In occasione del quinto record store day – che quest’anno coincide anche con il natale di Roma - Goodfellas è lieta di celebrare l’evento con una pubblicazione esclusiva. Sotto il comune tetto di Mamma Roma Addio, alcune delle formazioni responsabili – attraverso linguaggi e metodi compositivi diversi - di quel recupero delle radici che ha segnato la nuova via alla canzone d’autore. Si parte con il manifesto Addio Roma – pubblicata in origine nel 1998 dai Recycle in compagnia del poeta Remo Remotti – anno zero di una nuova stagione ‘tematica’, per godere poi delle composizioni di Ardercore, BandaJorona e Il Muro Del Canto, con brani di repertorio. L’ inedito di Ardecore è impreziosito dal contributo di musicisti di BandaJorona e Il Muro Del Canto, in un continuum che è proprio il succo di questa nuova canzone popolare.
30/03/12
29/03/12
Daptone spegne le 10 candeline!
Un traguardo importante per una delle etichette responsabili del revival soul ed R&B. Da Brooklyn, New York, Daptone è divenuta la capostipite di una nuova estetica black, che partendo da solidi presupposti (l’eredità di labels quali Stax e Motown in primis) è riuscita a riportare in auge un suono mai tramontato. Il decennale del marchio cade il primo di Aprile e proprio in occasione di questa data è stato pensato un rilancio in grande stile di tutto il catalogo. Da aprile a giugno una campagna su vasta scala consentirà di avere i maggiori titoli dell’etichetta ad un prezzo speciale, la strada più breve per familiarizzare con il meglio del nuovo soul-funk, riscoprendo anche talenti stagionati – Sharon Jones in assoluto – capaci di emozionarci con la loro disarmante naturalezza. Che è anche il fine ultimo di Gabriel Roth e Neal Sugarman, i due fondatori, che proprio nello spirito della migliore musica live hanno sempre mantenuto un approccio senza fronzoli alla fase produttiva, nel rispetto di un feeling incontaminato.
In questi 10 anni abbiamo apprezzato oltre alla indiavolata soul singer Sharon Jones – spalleggiata da gruppo di casa Dap-Kings, richiestissimo negli anni da Amy Winehouse, Bob Dylan ed Al Green – formazioni di grande spessore artistico come Budos Band e Daktaris (una moderna rilettura anche dei temi afro-beat) e vecchie glorie del gospel come Naomi Shelton. L’altro personaggio chiave è Charles Bradley, classe 1948, che dopo anni di gavetta e lavori improbabili debutta per la sussidiaria Dunham con l’album ‘No Time For Dreaming’ un sussidiario soul-funk che ha del miracoloso.
Anche nel nostro paese il marchio si è fatto progressivamente largo tra i cultori del genere, tanto che il 14 aprile all’interno della storica serata ‘Boogaloo’(organizzata da Record Kicks ed espressamente dedicata a sonorità funk & soul), il Circolo Arci Biko di Milano ospiterà il dj e produttore Neal Sugarman, nel pieno dei festeggiamenti per l’anniversario. Il ritorno in estate di Sharon Jones sarà la ciliegina sulla torta a questa propedeutica ondata soul. Potrete vedere la chanteuse dal vivo in luglio: il 10 al Magnolia di Milano ed il 13 al’interno della manifestazione ‘Roma Incontro Il Mondo’ in scena al laghetto di Villa Ada.
27/03/12
In un box il succo del french touch
Étienne De Crécy è una delle figure cardine della cosiddetta french house. Nasce il 25 febbraio 1969 a Lione ; a metà degli anni ottanta si sposta da Marsiglia a Versaille, dove frequenta la July Ferres. Proprio in questo college avviene il fatidico incontro con un altro produttore di peso: Alex Gopher, con lui fonderà nel 1995 l'etichetta Disques Solid. Una volta giunto a Parigi lavora come ingegnere del suono ed incontra Philippe "Zdar" Cerboneschi dei Cassius, con il quale collaborerà artisticamente al progetto Motorbass, con cui Etienne pubblica il primo album nel 1996, a titolo Super Discount, considerato da molti come il punto di partenza del genere musicale definito French Touch. Lavoro capostipite per la nuova dance continentale, capace di sfondare il tetto delle 200.000 copie vendute.
L’ironico titolo ‘My Contribution To The Global Warning’ introduce un cofanetto pazzesco, che oltre a fare ordine nella sua sterminata discografia, offre una visione completa del genio dell’autore, capace di districaris nel mare magnum dell’economia danzereccia, con un tocco originale ed una visione quanto meno futuribile. Spesso al crocevia tra house, downtempo e lounge music, Etienne è stato un virtuoso, sin dalla più tenera età. Questo fenomenale box ce lo presenta nelle sue molpteplici sfaccettature, 5 cd o 6 lp, per chi giustamente reclama il nero vinile.
