Dopo la ristampa di Bufo Alvarius – Alvarius B è anche il progetto in solo di Alan Bishop dei Sun City Girls, per inciso una delle band idolatrate dai Bardo Pond – per il sestetto di Philadelphia è tempo di pubblicare qualcosa di nuovo. Ed è Fire Records a prenderli sotto la sua ala protettrice, dopo un lungo peregrinare che li ha visti incidere anche per Matador ed ATP. Il fatto stesso che l’album sia omonimo rappresenta un indizio sulle reali pretese della band, come se un nuovo inizio fosse all’orizzonte. In quasi venti anni di attività il gruppo ha cristallizzato il suo stile muovendo lungo le coordinate di una psichedelia liquida, che spesso incontrasse le forme più evolute del rock acido tedesco (Amon Düül, Popol Vuh, Ash Ra Tempel, Guru Guru) od inglese (Hawkwind). Parallelamente al successo raccolto da gruppi coevi, come My Bloody Valentine e Spaceman 3, i Bardo Pond – hanno battuto strade più ripide, rifuggendo i luoghi comuni dell’alternative rock. I fratelli Michael and John Gibbons – entrambi chitarristi - sono ancora i tenutari della sigla ed attorno a loro si dipana sempre la mistica della band, che è stata eletta capostipite del movimento noto come Psychedelphia. A completare l’ensemble Isobel Sollenberger (voce, flauto), Clint Takeda (basso), Aaron Igler (elettroniche) e Jason Kourkounis (già nei Mule e Delta ’72 alla batteria). Nel nuovo disco ascolterete anche i distinti contributi di Jeremiah Misfeldt all’organo Farfisa e di Dan Baltzer all’arpa. La voce gentile di Isobel ci introduce agli scenari semi-acustici di "Just Once," quasi una filastrocca lisergica che sembra coltivare un gusto spartano per l’alternative country e la musica indiana. Subito dopo si alza il volume dei pedali e l’elettricità è un conturbante corpo che ci avvolge, sfiorando punte hard in "Don’t Know About You" e "Crakler Wrist". Le lunghe mantriche progressioni della band vi soggiogheranno nei 20 e passa minuti di "Undone" con le sue riverberate visioni di un mondo antico. Da segnalare anche l'imminente presenza all’ATP curato dai Godspeed You Black Emperor, a dimostrazione dell’appartenenza a quella buona famiglia: i nostri sono rientrati nei circoli che contano licenziando uno dei migliori album della loro onorata carriera.
30/11/10
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