Ispirato dal romanzo di Paolo Giordano – La solitudine dei Numeri Primi – e forte del contribuito all’omonima colonna sonora – Mike Patton ci regala con The Solitude of Prime Numbers un disco che trascende l’idea stessa di soundtrack.
I suoi pensieri sono spalmati in 16 tracce e gli esperimenti sonori che caratterizzano l’opera si spingono ben oltre la sua fama di ossessivo produttore e ricercatore. In tutta la sfaccettata carriera di Patton questo è il disco dai toni più contemplativi, tanto che nelle parole dello stesso autore si parla letteralmente di una ‘dipartita sonica’. E’ Ipecac ad immettere sul mercato a novembre il risultato di questo sforzo congiunto, perchè Mike ha colto unitamente spunto dal libro come dalla pellicola, trovando un compromesso di sorta tra le pennellate d’inchiostro di Giordano e le immagini di Saverio Costanzo (figlio d’arte)
Cinefilo per definizione, Patton ha già dimostrato in passato di gradire l’accostamento tra il mondo della celluloide e lo sfaccettato universo musicale. Non a caso la deliziosa raccolta dedicata a Morricone – Crimes & Dissonance – usciva per la sua label, ed il nome di uno dei suoi progetti – il recente Mondo Cane – prende spunto dall’omonimo documentario di Gualtiero Jacopetti.
Entrando nello specifico, siamo al cospetto di un disco strumentale, in cui la voce di Patton è usata di rado ed in termini di pura effettistica, l’enfasi è sugli ambienti, glaciali, sinistri, come del resto indicato dai temi ricorrenti nel libro. Che pubblicato in Italia nel 2008, sfondò il tetto del milione di copie vendute, arrivando ad essere tradotto in ben 30 lingue. Del 2010 è invece l’omonimo film, un vero e proprio colpo allo stomaco, una sorta di reinterpretazione gotica di quelle stesse pagine. Patton ha così trovato terreno fertile in cui muoversi, avvezzo da decenni a tematiche spigolose (si pensi a quello stralcio di ordinaria follia che era Violenza Domestica, nel secondo lp dei Mr.Bungle Disco Volante) e sonorità non meno di confine (i due celebrati album sulla Tzadik di John Zorn, bagni in un’avanguardia cameristca).
Il disco è classificato con i 16 numeri primi, proprio per rispettare gli intenti del progetto. Ennesima riprova dello spirito peregrino di uno tra i più illuminati artisti contemporanei.
I suoi pensieri sono spalmati in 16 tracce e gli esperimenti sonori che caratterizzano l’opera si spingono ben oltre la sua fama di ossessivo produttore e ricercatore. In tutta la sfaccettata carriera di Patton questo è il disco dai toni più contemplativi, tanto che nelle parole dello stesso autore si parla letteralmente di una ‘dipartita sonica’. E’ Ipecac ad immettere sul mercato a novembre il risultato di questo sforzo congiunto, perchè Mike ha colto unitamente spunto dal libro come dalla pellicola, trovando un compromesso di sorta tra le pennellate d’inchiostro di Giordano e le immagini di Saverio Costanzo (figlio d’arte)
Cinefilo per definizione, Patton ha già dimostrato in passato di gradire l’accostamento tra il mondo della celluloide e lo sfaccettato universo musicale. Non a caso la deliziosa raccolta dedicata a Morricone – Crimes & Dissonance – usciva per la sua label, ed il nome di uno dei suoi progetti – il recente Mondo Cane – prende spunto dall’omonimo documentario di Gualtiero Jacopetti.
Entrando nello specifico, siamo al cospetto di un disco strumentale, in cui la voce di Patton è usata di rado ed in termini di pura effettistica, l’enfasi è sugli ambienti, glaciali, sinistri, come del resto indicato dai temi ricorrenti nel libro. Che pubblicato in Italia nel 2008, sfondò il tetto del milione di copie vendute, arrivando ad essere tradotto in ben 30 lingue. Del 2010 è invece l’omonimo film, un vero e proprio colpo allo stomaco, una sorta di reinterpretazione gotica di quelle stesse pagine. Patton ha così trovato terreno fertile in cui muoversi, avvezzo da decenni a tematiche spigolose (si pensi a quello stralcio di ordinaria follia che era Violenza Domestica, nel secondo lp dei Mr.Bungle Disco Volante) e sonorità non meno di confine (i due celebrati album sulla Tzadik di John Zorn, bagni in un’avanguardia cameristca).
Il disco è classificato con i 16 numeri primi, proprio per rispettare gli intenti del progetto. Ennesima riprova dello spirito peregrino di uno tra i più illuminati artisti contemporanei.
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