Isabel Monteiro ha una storia importante alle spalle, costruita su una passione univoca, costellata però da scelte dolorose e momenti di autentica redenzione. Così la musica dei suoi Drugstore, sempre in bilico tra rilascio emotivo ed un intimismo dai tratti chiaroscurali. Una delle più grandi speranze del rock inglese di fine novanta, ad un passo da quel balzo mainstream che ne avrebbe magari condizionato gli stessi contenuti artistici. Quando aprirono i concerti del compianto Jeff Buckley, quest’ultimo li prese talmente a cuore da coverizzare il loro singolo di debutto, Alive. A posteriori molto più di una mera soddisfazione.
Per non dire dei live con gli allora compagni di scuderia Radiohead, e della collaborazione a due tra Isabel e Thom Yorke con un singolo che entrò di diritto nella top 20 della classifica inglese. Assimilabile per certi versi allo slo-core di Red House Painters e Low, la loro musica ha sempre contemplato l’ardire dei grandi cantautori, in primis Leonard Cohen con le sue storie a volte lugubri. Nel 2002 si chiude la prima fase della loro carriera, con un contestuale scioglimento.
Come spesso è accaduto ai grandi pionieri del rock alternativo la musica ha sempre rappresentato l’unico punto d’approdo, fuori da ogni logica commerciale. Ecco perché la loro reunion del 2009 è un evento che scaturisce in grande naturalezza, senza programmi di conquista alle spalle. Una sola apparizione, per puro divertimento. Accade però che lo show al Dingwalls di Londra vada sold out in pochissimi istanti. Ed è stato proprio questo l’input che ha portato Isabel nel 2010 a lavorare all’album Anatomy. Con una chitarra gentilmente concessa da un fan di vecchia data.
Un disco questo che ci riconcilia con l’aspetto più romantico e sofferto della band, ancora capace di ballare alle soglie del crepuscolo, con un stile noir che sembra attingere da eroi moderni quali Tom Waits. Nick Cave o la stessa Pj Harvey. Un disco fatto di sentimenti autentici, una carezza suadente, elettrificata. I Drugstore sono una personalità unica ed aliena al mondo dell’isterismo indie, una di quelle rarità sulle quali è impossibile soprassedere.
Per non dire dei live con gli allora compagni di scuderia Radiohead, e della collaborazione a due tra Isabel e Thom Yorke con un singolo che entrò di diritto nella top 20 della classifica inglese. Assimilabile per certi versi allo slo-core di Red House Painters e Low, la loro musica ha sempre contemplato l’ardire dei grandi cantautori, in primis Leonard Cohen con le sue storie a volte lugubri. Nel 2002 si chiude la prima fase della loro carriera, con un contestuale scioglimento.
Come spesso è accaduto ai grandi pionieri del rock alternativo la musica ha sempre rappresentato l’unico punto d’approdo, fuori da ogni logica commerciale. Ecco perché la loro reunion del 2009 è un evento che scaturisce in grande naturalezza, senza programmi di conquista alle spalle. Una sola apparizione, per puro divertimento. Accade però che lo show al Dingwalls di Londra vada sold out in pochissimi istanti. Ed è stato proprio questo l’input che ha portato Isabel nel 2010 a lavorare all’album Anatomy. Con una chitarra gentilmente concessa da un fan di vecchia data.
Un disco questo che ci riconcilia con l’aspetto più romantico e sofferto della band, ancora capace di ballare alle soglie del crepuscolo, con un stile noir che sembra attingere da eroi moderni quali Tom Waits. Nick Cave o la stessa Pj Harvey. Un disco fatto di sentimenti autentici, una carezza suadente, elettrificata. I Drugstore sono una personalità unica ed aliena al mondo dell’isterismo indie, una di quelle rarità sulle quali è impossibile soprassedere.
1 commento:
Post copiato dalla presentazione dell'album su Amazon.co.uk. Andrebbe citata la fonte perlomeno.
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