Sono passati 4 anni
da quando il primo album dei Volcano Choir ‘Unmap’ ha causato una piccolo
rivoluzione underground, regalando frutti inediti in una collisione di stili
che rispettasse le esigenze e le caratteristiche di entrambe le personalità in
campo. Le idee furono buttate giù a distanza e successivamente coagulate in un
sopraffino lavoro di studio; una creatura che ha iniziato a prendere forma
progressivamente, un lavoro di cut & paste impercettibile per le orecchie
meno allenate, ma un vero e proprio miracolo dove la tecnologia si è sovente
piegata al volere dell’uomo.
‘Unmap’ è stato un
esperimento lussurioso per usare una metafora, è stato scritto utilizzando le
diavolerie dei moderni software, con un fitto scambio di file poi
concretizzatosi nell’incontro definitive tra le parti in causa, in filo diretto
da un’estremità all’altra del Wisconsin. Un progetto, per l’appunto, prima che
i Volcano Choir divenissero a tutti gli
effetti una band ufficiale. Una’rea di condivisione per amici, in cui
esplorare diversi territori musicali, senza piani prestabiliti o preconcetti di
sorta. Libero sfogo alle proprie esigenze, un flusso ideale che avrebbe portato
ad un abbondanza di minuti in musica scritta, portando alla naturale definizione di una nuova
identità.
Questa è la premessa
necessaria d introdurre ‘Repave’ che esce questo settembre per Jagjaguwar. I
responsabili dell’etichetta unitamente ai protagonisti si raccomandano di non
usare il termine ‘supergruppo’ e di lasciar decadere definitivamente la nomenclatura
‘collaborativa’. Difficle però trovare un luogo ed un tempo per dare un
successore a quel fenomenale esordio, un paradosso se pensiamo che i Volcano
Choir hanno avuto anche modo di andare in tour in Giappone.
Eopure nel corso di
3 anni le idee si sono affastellate ed i nostri sono di nuovo a bordo di una
macchina spazio-temporale. Justin Vernon (altrimenti noto come Bon Iver), Jon
Mueller (un artista davvero fenomenale, che oltre ai Collection Of Colonies Of
Bees è tenutario di alcuni stuopendi album dai tratti minimali per Type) ,
Chris Rosenau (anche lui nei COCOB, un passato che parla chiaro rispetto alle
fascinazioni post rock – Pele – ed un presente vagamente improntato
all’improvvisazione rock), Jim Schoenecker (COCOB, ed innumerevole collaborazione
in area impro), Daniel Spack (COCOB) e
Thomas Wincek (COCOB).
‘Repave’ è così il
suono di musicisti finalmente confidenti con la propria materia, capaci di
guardarsi in volto ed abbracciare una comunione stilistica. Nuove partenze,
nuovi arrivi. Tutto sembra più compiuto in questo disco, corale e attaccato
alle forme più celestiali di canzone popolare. Declinate secondo l’american
way. C’è molto ambiente, pur se qualche brano punta su tambureggianti refrain.
E’ una musica che germoglia finemente, abbeverandosi a sacre fonti. Siamo
lontani dal cash & carry comunemente associato ai fenomeni indie. Sono
movimenti folk concepiti come parabole orchestrali. Non c’è più un singolo uomo
alla guida ed anche la vocalità abbracciata dal gruppo dice di un manifesto
globale, in cui i protagonisti prendono a turno il sopravvento sulla scena. Recitando
un verso, collezionando riff, inserendo break armonici e sfiorando con grazia
le percussioni.
Brani che sembrano
già abbeverarsi alla fonte dei classici, come'Alaskans', 'Acetate' ed il pezzo
forte dell’album, la conclusiva 'Almanac'. Chimatelo folk-progressivo o musica
dagli intenti celestiali, certo è che Il suono dei Volcano Choir è oggi una
delle più credibili evoluzioni del cantautorato Americano, preso tra i fuochi del dopo-rock e della
musica contemporanea. Inimitabili per definizione.
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