Un piccolo miracolo è quello che
si compie con ‘There’s No Leaving Now’ il ritorno in scena del cantastorie
svedese Kristian Matsson, ai più noto con il nome d’arte di The Tallest Man On
Earth. Una placida realtà è quella che
ci sfiora nel suo terzo album da studio, pubblicato con tutte le attenzioni del
caso da Dead Oceans, che non ha mai smesso di supportare questo talento classe
’83. Continua a muoversi con destrezza tra chitarra, banjo e pianoforte,
confortando la sua vena pop con elementi di sacrale classicità.
Compositore in proprio che
preferisce ai suntuosi arrangiamenti un approccio di gran lunga intimista, il
nostro ha sempre usato la lingua inglese come veicolo delle sue storie. Al 2006
risale il suo debutto, a distanza di oltre un lustro è uno dei nomi più
considerati di tutta la filosofia folk-pop. Di lui cattura l’entusiasmo, la
schiettezza. Canzoni come bozzetti, una condizione privata che entra nella nostra
quotidianità in punta di piedi.
La figura più vicina a Kristian
sembra essere quella del giovane Dylan, l’abilità compositiva dei due è infatti
paragonabile. The Tallest Man on Earth è noto anche per la sua presenza scenica,
un magnetismo che unitamente alla sua voce ne hanno fatto figura carismatica
nell’universo indie. Dopo aver aperto i concerti di altre anime affini come John
Vanderslice e Bon Iver, il cantautore svedese è pronto a raccogliere con
There’s No Leaving Now quanto di buono seminato ad oggi. Dettagliato pur nella sua
estetica asciutta il nuovo disco si illumina in torch-song dall’intensità
unica, dalla title-track a Revelation Blues, passando per la conclusiva On
Every Page, una sorta di flamenco occidentale che dice dell’estrema caparbietà
del nostro, nello scrivere canzoni che vanno a scolpirsi nella memoria collettiva.
In autunno lo vedremo nel nostro paese, sarà un’esperienza.
Nessun commento:
Posta un commento