Il più recente album da studio dei
SUNN O))) è quel Monoliths
and Dimensions del 2009, mentre per gli Ulver è ancora fresca la traccia lasciata con
l’orchestrale Messe I.X-VI.X,. Due lavori che hanno
rivoluzionato in parte i progetti di queste inafferrabili entità post-metal. L’apertura
decisa al mondo della musica contemporanea, ad orchestrazioni di ampio respiro
e ad arrangiamenti acustici hanno fornito elementi e credenziali inedite nel
loro fosco universo. Un senso di cameratismo che per i gruppi ha antichi
natali, il loro primo incontro risale infatti alle session del 2003 di White1 –
la traccia in questione è CutWOODED – composizione tributo al grande regista
culto Ed Wood, che vedeva la complicità del gruppo scandinavo.
A dieci anni da quella grande epifania i due collettivi si
ricongiungono, dando alle stampe per Southern Lord un disco dai toni
apocalittici ed ancestrali come Terrestrials;
tre lunghe composizioni che assumono tratti tipici da movimenti classici,
liberando letteralmente la lava che scorre nelle profondità terrestri. Una
visione cosmica e totalizzante, una cerimonia della terra e dei suoi più
lugubri aspetti, una marcia imprevedibile nei meandri della nostra stessa
natura.
Il disco, concepito presso gli studi di Oslo Crystal Canyon
proprietà dello stesso gruppo norvegese, rispecchia le intenzioni di un
approccio libero ed incondizionato. Si tratta letteralmente di tre
improvvisazioni dal vivo. Il brano d’apertura è "Let There Be Light" che
nasce letteralmente in punta di piedi, aprendo poi al cerimoniale chitarristico
di O'Malley e O'Sullivan, terreno su cui si innestano le solenni intonazioni
del vocalist Kristoffer Rygg. La musica si sviluppa poi in un suggestivo
crescendo, in cui subentrano i fiati ed i bassi, dando il à alle sfuriate dello
stesso Greg Anderson e dei restanti Ulver.
"Western Horn" ha forse un andamento più austero, una nota
sostenuta di basso crea un generoso scenario in cui la ripetizione è l’unica
chiave di volta. Violini piangenti, accordi di piano elettrico e stridori
metallici completano la visione.
Con la chiusura di "Eternal Return” Rygg introduce testi che evocano l’antica
Grecia, l’Egitto e le terre bibliche. La canzone è palindroma, iniziando e
concludendosi con la stessa linea di basso e testo citato. Terminate le session
gli Ulver hanno provveduto ad ampliare le dinamiche delle stesse composizioni,
senza mai perdere di vista le intenzioni dei propri sodali. Lo stesso O’Malley ritorna in una
notte di luna piena norvegese per scolpire ulteriormente i brani in fase di
post-produzione, provvedendo ad illuminare in maniera definitiva il risultato finale.
Una sessione che a detta dello stesso chitarrista ha rivelato le sue buone
vibrazioni psichedeliche, aldilà dei volumi squassanti. Una collaborazione
capace di esaltare entrambe le parti, riproponendo passioni insite per il
minimalismo e la musica indiana, in un tracciato che dal Philip Glass di Koyaanisqatsi
porta a Shivkumar
Sharma.