Spesso il colpo di coda è riservato alle battute finali di un libro o di un lungometraggio. Nel nostro caso i Comet Gain realizzano con "Howl Of The Lonely Crowd", il loro miglior album, punto. Con una produzione pop ed al contempo roboante curata da due vecchie volpi quali Edwyn Collins e Ryan Jarman di The Cribs, questi inglesi doc si riprendono lo scettro di leader indiscussi del movimento dream pop. Con buona pace di colleghi vicini e lontani. Guidati dal talento cristallino di David Feck i nostri sono da sempre stati capo fila di un movimento che proprio dalla musica britannica degli ’80 prendeva le mosse. Nel cuore Sarah Records, Factory e C-86, ma anche la Rough Trade degli anni ruggenti. Considerati a ragione una delle più ispirate formazioni del sottobosco pop inglese, informate comunque dall’etica del do it yourself e dalla filosofia del dopo-punk, i nostri sono anche migrati oltreoceano per scendere a patti con l’influente Kill Rock Stars di Slim Moon. Hanno in seguito inciso per Track & Field e What’s Your Rupture, prima di siglare un nuovo accordo con Fortuna Pop. Con David Charlie Feck (voce e chitarra) c’ l’ex-Huggy Bear (ricordate lo split spartiacque con Bikini Kill?) Jon Slade alla chitarra, Rachel Evans (voce), Kay Ishikawa (basso) e l’ ex-batterista di Morrissey e Meteors Woodie Taylor. Chiudono il cerchio le presenze di Anne Laure Guillain (tastiere) e Ben Phillipson dei The Eighteenth Day Of May (chitarra). Prendendo spunto da generi diversi: dalla stagione dei gruppi al femminile dei sessanta all’Americana, dal post-punk inglese alla più morbida psichedelia, i nostri non hanno poi nascosto la fascinazione per il cinema della nouvelle vague, cogliendo in quell’immaginario anche definiti spunti stilistici. E’ la loro stessa estetica che ha folgorato gruppi come The Make-Up, The Yummy Fur, Jens Lekman e gli Herman Dune, fino ad arrivare ad una sfilza di talenti contemporanei come Male Bonding, Love Is All, Veronica Falls e gli stessi Crystal Stilts (compagni odierni di scuderia). Detto che in quest’album c’è lo zampino in post-produzione di Brian O’Shaughnessy (My Bloody Valentine, Primal Scream) e di Alasdair Maclean dei Clientele, avrete il quadro completo di un disco che raggiunge certo la perfezione formale, ma conservando una freschezza nella scrittura che è cosa da pochi eletti. Che sia questa la volta buona per l’exploit su vasta scala?
23/05/11
Comet Gain, ritorno col botto
Spesso il colpo di coda è riservato alle battute finali di un libro o di un lungometraggio. Nel nostro caso i Comet Gain realizzano con "Howl Of The Lonely Crowd", il loro miglior album, punto. Con una produzione pop ed al contempo roboante curata da due vecchie volpi quali Edwyn Collins e Ryan Jarman di The Cribs, questi inglesi doc si riprendono lo scettro di leader indiscussi del movimento dream pop. Con buona pace di colleghi vicini e lontani. Guidati dal talento cristallino di David Feck i nostri sono da sempre stati capo fila di un movimento che proprio dalla musica britannica degli ’80 prendeva le mosse. Nel cuore Sarah Records, Factory e C-86, ma anche la Rough Trade degli anni ruggenti. Considerati a ragione una delle più ispirate formazioni del sottobosco pop inglese, informate comunque dall’etica del do it yourself e dalla filosofia del dopo-punk, i nostri sono anche migrati oltreoceano per scendere a patti con l’influente Kill Rock Stars di Slim Moon. Hanno in seguito inciso per Track & Field e What’s Your Rupture, prima di siglare un nuovo accordo con Fortuna Pop. Con David Charlie Feck (voce e chitarra) c’ l’ex-Huggy Bear (ricordate lo split spartiacque con Bikini Kill?) Jon Slade alla chitarra, Rachel Evans (voce), Kay Ishikawa (basso) e l’ ex-batterista di Morrissey e Meteors Woodie Taylor. Chiudono il cerchio le presenze di Anne Laure Guillain (tastiere) e Ben Phillipson dei The Eighteenth Day Of May (chitarra). Prendendo spunto da generi diversi: dalla stagione dei gruppi al femminile dei sessanta all’Americana, dal post-punk inglese alla più morbida psichedelia, i nostri non hanno poi nascosto la fascinazione per il cinema della nouvelle vague, cogliendo in quell’immaginario anche definiti spunti stilistici. E’ la loro stessa estetica che ha folgorato gruppi come The Make-Up, The Yummy Fur, Jens Lekman e gli Herman Dune, fino ad arrivare ad una sfilza di talenti contemporanei come Male Bonding, Love Is All, Veronica Falls e gli stessi Crystal Stilts (compagni odierni di scuderia). Detto che in quest’album c’è lo zampino in post-produzione di Brian O’Shaughnessy (My Bloody Valentine, Primal Scream) e di Alasdair Maclean dei Clientele, avrete il quadro completo di un disco che raggiunge certo la perfezione formale, ma conservando una freschezza nella scrittura che è cosa da pochi eletti. Che sia questa la volta buona per l’exploit su vasta scala?
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento