19/12/13

Angel Olsen: docile tempesta





Molti degli appellativi superlativi usati in riferimento ad Angel Olsen fanno fede alla sua capacità di lasciare un’intera fetta di pubblico esterefatta. Quasi un incantesimo mirabolante sulla piccola folla che assiste in genere ai suoi concerti. La Olsen non è stata mai in realtà un personaggio timido, la sua tumultuosa espressività esce semmai rafforzata da questa nuova fatica in studio. ‘Burn Your Fire For No Witness’, previsto per febbraio su etichetta Jagjaguwar arriva così al compimento di una parabola artistica in cui l’irruenza degli esordi è in qualche maniera cesellata dall’attenta produzione di John Congleton (Paper Chase, Modest Mouse), capace di conferire una nuova luce ed energia ai brani in scaletta.

E’ letteralmente una collezione di pezzi maturata in oltre un anno di rotture sentimentali, viaggi e trasformazioni. Dopo l’ Ep  ‘Strange Cacti’, che aveva comunque fatto intuire grandi potenzialità, è stato il tempo dell’esordio lungo ‘Half Way Home’ (su etichetta Bathetic), dove il coraggio di affrontare scelte più personali è stato elemento cardinale. Una genesi che ha portato ad una maggiore apertura tematica. Un processo necessario per conoscere meglio sè stessa e la sua arte, un mettersi a nudo che troverà definitiva consacrazione nella nuova fatica sulla lunga distanza.

Un atto di autodeterminazione che sarà un pò il leit-motiv in ‘Burn Your Fire For No Witness’. Un disco che arriva come risposta subliminale alle tante disavventure che hanno costellato la recente esistenza della cantautrice. Un suono che relativamente ai testi si adegua ad una forma a tratti eterea, addirittura ipnotica, rivelando canzoni dal cuore elettrico, capaci di sensibilizzare al primo accordo. Una trasformazione che la Olsen ha voluto condividere con il proprio pubblico, regalandoci puri momenti di grazia e tempestosità. Come nel singolo apripista ‘Forgiven/Forgotten’, che sembra una delle migliori pagine uscite dal rock del Northwest degli anni ’90. Nella musica della Olsen rivive infatti lo spirito barbaro del post-grunge, unitamente alle melodie dei sixties group. Una roba che farebbe impallidire gli stessi Phil Spector e Jack Endino!




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