Se ricordate Pullhair Rubeye, concepito a 4 mani con la sua compagna Kría Brekkan (Kristín Anna Valtýsdóttir, originariamente nei Múm), probabilmente siete abituati all’estremo gioco di riferimenti che Avey Tare (1/3 degli Animal Colelctive) propone di album in album, spesso vagando attorno all’essenza stessa di suono. Proprio quel progetto del 2007 - edito da Paw Tracks – giocava con l’idea di reverse invitando l’ascoltatore a riavvolgere ‘manualmente il nastro’ per cogliere l’originale natura dei brani. Con buona pace dei praticanti del rock satanico e dei suoi poco futuristici rituali.
Down There è altra faccenda, ovviamente si scorgono l’indole pop marziana degli Animal Collective, gli screzi kraut-industrial del progetto Terrestrial Tones (con membri di Black Dice) ed un’innata propensione al collage-sonoro, ma sono piccoli frammenti di canzoni quelli che di soppiatto si insinuano sotto pelle. Sono nove i brani in scaletta, improbabili commistioni di soul e musica concreta, vibrazioni electro e sixties pop, impossibili trame hip-hop ed uno speziato retrogusto indie.
Nulla è dunque dato per scontato, dalle vette del più arguto rumorismo elettronico all’intimità di una chitarra arpeggiata o di un piano elettrico appena sfiorato, le emozioni sono spesso calibrate, nella misura in cui Avey Tare si divide tra i ruoli di musicista estroso e ricercatore incontentabile.
Registrato nel mese di giugno dal fido Josh Dibb (Deakin) alla Good House, una vecchia chiesa di New York nord, Down There è un bignami post-moderno, una celebrazione dell’universo pop underground.
Down There è altra faccenda, ovviamente si scorgono l’indole pop marziana degli Animal Collective, gli screzi kraut-industrial del progetto Terrestrial Tones (con membri di Black Dice) ed un’innata propensione al collage-sonoro, ma sono piccoli frammenti di canzoni quelli che di soppiatto si insinuano sotto pelle. Sono nove i brani in scaletta, improbabili commistioni di soul e musica concreta, vibrazioni electro e sixties pop, impossibili trame hip-hop ed uno speziato retrogusto indie.
Nulla è dunque dato per scontato, dalle vette del più arguto rumorismo elettronico all’intimità di una chitarra arpeggiata o di un piano elettrico appena sfiorato, le emozioni sono spesso calibrate, nella misura in cui Avey Tare si divide tra i ruoli di musicista estroso e ricercatore incontentabile.
Registrato nel mese di giugno dal fido Josh Dibb (Deakin) alla Good House, una vecchia chiesa di New York nord, Down There è un bignami post-moderno, una celebrazione dell’universo pop underground.
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