Permanent Signal: una condizione in cui una linea POTS (del
vecchio servizio telefonico) rimane senza connessione per un lungo periodo di
tempo. E’ quasi un termine di riferimento per Mauro Remiddi, una riflessione
che separa il periodo di concepimento tra il nuovo album ed il precedente ‘Strange Weekend’, il debutto per Secretly
Canadian del produttore e poli-strumentista con l’alter ego Porcelain Raft. Un
seguito quanto meno articolato in cui il musicista di origine capitolina lascia
intravedere progressioni strutturali importanti. Dodici anni spesi nella
rutilante Londra ed un soggiorno newyorkese – suo nuovo domicilio – che ha
tagliato la soglia fatidica dei due anni. Esperienze di vita che hanno
contribuito a plasmare il carattere del nostro, al centro di una vera e propria
‘internazionale’ indie.
Da non trascurare peraltro un tour internazionale, cruciale nel
trasportare le sue vitali creazioni da studio sui palchi di mezzo mondo. Per
questa nuova fatica incamera collaboratori di riconosciuta esperienza come Jonny
Rogoff degli Yuck alla batteria, Darby Cicci
degli Antlers al basso (che ha prestato anche la sua voce ed una sognante
tromba, oltre alla sue capacità di ingegnere del suono, mettendo a disposizione
lo studio della band madre in quel di Brooklyn ) e la violoncellista Gaspar
Claus (frequente collaboratrice di Sufjan Stevens e Bryce Dessner dei National).
Il suono di Porcelain Raft è oggi più
rotondo e definito, immediatamente riconoscibile. E’ un disco questo che
pretende di essere ascoltato nella sua interezza. La grana dei brani è a dir
poco solenne, copiosi arrangiamenti per un impianto solare che mai come prima
diventa cifra stilistica.
Si parte con ‘Think Of the Ocean’, dove l’immensità dei mari
è il panorama ideale in cui perdersi. E’ pop cosmico, in cui ricordi ancestrali prendono la via di
orizzonti nuovi, inesplorati, supportati da frangenti cameristici, dove gli
archi sembrano riprendere le esperienze più intime di casa 4AD. Ma una delle
figure che sembra informare il Remiddi di oggi è probabilmente quella di Thom
Yorke, nei suoi panni solisti, nelle produzioni parallele al gruppo
d’appartenenza. Ci sono analogie nella ricerca di un perfezionismo estetico,
che mai abbandona i tratti della forma canzone. Ecco che ‘Cluster’ sembra
illuminata dalle stesse radiazioni degli autori di ‘Amnesiac’, allora persi
nell’emisfero Warp. Anche se il papabile singolo potrebbe essere ‘Minor
Pleasure’, un qualcosa di profondamente britannico, come dei tardi Spacemen 3
persi nell’onda big beat. Un riempipista per antonomasia, un brano che potrebbe
scalfire gli stessi concetti essenziali di brit-pop.
La melodia è anche centrale nell’assortimento chitarristico
di ‘Night Birds’, forse una delle più credibili variazioni sul tema shoegaze,
mentre l’ elettronica dal taglio più spacey
sembra insinuarsi tra le pieghe di ‘It Ain’t Over’. Anche il piano di
‘Warehouse’ appare come uno sposalizio metafisico nell’alto dei cieli, una
metafora della canzone d’autore attraverso arrangiamenti soavi. ‘Permanent Signal’ contrariamente al titolo
indica una comunicazione decisa, spontanea e continuativa, dove Porcelain Raft
è protagonista assoluto di una delle migliori performance pop della stagione.
Una musica che guarda al futuro, rispettando un passato accomodante.
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