Nel primo disco un autentico best of, in cui spiccano i classici da club come ‘Les Ondes’ dei MotorBass, ‘Am I Wrong’ di Tempovision, ‘Someone Like You’ di Superdiscount 2 e ‘Binary’ di Beats‘N’Cubes. Il secondo cd è in pratica il meglio dei remix confezionati nel decenio 1995-2005 ; assieme ai francofoni Air, Moby e ai ‘motorici’ inglesi Engineers a beneficiare del trattamento di favore è la formidabile ‘Aerodynamik’ dei Kraftwerk, rivista a quattro mani con l’amico di sempre Alex Gopher. Ancora remix nel terzo capitolo, dal 2005 ai giorni nostri, un tocco di classe per fare impennare le quotazioni di Who Made Who, Cut Copy , Adam Freeland e Keren Ann. Ma il meglio arriva nei due volumi conclusivi, con una pletora di inediti compresi tra il 1992 ed il 2005 (il numero quattro) ed il 2006-2011 (il numero cinque). Tanta abbondanza e qualità non sono mai andate così a braccetto. Un vero evento per tutti i cultori della più raffinata musica da ballo d’oltralpe.
Il batterista dei Portishead si ispira a John Carpenter
Geoff Barrow è l’archetipo del musicista/produttore contemporaneo. Per chi lo conoscesse unicamente come terzo membro dei Portishead, l’immagine va necessariamente ampliata. Musicalmente onnivoro, ha bazzicato i circuiti della musica heavy, flirtando anche con il drone ed il ritorno in pompa magna della musica krauta. Parla per lui l’attività con la label personale Invada (casa di Mammatus, Gonga, Atavist, Crippled Black Phoenix ma anche Julian Cope) ed il recente progetto Anika (licenziato in America da Stones Throw).
In questo ‘Drokk’ si allontana tanto dall’hip-hop quanto dalla musica più pesante e ripetitiva, stringendo una solida alleanza con Ben Salisbury. Questi è un compositore di colonne sonore professionista, con oltre 200 lavori a sua firma per tv e cinema. Citiamo ad esempio il trittico del regista David Attenborough ‘Life of Mammals’, ‘Life in the Undergrowth’ e ‘Life in Cold Blood’. L’incontro tra Barrow e Salisbury risale ad una decina di anni fa…su un campo di calcio! Un club per non più giovanissimi con base a Bristol, evidentemente. Le numerose sconfitte sul campo hanno portato i due a dedicarsi naturalmente ad altro, la musica ed un progetto cinematografico come obiettivo. Arrivano le prime commissioni, prontamente dismesse, ma il feeling tra i due è talmente forte ce qualcosa inizia comunque a prendere forma.
Barrow assieme al designer Marc Bessant (autore della copertina) sono da sempre avidi lettori di ‘2000AD’ casa fumettistica celebre per aver lanciato il personaggio feticcio Judge Dredd. L’ispirazione per un’ipotetica colonna sonora arriva proprio da quella serie, ed il luogo dove si svolgono le azioni è l’integerrima Mega-City One. Mancava un corrispettivo musicale di quella contea futuristica, ‘Drokk’ è la trasposizione sonora curata con estrema attenzione dai due. Sei mesi nella lavorazione, nel mezzo del tour mondiale dei Portishead e delle commissioni ricevute da Salisbury per conto della BBC. Al bando le orchestrazioni, la musica assume forme minimali, ricorrendo ad un equipaggiamento per lo più analogico, nel rispetto di una scuola elettronica ‘antica’. L’ Oberhiem 2 Voice Synthe-sizer (una classica tastiera del 1975) è lo strumento principe, con il suo sequencer utilizzato per riprodurre ritmi ed una batteria meccanica. Aldilà di alcuni strumenti manipolati digitalmente (piano, violino, mandolino, ukelele ed un hammered dulcimer) e del cameo dei Beak (l’altra band di Barrow), il disco è una monolitica sequenza sintetica che ha tutto il fascino delle migliori opere carpenteriane. Tanto che ‘Drokk’ è - stilisticamente parlando - il degno erede di ‘Assault On Precint 13’ ed ‘Escape From New York’.
Da Seattle il metal-core dei Black Breath
Si apre con un riff à la Slayer ed una rincorsa su velocità supersoniche che sa tanto di Sepultura – epoca ‘Beneath The Remains’ – ed Entombed (zona ‘Clandestine’). Con questa raffica di colpi si inaugura il nuovo album dei barbari del Northwest. Il secondo album dei Black Breath – dalla capitale del grunge – è un affare per veri intenditori, una cruenta escursione su terreni metal-core, con un forsennato spirito rock’n’roll. Sentenced to Life, questo il titolo della loro seconda fatica per Southern Lord, una devastante ascesa verso i quartieri alti della musica estrema, senza risparmiare una stilla di sudore. Messo a fuoco dopo il tour europeo del novembre 2010, il disco può contare su una produzione e costruzione metodica, senza in questo far rimpiangere l’impatto brutale con cui abbiamo imparato a convivere. I 10 brani di ‘Sentenced To Life’ – per poco più di mezz’ora di musica, come a ribadire l’istintività della faccenda – incidono con perfezione chirurgica, lasciando attoniti dal primissimo ascolto.
Gli altri titoli che si candidano ad immediati smash hits di genere sono ‘Doomed’, ‘Forced Into Possession’, ‘Home of the Grave’ ed ovviamente la title track, che ci riportano ai primordi dell’epopea thrash-death di fine anni ’80. Registrato presso i God City Studios con il prezioso contributo in veste di fonico di Kurt Ballou (Converge), il disco è una delle più fresche pubblicazioni in campo metal-core nelle quali possiate imbattervi oggi. Non resta che augurarvi - a questo punto - buon headbangin’!
