Un altro imprinting in casa Light In The Attic, Future Days – nome liberamente ispirato dall’omonimo disco dei Can – ha per l’appunto il compito di riportare alla luce dischi di gran lunga in anticipo sui tempi. Il primo numero di catalogo è ‘The Black Gladiator’ di Bo Diddley, uno dei più solidi excursus elettrici del chitarrista-icona, dato alle stampe nel 1970. Uno dei nomi di punta del catalogo Chess negli anni ’50, Bo è da considerarsi tra i più grandi innovatori del vocabolario R&B. Con una serie interminabile di hits e brani coverizzati da Buddy Holly, Bob Seger e Grateful Dead il nostro entra di diritto nella rock’n’roll hall of fame, senza per questo rinunciare ad una fase di rinnovamento, che prenderà forma nei tardi ’60, all’indomani della cosiddetta british invasion.
Le direttive del mercato ed il gusto dei giovani d’epoca obbligano ad una svolta. Il rock si tinge di nero e viceversa: Sly and the Family Stone, Rare Earth e Rolling Stones dettano in qualche misura i tempi della nuova stagione, all’insegna della contaminazione. Chi si muove sulla stessa lunghezza d’onda di Bo Diddley è gente come Muddy Waters ed Howlin’ Wolf , che in quegli anni licenziano i seminali Electric Mud e The Howlin’ Wolf Album. Con la pubblicazione di The Black Gladiator il blues-rock si arricchisce di humor e sporche angolature funk. Indicativa anche la copertina, con il nostro in una divisa in pelle in salsa sadomaso, tanto da mettere in soggezione quell’ Isaac Hayes recentemente immortalato a torso nudo ed in catene su Stax. Feroci urli gospel, chitarre strappate, batterie grasse, un organo Hammond ed un duetto con Cookie Vee (Cornelia Redmond), questa è solo una parte del programma.
Non propriamente incensato al momento della sua uscita, il disco conserva il suo fascino innato e sarà ancora meta di pellegrinaggio per tutti i collezionisti di fat beats e rare grooves. Roba per intenditori, va da sé.
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