Benvenuti
nel 2013, il primo anno dell’era post-thatcheriana. Così come si affretta a
definirlo il druido Julian Cope, che pur immerso nella sua contemplazione
primitivista mai si è ritratto di fronte alle analisi di puro stampo socio-politico.
Per lungo tempo rinviato, il nuovo disco del vate neo-psichedelico si
materializza in un doppio cd, che porta l’amletico titolo di ‘Revolutionary
Suicide’, guarda caso uno dei testi più celebrati dell’intellettuale di colore
Huey P. Newton, una delle voci più attendibili della controcultura americana. Gli
undici brani del disco sono vivaci ed orchestrali, accompagnati da un impianto
testuale vigoroso. L’attivismo e la protesta mai come in questi giorni sembrano
echeggiare nel turbolento occidente, ma anche ai confini più orientali, un moto
che Cope ha colto ed ha voluto trasporre in temi musicali, ricchi anche dal
punto di vista storico.
Potrete
ascoltare forse una delle più fantasiose ed epiche composizione dell’arcidruido
in questa doppia fatica: ‘The Armenian Genocide’, una denuncia già nell’esplicito
titolo. Ci sono poi gli aspetti bucolici e le liriche devote di ‘Hymn to the
Odin’ ed il soul della Motorcity Detroit con tutta la sua urgenza politica
nella traccia che da il titolo al disco. Nuovi poemi? Eccoli! Nuovi concetti? Non dovete chiedere altro! Nonostante
quanto predetto dai Maya siamo ancora qui, come se quanto detto in passato
fosse una preparazione a nuovi anni esplosivi. Cope ha ancora colto il senso
delle profezie, anticipando una nuova era barbarica fatta di cambiamenti.
Ancora una visone ancestrale che trova appigli nel futuro remoto, il nostro
vate non finisce mai di smentirsi.
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