Molti degli appellativi superlativi
usati in riferimento ad Angel Olsen fanno fede alla sua capacità di lasciare
un’intera fetta di pubblico esterefatta. Quasi un incantesimo mirabolante sulla
piccola folla che assiste in genere ai suoi concerti. La Olsen non è stata mai
in realtà un personaggio timido, la sua tumultuosa espressività esce semmai
rafforzata da questa nuova fatica in studio. ‘Burn Your Fire For No Witness’, previsto
per febbraio su etichetta Jagjaguwar arriva così al compimento di una parabola
artistica in cui l’irruenza degli esordi è in qualche maniera cesellata dall’attenta
produzione di John Congleton (Paper Chase, Modest Mouse), capace di conferire
una nuova luce ed energia ai brani in scaletta.
E’ letteralmente una collezione di pezzi
maturata in oltre un anno di rotture sentimentali, viaggi e trasformazioni. Dopo
l’ Ep ‘Strange Cacti’, che aveva comunque
fatto intuire grandi potenzialità, è stato il tempo dell’esordio lungo ‘Half
Way Home’ (su etichetta Bathetic), dove
il coraggio di affrontare scelte più personali è stato elemento cardinale. Una
genesi che ha portato ad una maggiore apertura tematica. Un processo necessario
per conoscere meglio sè stessa e la sua arte, un mettersi a nudo che troverà
definitiva consacrazione nella nuova fatica sulla lunga distanza.
Un atto di autodeterminazione che
sarà un pò il leit-motiv in ‘Burn Your Fire For No Witness’. Un disco che
arriva come risposta subliminale alle tante disavventure che hanno costellato
la recente esistenza della cantautrice. Un suono che relativamente ai testi si
adegua ad una forma a tratti eterea, addirittura ipnotica, rivelando canzoni
dal cuore elettrico, capaci di sensibilizzare al primo accordo. Una
trasformazione che la Olsen ha voluto condividere con il proprio pubblico,
regalandoci puri momenti di grazia e tempestosità. Come nel singolo apripista ‘Forgiven/Forgotten’,
che sembra una delle migliori pagine uscite dal rock del Northwest degli anni
’90. Nella musica della Olsen rivive infatti lo spirito barbaro del post-grunge,
unitamente alle melodie dei sixties group. Una roba che farebbe impallidire gli
stessi Phil Spector e Jack Endino!
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