27/06/13

Fotografie della primavera turca: Esmerine



Quando gli Esmerine sono ritornati in superficie con ‘La Lechuza’ nel 2011, l’album ha evidenziato immediatamente nuovi tratti salienti: aldilà del ritorno in scena dopo sei anni di assenza, c’è stato l’adeguamento ad una formazione più ampia con un ciclo di canzoni direttamente ispirato dalla scomparsa di un musicista ed amico comune. La cosa che forse non è apparsa immediatamente chiara è stato l’inizio di un nuovo ciclo per la band, attraverso meccaniche e stilemi compositivi più avventurosi.

Dalmak’ è in questo senso una conferma, gli orizzonti si sono allargati e le traiettorie della band appaiono ora più nitide, puntando  in alto, verso composizioni dal più ampio respiro, imparentate con la musica classica quanto con la world ed il pur sereno praticantato post-rock cui furono associati all’esordio. Bruce Cawdron (marimba) si ritira ufficialmente dal ruolo di batterista coi Godspeed You! Black Emperor nel 2012, concentrandosi unicamente sulle ‘forme’ concepite assieme alla co-fondatrice Rebecca Foon (Silver Mt. Zion, Set Fire To Flames). Alla collaudata coppia si uniscono il percussionista Jamie Thompson (Unicorns, Islands) ed  il polistrumentista Brian Sanderson in veste di membri ufficiali, per saldare la nuova unione e lavorare di concetto al nuovo materiale da studio.

Il tour europeo consumato a cavallo tra il 2011 ed il 2012 ha portato il gruppo ad esibirsi in un’ ancora pacificata Istanbul, dove l’accoglienza entusiastica ha portato la band ad ottenere un residenza artistica nella città.  Dalmak’ è così il frutto di quella visita: la maggior parte del materiale è stato proprio registrato in Turchia, dove i quattro canadesi sono stati raggiunti da un cospicua rappresentanza di musicisti locali come: Hakan Vreskala, Baran Aşık, Ali Kazim Akdağ, James Hakan Dedeoğlu, impegnati in strumenti a corda e percussioni.

Dalmak è un verbo turco dai molteplici connotati: il contemplare, l’essere assorbiti, l’immergersi, il correre verso, etc. Letteralmente parlando il nuovo album degli Esmerine denuncia la totale immersione dei nordamericani nella cultura e nella musica locale. Il risultato è sensazionale. Un suono dai toni ancestrali, in cui culture millenarie rivivono nel solco di un ritmo urbano, meditazione e dettagli ritmici in un corpo unico e solenne. Scelte che potrebbero anche rimandare ai viaggi di Don Cherry nell’ex-impero ottomano, ma anche degli incontri tra Philip Glass e Ravi Shankar,  perché no?


Le registrazioni sono state inaugurate da Barkin Engin e Metin Bozkurt in quel di Istanbul, gli Esmerine hanno qui inciso le tracce basse atte a fornire il cuore ritmico del disco: ‘Lost River Blues’, ‘Barn Board Fire’ e ‘Translator's Clos’. Marimba, violoncello, batteria, banjo tenore, basso  e tromba sono aumentati dall’utilizzo di strumenti etnici come bendir, darbuka, erbane, meh, barama, saz e dalla chitarra elettrica di alcuni piccoli eroi locali, quasi sulla scia dell’Hendrix del Bosforo: Erkin Koray. Le registrazioni sono poi proseguite in quel di Montréal presso il Breakglass Studio con l’ingegnere del suono Jace Lasek (Wolf Parade, The Besnard Lakes, Suuns), dove Cawdron e Foon hanno arrangiato i pezzi più compositi: ‘Learning To Crawl’ e ‘White Pine’. E’ proprio qui che si è completato questo piccolo grande capolavoro, l’ennesimo punto esclamativo in una carriera tutta in discesa.







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