Il nuovo gruppo di Dave Lombardo!
Il nuovo nato in casa Ipecac è Philm, power trio con base a Los Angeles, capitanato dallo straordinario batterista Dave Lombardo (Slayer e molto altro ancora) con Pancho Tomaselli (bassista ecuadoregno e tardo membro della leggendaria latin-funk band War) e Gerry Nestler (chitarrista/cantante dei Civil Defiance). In uscita a maggio, Harmonic è il loro debutto assoluto, un tour de force che prende le distanze dal metal tout-court, incamerando una moltitudine di influenze, maturate nel corso di una carriera spettacolare.
Nelle parole dello stesso Lombardo c’è un adeguamento stilistico. "Ho ridotto il mio set di batteria a 4 pezzi, proprio in ricordo di quei batteristi anni '60 che hanno avuto un forte impatto sulla mia formazione. Ogni brano è unico nella sua essenza, mi piacerebbe riferirmi ad un’emozione ritmica. E’ come prendere tutte le canzoni ‘pesanti’ di quel periodo e riportarle all’attualità, mettendo in scena un incontro con le sonorità trance e psichedeliche contemporanee"
"Abbiamo deciso di registrare Harmonic in un intimo contesto casalingo. Ricorrendo in buona misura ad un equipaggiamento vintage" è ancora Lombardo a mettere in chiaro le cose "La musica è stata scritta in maniera collettiva, seguendo una metodologia improvvisata, a differenza della maggioranza delle incisioni cui ho preso parte in vita mia. Una circostanza importante essendo questo il primo disco in cui mi faccio carico del titolo di produttore e performer allo stesso tempo. L’album raggiunge una densa e dissacrante convergenza di toni e discordanze. Tocchiamo anche ambientazioni desolate e misteriose. La nostra musica ha la tendenza ad esser scritta in maniera indipendente, non ne conosciamo i frutti fino al momento in cui si riavvolge il nastro. E’ un viaggio armonico, per l’appunto"
Attesa con trepidazione la prima uscita dei Philm è stata lavorata con grande fervore nel corso di un anno. Le prime apparizioni dal vivo del gruppo risalgono infatti a fine 2010, la prima demo a quattro tracce è immediatamente successiva. In pratica lo strumento per solleticare tutti gli addetti ai lavori ed un sonnolento music-biz. Una musica che ovviamente porta in dote le esperienze decennali dei singoli elementi, approntando una fusione stilistica unica. Post-punk e decise scariche hard’n’heavy, scatti ritmici ed incastri molto groovy che denunciano anche un rituale omaggio alla black music. Sin d’ora Philm è da considerarsi uno degli eventi musicali dell’anno.
I 20 anni degli Unsane, ancora sangue e sudore
Non c’è tregua a Gotham City. Ne sa qualcosa Chris Spencer che da vent’anni è il frontman degli Unsane, il power trio per antonomasia della New York City che mai cederà alle lusinghe del mondo della moda. Tempo di celebrazioni, nel sangue evidentemente, come la copertina del nuovo ‘Wreck’ sta bene ad indicare. E’ una truculenta estasi quella cui ci hanno abituati i tre che nel tagliare il traguardo del ventennale si fanno beffa di quanti ancora scherzano con l’elettricità. Per il loro settimo disco cambiano nuovamente casa, accomodandosi presso un buongustaio del rumore bianco: Jello Biafra.
Registrato dal produttore Andrew Schneider presso il Translator Audio (Shrinebuilder, Keelhaul, etc.), di Brooklyn, Wreck esce per Alternative Tentacles, confermando quanto le paranoie professate agli albori dei ’90 siano ancora di stretta attualità. Un suono denso, claustrofobico, che gioca ancora su massa e volumi, nella triangolazione perfetta tra chitarra, basso e batteria. Gli ultimi due ruoli occupati rispettivamente da Dave Curran e da un altro veterano come Vinnie Signorelli (al tempo già al servizio degli Swans). Difficile riprendersi dallo shock iniziale di “Rat” e dall’assalto all’arma Bianca di “Decay”, qualora riusciste a dribblare l’ostacolo c’è sempre il monolite “No Chance” ed il trascendentale lavoro di testa di “Stuck”. Poesia urbana impacchetta con intensa fierezza, terrore che trasborda dai solchi, come in un ultima corsa nei sobborghi della metropoli. Materia blues polverizzata per un definitivo tributo alla cultura dell’eccesso, decadente o primitiva che si voglia definire, la musica degli Unsane continua a suonare come un sinistro allarme per il pubblico occidentale. E per la serie una risata vi seppellirà’ il disco si chiude proprio con la velenosa ‘Ha Ha Ha’ dei Flipper.
Debutto in solo per il frontman di U.S. Xmas
Nella pastorale psichedelia degli U.S. Christmas, il gruppo del North Carolina che ci ha deliziati con le sue uscite per Neurot, la traccia Americana è stata sempre una costante, ma nulla poteva prepararci al sontuoso debutto in solo del loro leader, il cantante e chitarrista Nate Hall. Uno di quei dischi che non passa certo inosservato, potendo contare sull’originalità della sua scrittura e sulla profondità dei temi trattati. ‘A Great River’ è sin dal titolo motivo di congiunzione astrale, dove l’elemento natura non è mai piegato all’incedere del rumore urbano. Un nuovo umanesimo, del resto prerogativa dell’etichetta californiana, che già nei lavori in solo dei due Neurosis Scott Kelly e Steve Von Till aveva ampiamente testato il terreno.
