‘The Seer’ è un mastodonte che buca il traguardo
delle 2 ore. La nuova fatica in studio degli Swans di Michael Gira – sulla
personale Young God - è un sogno nel cassetto, o meglio un’ossessione che ha
accompagnato il nostro in 30 anni di onorata carriera. Con questo disco uno dei
principali agitatori della New York degli anni ’80 tocca la sua vetta
artistica, accomodandosi al fianco di leggende del nostro tempo come Nick Cave
(un sostenitore sfegatato) ed Einsturzende Neubauten (non a caso il disco è
stato registrato a Berlino, tra lo Studio P4 e la vecchia sala d’incisone degli
stessi EN Andere Baustelle). Dopo una decade di assenza ed un funerale
celebrato alla grande con il doppio live ‘Swans Are Dead’, Gira rispolvera il
nome, facendo in modo che la puzza stantia di reunion sia a debita distanza.
Quelli che sono i nuovi Swans non possono certo prescindere dalla recente
esperienza – dai tratti decisamente acustici – di Angels of Light.
Affrontando nel dettaglio i punti salienti del
doppio album (triplo per che si aggiudicherà la versione in vinile) è opportuno
mettere dei paletti. Si parte con ‘Lunacy’, un anthem dai toni solenni, in cui
le voci dei due Low Alan Sparhawk e Mimi Parker affiancano minacciosamente
quella del leader. Per ascoltare la band nel pieno della sua forza motrice
bisogna passare alla successiva ‘Mother of the World’, una furia matematica ispirata
alle visioni del re cremisi e del suo vate Robert Fripp. Gli incroci percussivi
dell’ex-Cop Shoot Cop Phil Puleo e di Thor Harris (Lisa Germano, Shearwater),
preparano il terreno ad una delle più intense rappresentazioni sotto il profilo
strumentale del gruppo.
I 32 minuti della traccia che titola il disco
sono l’epitome dello Swans pensiero. Un’ascesa cacofonica testata nelle lunghe
maratone dal vivo e portata a termine in studio con la benedizione dei
‘padrini’ tedeschi Amon Duul II. Un’esperienza biblica che proietta il mesto
narratore Gira verso lidi infiniti. Perché la cultura dell’apocalisse, come la
feroce critica sociale che mai ha abbandonato le sue liriche, continuano a foraggiare
questa debordante cerimonia.
Cantata principalmente da Karen O degli Yeah Yeah
Yeahs, ‘Song for the Warrior’ assomiglia ad una lettera al fronte, destinata a
quel soldato che combatte oltre i confini del campo di battaglia. E’ come se
attraverso immagini mistiche o situazioni surreali Gira cercasse di esorcizzare
i suoi stessi fantasmi. C’è anche una voce che torna, quella di Jarboe,
campionata letteralmente nella lunga ‘A Piece of the Sky’. Tra le tante esperienze
catartiche di un disco che assomiglia sempre più a un capolavoro c’è anche la
chiosa di ‘The Apostate’, che ci riporta a quegli Swans proto-industrial, che definitivamente
segnarono la desolata New York degli ’80. Non un ritorno in senso stretto, ‘The
Seer’ è semmai la definitiva rivalsa degli Swans su tutto ciò che ancora oggi
ci ostiniamo a definire noise-rock.
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