con il suo immaginario si avvicina sempre più a the man in black, mostrando peraltro un maggior eclettismo dal punto di vista compositivo. Merito della sua versatilità come musicista ed arrangiatore. "Neon Mirage" offre già un senso di quello che sarà il corpo tematico del disco, un miraggio metropolitano che prende vita attraverso brani dal taglio diverso. Canzoni folk, ballate nere come la pece, momenti di esotismo moderno, jazz in punta di piedi, hillbilly al rallentatore, country-blues da fine intellettuale. C’è lo Stan che abbiamo imparato a conoscere ed altro ancora, tanto che "Neon Mirage" è una di quelle imprevedibili scatole cinesi che nasconde chissà quali meraviglie. Un disco da assaporare lentamente, come i buoni vini. Da un quasi traditional che odora di estese praterie come "This Town Called Fate" alla giostra di sentimenti di "Desert Of Dreams", quasi un luna park illuminato a giorno con un orchestrina che si esibisce all’ingresso. Dagli organetti addirittura psichedelici della title track alla cover in punta di piedi di "Lenny Bruce" (dedicata al comico/cabarettista newyorkese) originariamente firmata Bob Dylan. Un universo che si riflette nella voce unica di Stan, menestrello che non pone certo limiti alla sua arte.
Stan Ridgway "Lenny Bruce"
Stan Ridgway "Lenny Bruce"