E’ una musica folk viscerale, sofferta, mistica. Credibile in una sola parola. Nate Hall si cala con decisione nei panni del menestrello oscuro, regalandoci 8 brani autografi, un traditional – ‘When The Stars Begin To Fall’ – ed una meravigliosa ripresa di ‘Kathleen’ a firma Townes Van Zandt (non a caso autore riscoperto da un altro frequentatore della dark side come Scott ‘Wino’ Weinrich). Sembra palese l’influenza di Bob Dylan, anche se supportata da una struttura più coriacea, l’altro nome da citare potrebbe essere quello di David Eugene Edwards, lo spiritato leader di Wovenhand e 16 Horsepower. Un disco sentito ‘A Great River’, che si stacca dalle sortite heavy e lisergiche del gruppo madre per valicare inedite zone d’ombra. Un trionfo annunciato.
Il gladiatorio Bo Diddley elettrico
Un altro imprinting in casa Light In The Attic, Future Days – nome liberamente ispirato dall’omonimo disco dei Can – ha per l’appunto il compito di riportare alla luce dischi di gran lunga in anticipo sui tempi. Il primo numero di catalogo è ‘The Black Gladiator’ di Bo Diddley, uno dei più solidi excursus elettrici del chitarrista-icona, dato alle stampe nel 1970. Uno dei nomi di punta del catalogo Chess negli anni ’50, Bo è da considerarsi tra i più grandi innovatori del vocabolario R&B. Con una serie interminabile di hits e brani coverizzati da Buddy Holly, Bob Seger e Grateful Dead il nostro entra di diritto nella rock’n’roll hall of fame, senza per questo rinunciare ad una fase di rinnovamento, che prenderà forma nei tardi ’60, all’indomani della cosiddetta british invasion.
Le direttive del mercato ed il gusto dei giovani d’epoca obbligano ad una svolta. Il rock si tinge di nero e viceversa: Sly and the Family Stone, Rare Earth e Rolling Stones dettano in qualche misura i tempi della nuova stagione, all’insegna della contaminazione. Chi si muove sulla stessa lunghezza d’onda di Bo Diddley è gente come Muddy Waters ed Howlin’ Wolf , che in quegli anni licenziano i seminali Electric Mud e The Howlin’ Wolf Album. Con la pubblicazione di The Black Gladiator il blues-rock si arricchisce di humor e sporche angolature funk. Indicativa anche la copertina, con il nostro in una divisa in pelle in salsa sadomaso, tanto da mettere in soggezione quell’ Isaac Hayes recentemente immortalato a torso nudo ed in catene su Stax. Feroci urli gospel, chitarre strappate, batterie grasse, un organo Hammond ed un duetto con Cookie Vee (Cornelia Redmond), questa è solo una parte del programma.
Non propriamente incensato al momento della sua uscita, il disco conserva il suo fascino innato e sarà ancora meta di pellegrinaggio per tutti i collezionisti di fat beats e rare grooves. Roba per intenditori, va da sé.
Bear In Heaven pops your disco
Dopo la pubblicazione del loro secondo album nel 2010 - ‘Beast Rest Forth Mouth’ - si sono susseguiti una serie di eventi cruciali per il trio di Brooklyn meglio noto come Bear In Heaven. Jon Philpot, Joe Stickney ed AdamWills hanno inaugurato una parabola artistica che in breve tempo li avrebbe portati a lambire la club culture. Usando sempre una forte connotazione indie, sia chiaro. In un’ipotetica marcia d’avvicinamento verso sonorità familiari a The Field e Studio, i nostri incasellano anche un singolo split con i norvegesi Lindstrøm e Christabelle, che nell’occasione riproponevano la loro hit “Lovesick Teenagers” Oltre 200 concerti in supporto a questa seconda opera non hanno però attaccato la mentalità del gruppo, che ad un passo dalla notorietà decide di ritirarsi in studio per dare un seguito a quel piccolo miracolo underground.
Nella casalinga Brooklyn lavorano con grande intensità ad un successore, la loro scrittura è quasi maniacale e tornare spesso e volentieri sullo stesso arrangiamento è prassi comune. Hometapes e Dead Ocean sostengono questa loro prova del fuoco a nome ‘I Love You, It’s Cool’.Un disco vivido e visionario, che amplifica la confidenza e la calma trasmessa dal titolo. Il lavoro alle macchine ed alla programmazione di Philpot è complesso e competente, sia nell’arcobaleno di‘Kiss Me Crazy’ che nelle matrici addirittura rumorose di ‘Space Remains’. ‘The Reflection of You’ è forse la cosa che maggiormente rasenta un hit, il suo ritmo motoriko e le sue tastiere in puro stile balearic ne fanno un successo annunciato. Rock spaziale che cede al corteggiamento della più nostalgica musica pop di marca ’80, una di quelle commistioni da capogiro.
