Attesa da tempo immemore, la ristampa in digitale di Medicine Show dei Dream Syndicate è uno degli eventi discografici indipendenti di questa stagione.
Privi della bassista Kendra Smith, di lì a poco pronta ad abbracciare le eteree canzoni degli Opal, e con un Karl Precoda ben più risoluto e distante dai fragorosi chitarrismi del debutto, i maggiori rappresentanti del filone paisley underground rilasciano uno dei lavori simbolo di tutti gli anni ’80. Licenziato nel1984 da un allora lungimirante A&M, il disco riprende da una parte le migliori ‘parate’ della psichedelia west coast e dall’altra i suoni del proto-punk newyorkese – i Television di Verlaine su tutto – pur ingentilendo notevolmente l’approccio della band. Un percorso che in qualche misura anticipa le accorate visioni ‘americana’ di una generazione ancora in erba. Una roots music dunque aggiornata, che si carica di inventiva e gusto per l’improvvisazione nella lunga jam John Coltrane Stereo Blues.
Steve Wynn rimane in tutto questo il punto focale della band, un songwriter dalla penna fatata, che pur partendo dalle classiche serrate rock’n’roll ha saputo convincere per una trasversale visione pop, che anche a livello lirico non scadesse mai nel luogo comune o nel più bieco sentimentalismo. Prodotto da Sandy Pearlman (lo stesso ingegnere del suono che ha collaborato con Blue Öyster Cult e Dictators) il disco sarà anche il canto del cigno del chitarrista Precoda. All’alba del 1985 il gruppo di Tucson sarà unicamente rappresentato dai due membri originali Wynn e dal batterista Dennis Duck. E’ un disco che segna un’importante dipartite stilistica, sarebbe più logico parlare di progressione in realtà, per i Dream Syndicate. Le loro canzoni, ora finemente formulate, anticipano in qualche misura la sfavillante carriera solista di Wynn, pur rincorrendo un ideale rock lisergico bagnato nei languidi mari del folk. Disco epocale cui si aggiunge anche il raro Ep inciso dal vivo This Is Not The New Dream Syndicate live album, un cerchio che finalmente si chiude..
Privi della bassista Kendra Smith, di lì a poco pronta ad abbracciare le eteree canzoni degli Opal, e con un Karl Precoda ben più risoluto e distante dai fragorosi chitarrismi del debutto, i maggiori rappresentanti del filone paisley underground rilasciano uno dei lavori simbolo di tutti gli anni ’80. Licenziato nel1984 da un allora lungimirante A&M, il disco riprende da una parte le migliori ‘parate’ della psichedelia west coast e dall’altra i suoni del proto-punk newyorkese – i Television di Verlaine su tutto – pur ingentilendo notevolmente l’approccio della band. Un percorso che in qualche misura anticipa le accorate visioni ‘americana’ di una generazione ancora in erba. Una roots music dunque aggiornata, che si carica di inventiva e gusto per l’improvvisazione nella lunga jam John Coltrane Stereo Blues.
Steve Wynn rimane in tutto questo il punto focale della band, un songwriter dalla penna fatata, che pur partendo dalle classiche serrate rock’n’roll ha saputo convincere per una trasversale visione pop, che anche a livello lirico non scadesse mai nel luogo comune o nel più bieco sentimentalismo. Prodotto da Sandy Pearlman (lo stesso ingegnere del suono che ha collaborato con Blue Öyster Cult e Dictators) il disco sarà anche il canto del cigno del chitarrista Precoda. All’alba del 1985 il gruppo di Tucson sarà unicamente rappresentato dai due membri originali Wynn e dal batterista Dennis Duck. E’ un disco che segna un’importante dipartite stilistica, sarebbe più logico parlare di progressione in realtà, per i Dream Syndicate. Le loro canzoni, ora finemente formulate, anticipano in qualche misura la sfavillante carriera solista di Wynn, pur rincorrendo un ideale rock lisergico bagnato nei languidi mari del folk. Disco epocale cui si aggiunge anche il raro Ep inciso dal vivo This Is Not The New Dream Syndicate live album, un cerchio che finalmente si chiude..
1 commento:
Ciao, mi è arrivaqto oggi direttamente dal sito i Steve Wynn. Grande!!!
Alfio
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