In assoluto tra i più grandi esponenti del post-punk americano – fate pubblica ammenda se non avete mai ascoltato ‘Academy Fight Song’ o ‘That’s When I Reach For My Revolver’ – i Mission Of Burma sono da qualche anno ritornati prepotentemente sulle scene, licenziando una serie di lavori che ne hanno decretato lo status di virtuosi nel mondo del pop rumoroso. Con 'Unsound' cambiano label ma non sostanza, dopo la fruttuosa partnership con Matador è oggi l’inglese Fire a curarne gli interessi. E luglio sarà un mese ancor più arroventato con un disco di queste proporzioni nell’autoradio, una di quelle bombe a orologeria destinate a cambiare in meglio la vostra stagione.
Confermati Roger Miller (chitarra
e voce), Clint Conley (basso e voce) e Peter Prescott (batteria e voce), i tre bostoniani
si dividono equamente i compiti come interpreti ed autori. Il quarto uomo è un
abitudinario: Bob Weston degli Shellac, produttore esecutivo ed addetto ai tape
loops. E’ forse l’album che non ti aspettavi ‘Unsound’, messa da parte ogni
intenzione riflessiva i Mission Of Burma vengono fuori alla distanza con uno
dei loro album più duri e cervellotici.
L’intensità in prima fila,
sorretta da stacchi sincopati e geometrie spesso impossibili, confortando anche
i cultori del rock matematico che in loro individuavamo una lontana discendenza.
E’ il quinto studio album e a 10 anni da quella clamorosa reunion, sembra che
il tempo si sia come per magia arrestato. Brani come Dust Devil e Add In Unison
sono simbolici del nuovo corso, materia grigia al servizio dei muscoli, in una
presa coscienziosa ma elettrizzante di tutto il substrato dopo-punk. C’è
praticamente di tutto in questi solchi, oltre 30 anni di underground a stelle e
strisce, dal noise al college-rock passando per il math. L’attualità di un
gruppo capace ancora di sferragliare senza sosta sulle strade più accidentate
della musica alternativa, lunga vita ai Mission Of Burma!
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