Il terzo album dei Bowerbirds
Le società rurali intonano le loro canzoni migliori per secoli. Considerando l’uso delle murder ballads degli Appalachi, ancora oggi fonte di ispirazione per numerose rivisitazioni in stile, il passato è ancora frutto di studio, soprattutto nel caso dei Bowerbirds, originari del North Carolina. Le loro canzoni migliori trasmettono quel sentore di eternità, istantaneamente. Le penne fatate di Beth Tacular e Phil Moore vivono nel rispetto della tradizione, un incantesimo che in brani come “In Our Talons” e “Northern Lights” è prossimo alla scrittura di decani come Johnny Cash, Bob Dylan e Leonard Cohen. Più che canzoni tesori a ben vedere. Brani registrati in economia, con chitarre acustiche, violini e batterie mai invadenti. Per avere un riferimento visivo potete immaginare queste canzoni come standard della vecchie statali, brani trasmessi di generazione in generazione, rispettando anche quelli che erano i temi intonati tra i campi di grano.
The Clearing è il terzo album firmato dalla coppia e come spesso accade ai gruppi che crescono in ‘progressione’, il disco è stato inciso potendo attingere a migliori risorse. Il suono è confortevole, il suo spettro più ampio, grazie appunto ai benefici di studio. E’ questa la pubblicazione perfetta, un’ambizione coronata dopo anni di applicazione, senza mai nascondere le proprie intime ambizioni. Avvicinarsi a questo disco sarà come rinfrancare la vostra anima. Una musica dai forti sentimenti e dall’intensità impareggiabile.
26/03/12
L'Eastern sound dei BJM
Aufheben o Aufhebung è un termine tedesco con diversi ed apparentemente contradditori significati: ‘sollevare’od ‘abolire’ ad esempio. Sotto questa emblematica stella nasce il nuovo album dei BJM, registrano nello studio berlinese di Anton Newcombe e presso la celebre stazione radiofonica tedesca “Studio East”. Assieme all’incontrastato leader si riaffaccia Matt Hollywood, uno dei membri storici del gruppo. Gli altri contributi sono di Will Carruthers (Spacemen 3 , Spritualized) , Constatine Karlis (Dimmer) e Thibault Pesenti (Rockcandys) . Le performance vocali arrivano per gentile concessione di Eliza Karmasalo (che usa l’originale idioma finnico).
Della contaminazione ha fatto un credo Newcombe, tanto che il nuovo album inizia proprio sulla falsa riga di alcuni riempi pista di Ravi Shankar, ricordando in questo la viscerale passione per gli Stones, che proprio a quei colori indiani spesso ricorsero. Un’idea di musica esotica rivista secondo gli stessi rinvenimenti discografici degli ultimi 40 anni, spezie che dunque vanno ad accrescere la portata del rock psichedelico, da anni marchio di fabbrica del gruppo di San Francisco.
Riconosciuti da Black Rebel Motorcycle Club, The Warlocks e The Black Angels come una solida fonte di ispirazione tra gli artisti contemporanei i BJM tagliano con questo disco il traguardo invidiabile dei 20 anni di attività.
Tributo al compianto chitarrista Rainer
Fire Records è orgogliosa di ristampare l’intera discografia di Rainer Ptacek, fenomenale chitarrista originario di Tucson, Arizona, e responsabile per aver definito il suono dei Giant Sand agli esordi, creando successivamente un numero significante di capolavori solisti e dischi con Das Combo, prima di soccombere prematuramente ad un tumore al cervello nel Novembre del 1997.
La serie di pubblicazioni sarà inaugurata dalla compilation "The Inner Flame", tributo realizzato proprio per commemorarne la figura. A riconoscere il suo innato talento ci hanno pensato personaggi di fama internazionale come Robert Plant & Jimmy Page, Emmylou Harris, Evan Dando, PJ Harvey, Victoria Williams, Vic Chesnutt, Jonathan Richman, Madeleine Peyroux e naturalmente i Giant Sand.
Originariamente pubblicato nel 1997, l’ album è stato concepito tanto anche come un benefit, con i ricavati destinati a supportare le numerose spese mediche sostenute dalla famiglia Ptacek. In occasione di questo ritorno sul mercato il disco è stato ampliato nei suoi contenuti, con l’aggiunta di tracce extra firmate da Lucinda Williams, Grandaddy, Chuck Prophet, John Wesley Harding e Calexico (Joey Burns e John Convertino avevano proprio incrociato Rainer ai tempi dei Giant Sand). Questa nuova versione celebra l’uomo, una figura dallo spessore incredibile. Queste le parole di un commosso Howe Gelb, che ricorda il musicista evidenziandone il grande merito nell’aver cercato una voce originale. In una delle sue ultime interviste Rainer celebrava proprio la vita, dicendo che una delle nostre consegne in questo passaggio terreno è quella di sopperire al dolore con l’amore.
Eccellente raccolta per Lee Hazlewood
Con quegli inconfondibili baffi a manubrio e quella voce baritonale, Lee Hazlewood è stata una delle stele per antonomasia dei tardi sessanta. Anche se fondamentalmente riconosciuto per il suo lavoro con Nancy Sinatra (culminato nella stesura dell’hit “These Boots Are Made For Walking”), Hazlewood ha collezionato una serie di album straordinari, citati in tempi più recenti da gente come Beck, Sonic Youth e Jarvis Cocker dei Pulp. In occasione del Record Store Day – settato per il 21 aprile – Light In The Attic si produce in una raccolta essenziale di questo eroe nazionale, andando a spulciare tra i suoi archivi e ricavandone un’antologia quanto meno programmatica nel nome: Singles, Nudes & Backsides.
