08/08/11

Cymbals Eat Guitars - Lenses Alien (Memphies Industries)

Sono trascorsi due anni abbondanti dal debutto autoprodotto dei Cymbals Eat Guitars, quartetto di stanza a New York e capitanato dal cantante – ed autore di buon parte delle musiche - Joseph D’Agostino. Con Why There Are Mountains si inserivano di diritto nel solco del miglior indie-rock autoctono, prendendo spunto dalle esperienze trasversali di Guided By Voices e Pavement, guardando oltre gli steccati della stessa forma canzone. Messa quasi da principio da parte l’attitudine lo-fi, i Cymbals Eat Guitars – un’indicazione di massima già dal nome – hanno puntato su strutture fluide e su di un’attitudine che non faremmo fatica a definire progressiva.
Proprio per questa ragione l’album convinse sia i frequentatori dell’underground statunitense che quelli del vecchio continente. L’italo-americano D’Agostino – che oltre a cantare si distingue anche alla sei corde – ha un piglio che per certi versi ricorda quello di Black Francis, con i debiti distinguo. Matt Miller (batteria) Brian Hamilton (tastiere) e Matthew Whipple (basso), chiudono il quadrilatero. Dopo aver ripetutamente testato dal vivo il loro materiale, aprendo per gente come Flaming Lips ed Hold Steady, esibendosi peraltro in festival di grande richiamo come il Lollapolooza e Glastonbury. Terminata questa lunga carrellata internazionale i nostri si chiudono in studio a partire dall’autunno del 2010. Un’unica priorità, stilare i brani guida di quello che sarà il loro secondo album, che verrà pubblicato in settembre da Memphis Industries.
Lenses Alien è così un ritorno sorprendente, esemplificativo di come una band possa crescere nel breve volgere di un anno, perfezionando ogni singolo dettaglio ed attingendo ad un background sempre più interessanti. Sono brani molto più confidenziali, nel senso che parlano direttamente agli ascoltatori, grazie a trame avvolgenti, che non mancano di sfiorare le perigliose volte di una psichedelia moderna. Questa loro ricerca musicale li pone sicuramente in una situazione privilegiata, ancora una volta oltre le schematiche rivoluzioni indie-rock. Un linguaggio sofisticato, le cui aperture molteplici rendono ancor più appetibile l’intera faccenda.


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