Dopo l’acclamata pubblicazione di New History Warfare Vol. 2: Judges – sempre per etichetta Constellation – il nome di Colin Stetson ha iniziato a girare più insistentemente non solo nei circoli avant, ma anche in quell’universo indie popolato da musicisti comunque coraggiosi e pronti al confronto. Da sempre coi piedi in due staffe, Colin si è dimostrato tra i più autentici eredi della filosofia musicale di Anthony Braxton, utilizzando il suo sax baritono in maniera creativa, ricorrendo spesso all’utilizzo della polifonia, in modo da trasformare una prova in solo in un’orchestrazione molto più grintosa ed esaustiva.
Avendo associato il suo nome a
quello di Laurie Anderson, Arcade Fire e Bon Iver, Colin si è ricavato uno
spazio vitale anche nell’area del pop d’autore, portando a termine fruttuose
collaborazioni anche nell’ottica delle sue produzioni soliste. Se nell’album
precedente erano la stessa Laurie Anderson e My Brightest Diamond ad
affacciarsi con personalità, in questo
New History Warfare Vol. 3: To See More Light l’unico ospite è Justin
Vernon/Bon Iver, presente in 4 tracce del disco. Registrato dal vivo in presa
diretta utilizzando numerosi microfoni posizionati in maniera strategica,
l’album gode ancora della prodigiosa produzione di una affermato ‘tecnico’ come
Ben Frost.
Il brano centrale attorno a cui
si snoda l’intera opera è la composizione di 15 minuti a titolo "To See
More Light". Si tratta in assoluto del brano più lungo e possibilmente più
heavy registrato da Stetson: un tour de force in cui le tecniche estese
prendono il sopravvento, dagli arpeggio ostinati alla respirazione circolare,
attraverso vocalizzi accentuati attraverso la stessa ancia. Tradotto in altri
termini, questo sembra il tributo del musicista canadese ad una forma di metal
estremo. Un aspetto determinante a quanto pare nel completamento del disco, se
è vero che la furia quasi hardcore di "Brute" (con le spaventose urla
di Justin Vernon in sottofondo) e l’impossibile grindcore ambientale di "Hunted" vanno ad incidere proprio
in quella direzione. Altrove torna lo spirito minimale dell’artista, con
aperture quasi soulful, come nell’opener "And In Truth" (dove le
armonie vocali di Vernon sono immediatamente riconoscibili), nella cover di un
gospel a firma Washington Phillips "What Are They Doing In Heaven
Today" e in quella "Who The
Waves Are Roaring For" che per assurdo sarebbe potuta entrare nel repertorio
proprio di Bon Iver.
Una di quelle conferme attese, lo
specchio di un musicista che messo da parte ogni virtuosismo spinge ad un
rinnovamento generazionale, che sicuramente investirà con grande forza anche la
critica jazz più abbottonata.
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