E’ l’opportunità più rapida per assaporare performance in solo e duetti gentilmente concessi dal marchio LHI, acronimo di Lee Hazlewood Industries. I suoi migliori lavori sono stati proprio licenziati a cavallo tra il 1968 ed il 1971, momento d’oro anche per LHI che pubblicò anche stelle minori del firmamento acid folk e pop-soul, 45 giri ed album presto passati allo stato di culto.
La copertina che accompagna il disco è emblematica, Lee è circondato da conturbanti ragazze desnude, provviste di baffi finti, lui - sornione – con un impeccabile completo svetta sulla scena, impersonando le sembianze di un ironico playboy. C’è un uomo romantico nel western swing di “Califia (Stone Rider)”, un solitario in ”The Bed” ed un solare cantore in ”If It’s Monday Morning.” La tremolante voce di Hazlewood sembrava fatta per i duetti (non a caso dalla sua penna è uscita ”Some Velvet Morning”, ancora oggi insuperata), qui si confronta con Suzi Jane Hokom, Ann-Margret e Nina Lizell.
Le note impeccabili del giornalista inglese Wyndham Wallace, forniscono un profilo attendibile dell’uomo, impaziente con sè stesso e le persone che lo circondavano. Scomparso all’età di 78 per un male incurabile, Lee è riuscito a conquistare il vecchio continente solo sul finire degli anni ’90, esibendosi per la prima volta in Inghilterra alla prestigiosa Royal Festival Hall nel 1999
Intensa la sua vita, ha combattuto nella guerra in Corea, ha lavorato come DJ a Phoenix, Arizona, ha messo in piedi Viv Records nei ’50 ed ha assunto il ruolo di produttore artistico nel decennio successivo, scritturando Phil Spector per la sua Trey Records. Proprio dopo quella esperienza Lee annuncia il suo ritiro dalle scene, alla vigilia della cosiddetta British invasion. Non lo farà, grazie anche all’incontro con Nancy Sinatra, circostanza che lo spingerà a registrare per buona parte dei ‘70s, contemporaneamente al suo trasferimento in Svezia (Cowboy In Sweden rimane uno dei suoi titoli cardine, qui puntualmente campionato). C’è anche un inedito - I Just Learned To Run - a rendere davvero irripetibile questo appuntamento discografico.
Fragranze dreamy per Allo Darlin'
Alfieri del nuovo indie britannico che guarda con grande interesse alla fertile stagione del dream pop, Allo Darlin’ pubblicano per Fortuna Pop! il loro secondo album, dopo aver stupito con un omonimo debutto completamente immolato all’estetica dei cuori infranti. Il quartetto londinese, fronteggiato dalla vocalist australiana Elizabeth Morris, si adopera nel creare una sofisticata materia pop, gioiosa ed effervescente, tanto da rimanere impressa nelle loro esilaranti esibizioni dal vivo. Un reputazione guadagnata attraverso un’instancabile scaletta di concerti, con il passaggio radicale dai minuscoli club di periferia alla prestigiosa Scala di Londra (che ha evidentemente poco a che fare con l’opera).
Dopo aver girato per quattro volte negli States il gruppo ha gettato le basi anche per la conquista programmatica delle college radio locali, tanto che il nuovo album è licenziato oltreoceano proprio da Slumberland,un altro marchio che da anni si adopera nella diffusione del più prezioso indie. In patria il gruppo è stato preso sotto l’ala protettrice di BBC 6music, registrando anche al prestigioso Maida Vale Studios sotto indicazione dell’influente conduttore Steve Lamacq. La scrittura di Elizabeth Morris è cresciuta dai tempi dell’ esordio, più profonda pur rispettando la fisionomia di un pop creativo e di grande intrattenimento. Europe è stato già designato come disco del mese per il mese di maggio dal negozio/istituzione Rough Trade. Dall’ epica “Still Young” (una filosofia di vita manifesta), descritta dai loro amici The Wave Pictures come la loro “Born To Run”, alla meravigliosa "Northern Lights" (un capodanno in Svezia) e tutto un fiorire di canzoni speranzose, che celebrano la ‘joie de vivre’ in un contesto tra i più contagiosi. Dopo aver tenuto a battesimo The Pains Of Being Pure At Heart, Fortuna Pop! incorona i loro più credibili eredi.
23/03/12
Il debutto dei Poliça è un trionfo di ritmo e melodia
E’ un periodo d’oro per la scena musicale di Minneapolis, parte del collettivo meglio noto come Gayngs (di cui abbiamo apprezzato il debutto Relayted per Jagjaguwar pochi anni or sono) libera oggi l’eterea creatura soul pop a nome Poliça. Capitanato dall’eclettica vocalist Channy Leanagh, già a lavoro con gli stessi Gayngs, il combo è coadiuvato dal produttore Ryan Olson e può contare sul contributo del batterista Mike Noyce in forza a Bon Iver. A conti fatti una riunione di talenti all’ombra della Twin City.
