Inseguito da qualche iguana, piuttosto che da qualche poco raccomandabile creditore, Dan Sartain vede tutti i fantasmi del desert rock americano e li esorcizza con un tocco da compassato cerimoniere. E senza alcun giro di parole questo è purissimo rock’n’roll, speziato da umori cajun e da melodrammatiche ballate retrò sul ciglio di una highway. "Dan Sartain Lives" incarna lo spirito di quell’America di provincia – o di confine – che per anni ha caratterizzato la storia di molti autori passionali, capaci di riportare in auge radici comuni ed indimenticate, le stesse che hanno caratterizzato la prima musica registrata elettricamente, alla vigilia della grande depressione. Da Birmingham, Alabama, il nostro uomo si è già creato un invidiabile seguito, giocando su quella linea di confine che prevede da una parte le 12 classiche battute della musica del diavolo per antonomasia e dall’altra le psicotiche movenze di un fifties sound rimodernato. Dopo aver raggiunto una discreta notorietà con la Swami di San Diego – la stessa che ha tenuto a battesimo molti dei progetti del dopo Rocket From The Crypt – ed aver raggiunto un accordo commerciale in Europa con One Little Indian, Dan si è anche agitato sullo stesso palcoscenico che ha visto protagonisti White Stripes e The Hives. Proprio in quelle circostanze è nata una particolare amicizia con Jack White che ne ha prodotto il singolo Bohemian Grove per la sua personale Third Man. Di ritorno sulle scene con un album completo il nostro sembra aver composto delle musiche appositamente per un remake di Daunbailò, forse a sua insaputa. Con brani dai titoli espliciti – che già ci introducono all’umore dell’ipotetica pellicola – come "Voo Doo", "Praying For A Miracle", "Bad Things Will Happen", "Walk Among Cobras IV" e il primo singolo "Atheist Funeral" la paludosa discesa nei luoghi del vizio e del rock’n’roll ha inizio, con passo spedito. Erede in qualche misura di quei suoni che un tempo furono di Mink De Ville, Del Fuegos, Del-Lords o Bo Deans, Dan Sartain scrive un’altra vibrante pagina della roots music a stelle e strisce, con vigore e peccaminosa consapevolezza.
20/04/10
Dan Sartain Lives - il nuovo abum a giugno
Inseguito da qualche iguana, piuttosto che da qualche poco raccomandabile creditore, Dan Sartain vede tutti i fantasmi del desert rock americano e li esorcizza con un tocco da compassato cerimoniere. E senza alcun giro di parole questo è purissimo rock’n’roll, speziato da umori cajun e da melodrammatiche ballate retrò sul ciglio di una highway. "Dan Sartain Lives" incarna lo spirito di quell’America di provincia – o di confine – che per anni ha caratterizzato la storia di molti autori passionali, capaci di riportare in auge radici comuni ed indimenticate, le stesse che hanno caratterizzato la prima musica registrata elettricamente, alla vigilia della grande depressione. Da Birmingham, Alabama, il nostro uomo si è già creato un invidiabile seguito, giocando su quella linea di confine che prevede da una parte le 12 classiche battute della musica del diavolo per antonomasia e dall’altra le psicotiche movenze di un fifties sound rimodernato. Dopo aver raggiunto una discreta notorietà con la Swami di San Diego – la stessa che ha tenuto a battesimo molti dei progetti del dopo Rocket From The Crypt – ed aver raggiunto un accordo commerciale in Europa con One Little Indian, Dan si è anche agitato sullo stesso palcoscenico che ha visto protagonisti White Stripes e The Hives. Proprio in quelle circostanze è nata una particolare amicizia con Jack White che ne ha prodotto il singolo Bohemian Grove per la sua personale Third Man. Di ritorno sulle scene con un album completo il nostro sembra aver composto delle musiche appositamente per un remake di Daunbailò, forse a sua insaputa. Con brani dai titoli espliciti – che già ci introducono all’umore dell’ipotetica pellicola – come "Voo Doo", "Praying For A Miracle", "Bad Things Will Happen", "Walk Among Cobras IV" e il primo singolo "Atheist Funeral" la paludosa discesa nei luoghi del vizio e del rock’n’roll ha inizio, con passo spedito. Erede in qualche misura di quei suoni che un tempo furono di Mink De Ville, Del Fuegos, Del-Lords o Bo Deans, Dan Sartain scrive un’altra vibrante pagina della roots music a stelle e strisce, con vigore e peccaminosa consapevolezza.
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