L’incontro tra Channy e Ryan si consuma proprio durante le registrazioni dell’esordio di Gayngs. L’intesa è così forte che una collaborazione più intima pare inevitabile. Una maggior confidenza guadagnata grazie alle esibizioni dal vivo, ha permesso alla cantante di crescere in maniera esponenziale, sposando così la sensibilità pop di Ryan, sempre legata ad una ricerca nell’ambito dell’indie elettronico. Nel giugno del 2011 iniziano a lavorare a Give You The Ghost, il disco che segna il loro esordio ufficiale.
Gli 11 brani in scaletta esaltano il concetto stesso di indie-tronica, nell’intersezione tra r&b digitale, nostalgiche memorie downtempo e amletici squarci guitar-pop. ‘Amongster’ è la danza tribale che inaugura il disco, grazie alle ritualistiche figure tirate in ballo dai due batteristi. Anche in ‘Violent Games’ la componente percussiva esce in maniera prepotente sposando le melodie cicliche di Channy. Il termine di una relazione sentimentale è il filo conduttore del disco: l’idea stessa di sconfiggere i fantasmi del passato, ammettendo i propri errori e riuscendo finalmente a conviverci. Channy ci mette la faccia, come nel singolo lanciato on line Dark Star: “non c’è uomo che possa farmi scendere dalla mia stella nera”. Un disco seducente in ogni suo passaggio, dotato sì di un’anima primitiva, ma anche di un docile respiro. La band sarà protagonista in estate di alcune apparizioni europee – da segnalare la data a Ferrrara Sotto le Stelle del 19 luglio – al fianco proprio di Bon Iver, nell’attesa un disco destinato a far sciogliere più di un cuore freddo.
19/03/12
La tesa tradizione elettrica di Faggella e Baldi
Tradizione Elettrica è l’album di debutto del duo Luca Faggella/Giorgio Baldi per Goodfellas. Una coppia di veterani che ha già avuto modo di confrontarsi nel disco del 2010 Ghisola – anch’esso pubblicato dall'indipendente romana – e accreditato al cantautore labronico Luca Faggella. Nelle 10 tracce che compongono questa più strutturata collaborazione, intesa propriamente come un lavoro a 4 mani, i protagonisti ci tengono a ribadire come la sei corde elettrica sia centrale, prendendo le mosse dal rock dei tardi sessanta fino ad incappare nei vorticosi circoli del post-punk americano e della wave britannica. Come abbeverarsi al songbook di Wall of Voodoo, Joy Division e Bauhaus, pur mantenendo una forte identità territoriale. E’ qui il distinto timbro di Faggella a fare la differenza, il suo crooning ha radici antiche: dal solenne Scott Walker alla strada così come narrata da Lou Reed, passando per grandi e piccole leggende nazionali come Luigi Tenco e Fausto Rossi. Quasi integralmente eseguito dal duo, il disco conta anche sui contributi di Max Gazzé (al basso in “Vipere” e nella traccia che titola il disco, dove troviamo ai cori Bianca “Jorona” Giovannini), Stan Ridgway e Pietra Wexton (“Olimpia”), Rhò, Pit Capasso e del sorprendente Gimmi Santucci (autore dei testi di Gazzé) in un cameo che lo vede per la prima volta impegnato al canto.
La copertina del disco - si tratta dell’opera “Titor” firmata da Paolo Guido - è parte integrante dell'album, emblema di questo viaggio nel tempo che è Tradizione Elettrica.
Un progetto che per sua natura lancia un ribaltamento di prospettive, basato anche sul confronto interdisciplinare. Musica e arte visiva, con la premessa che ove coesisteranno sguardi trasversali, contaminazioni e commistioni, lì si potranno generare nuove riflessioni. Tradizione Elettrica esplora i confini tra diverse narrazioni e, sulla sottile linea di separazione tra un linguaggio e un altro, affida la propria immagine a Paolo Guido, promettente artista Pop Surrealista, che firma l'artwork dell'album.
Giorgio Baldi: collaboratore storico e produttore di Max Gazzé, da “La favola di Adamo ed Eva” (Virgin Music, 1998),“Max Gazzè” (Virgin, 2000) e “Quindi” (2010), con cui partecipa a tre edizioni del Festival di Sanremo (“Cara Valentina”, “Una Musica Può Fare”, “Timido Ubriaco”). Collabora con Niccolò Fabi per la realizzazione del brano “Vento d’estate” (1998). Compositore, musicista, arrangiatore e produttore con Raf (album “Ouch”, Warner 2004) e “Passeggeri Distratti” (Sony, 2008). Con Raf sarà anche in diversi tour come chitarrista dal 2002 al 2006. E' il chitarrista di Stan Ridgway (Wall of Voodoo) nel tour italiano del 2005. Compositore di colonne sonore: tra le altre "Road to L, Lovecraft in italia" di Federico Greco e di sonorizzazioni, (per Rai 2 “Voyager”, per Discovery Channel, Rai Sat). Giorgio Baldi ha pubblicato tre album di brani strumentali a supporto di cataloghi d'arte contemporanea: “Furore – Pop Surrealism” (2008), “Inside Nostalghia” (2008) e “Venenum et Medicamentum” (2009), tutti per la Dorothy Circus Gallery di Roma. Nel 2010 lavora come co-produtore, compositore e chitarrista agli album “Quindi?” di Gazzé e “Ghisola” di Luca Faggella e come nei tre anni precedenti è in tour con Gazzé.
Luca Faggella mette in scena Faggella canta Ciampi nel 1996, nel '98 lo spettacolo “Mezmerism” ispirato alle tradizioni musicali ebraiche, sia yiddish che sefardite rielaborate nell'album “Tredici canti” (Rockatta/Storie di note 2002) per il quale riceve il Premio Tenco/SIAE come “miglior autore emergente”. Nel 2004 con Fetish (Rockatta/Storie di Note), si presenta nella veste di chansonnier dark. Segue l’album dal vivo Questa notte suona forte, tutto bene (DDF, 2007). Nel 2008 collabora con Louis Bacalov all'inedita "Canzone dei Ministri" sull'album di omaggio a Sergio Bardotti: "Bardoci". Nel 2009 e 2010 riceve la Targa Leo Ferré dedicata prima a Jacques Brel, l’anno seguente a Piero Ciampi, come loro buon interprete e erede di una tradizione rinnovata degli chansonniers. Come attore, è stato diretto da Michelangelo Ricci, interpretando Jarry (Ubu Re), Beckett (Finale di Partita) e Borges (La biblioteca di Babele), da Massimo Luconi (Bianciardi/Ciampi), e Maria Teresa Pintus in Poesia ‘70. Nel 2011 pubblica per Zona Editrice il racconto “Maremma Sangue” insieme con le “Tredici Poesie” e i testi di tutte le canzoni.
09/03/12
Akron Family + Kid Millions (Oneida). L'esclusivo tour italiano!
La collaborazione degli Akron/Family con Kid Millions (batterista degli Oneida) rientra nel Tree of Life - Infinite Roots tour 2012: un progetto in cui gli Akron/Family ribadiscono la loro attitudine comunitaria e aperta di fare musica e l’idea che essa sia un linguaggio espressivo intrinsecamente fluido, libero e spontaneo, irriducibile all’ossessione dell’odierno mercato discografico ad incasellare, catalogare, spezzettare e segmentare…Sin dagli esordi gli Akron/Family si sono ispirati a realtà come Sun Ra Arkestra, Grateful Dead e Wu Tang Clan e hanno pensato al proprio lavoro artistico come a un percorso in continuo divenire, costellato da collaborazioni e incontri sempre nuovi e stimolanti.
E’ con questo spirito, e nella più generale inclinazione a seguire sentieri musicali poco battuti, che la loro strada ha incrociato (sul palco o in studio) quella di eroi del free-jazz come Hamid Drake e William Parker, di chitarristi/rumoristi/sperimentatori come Keiji Haino, di weird folkers come i Megafaun o dei membri della famiglia di Woody Guthrie. E in fondo rimanda alla medesima attitudine il fatto che, negli innumerevoli concerti tenuti in dieci anni di attività, migliaia di persone, prese da spontanea eccitazione o invitate a farlo dai membri del gruppo, si siano ritrovate sul palco a cantare e suonare insieme a loro.
Miles Seaton e Seth Olinsky hanno conosciuto John Colpitts (Kid Millions) in occasione della loro partecipazione al Damo Suzuki network del 2007.
Da allora Kid si è unito agli Akron/Family in numerose performance, tra cui quella al prestigioso Vision Festival of Jazz di New York. Dal canto loro, gli Akron/Family hanno avuto l’onore di far parte del progetto Ocropolis degli Oneida, presentato all’ATP Festival di New York curato dai Flaming Lips. Le band hanno riscontrato una forte affinità e sintonia di vedute nel comune riconoscimento dello spirito incessantemente innovativo delle forme musicali legate al minimalismo e all’avanguardia e nella profonda riverenza nutrita nei confronti delle tante radici e tradizioni che informano la loro produzione artistica.
Nel tour (solo italiano) con Kid Millions – noto ai più per il drumming propulsivo con gli Oneida ma anche titolare di un progetto solista a nome Man Forever, in bilico tra drone music, minimalismo e sperimentazione, che licenzierà il proprio esordio su Thrill Jockey in primavera - saranno esplorate nuove versioni del repertorio Akron/Family, innervate di peculiare energia batteristica, ma non mancheranno preziose incursioni nell'opus magnum degli Oneida, infuocate sessions improvvisative e materiale inedito che, tornati a New York, i nostri registreranno e daranno poi alle stampe (sulla Family Tree Records degli stessi Akron)
Tree of Life - Infinite Roots
23/03/12 Bologna @ Locomotiv (opening act Sycamore Age)
24/03/12 Verona @ Interzona (opening act Ancher)
25/03/12 Trieste @ Etnoblog
26/03/12 Cagliari @ Interno 24
27/03/12 Roma, radio session @ Moby Dick (radio 2 rai)
28/03/12 Roma @ Locanda Atlantide (opening act Honeybird and the Birdies)
29/03/12 tba
30/03/12 Arezzo @ Karemaski (opening act Above the Tree)
31/03/12 Senigallia (An) @ Gratis (opening act Above the Tree)
01/04/12 Milano @ Bitte