16/06/09

Ballads Of The Revolution - Nuovo Album Per Jackie-O Motherfucker

Finalmente il figliol prodigo Tom Greenwood torna a casa. Un modo come un altro per dire che con Ballads Of The Revolution – un eufemismo? Il ricordo dei tardi ’60 in fermento? – i suoi Jackie-O’ Motherfucker ritornano su livelli di assoluta eccellenza, riscrivendo parzialmente le tavole della cosiddetta New Weird America. Stilisticamente il gruppo continua a gravitare attorno alla magnetica personalità del musicista di Portland – che non intende affatto distaccarsi dall’attitudine e dalla veste sonora che ne han fatto un’istituzione nei circuiti underground più esegeti, bensì prova a rendere più fascinoso il suo intruglio di psichedelia e libero folk tornando a confezionare canzoni degne di questo nome. Un piccolo smarrimento era occorso ai nostri, che giunti al traguardo del decimo album in studio, sembrano andare a nozze con sonorità certo lisergiche, eppure capaci di accogliere elementi di elettronica povera e di musica da western (lo stomp quasi morriconiano di Lost Jimmy Walen) come introspettivi passaggi giusto in bilico tra la recitazione del re lucertola ed i rintocchi chitarristici di Jerry Garcia.

Greenwood è l’unico sopravvissuto del nucleo originale, giunto al suo quindicesimo anno d’attività, nonostante i notevoli rimpasti di line-up. Di certo gli accompagnatori di questa rivoluzione virtuale si fanno sentire, il chitarrista Nick Bindeman ruba spesso la scena, immergendo la sua sei corde in un virale e vorticoso rito pagano.

Un occhio sempre severo alla tradizione non manca con la rivisitazione della ballata classica Nightingale , dove compare la pedal steel di Lewi Longmire, ma il desiderio di ricerca è sempre dietro l’angolo, soprattutto quando si interagisce con realtà moderne, come i Lucky Dragons, dei quali viene ripresa in chiave fortemente improvvisativa Dark Falcon, con alla voce un’ispirata Oney Owens, in arte Valet (Kranky).

Ballads Of The Revolution è un disco incredibile, capace di rimembrare lo spleen esistenziale di Mark Kozelek e dei suoi Red Hosue Painters, il dream pop degli Opal e la tradizione delle grandi band di San Francisco in odore di Nuggets.

Una fascino antico rinnovato attraverso trovate sempre attuali, il rock desertico che diviene una scappatoia all’inferno metropolitano, Tom Greenwood sa ancora come cullarci, attraverso nenie dal sapore dissacrante, in uno spazio sospeso tra chitarre fuzz ed ululati che hanno ben poco di umano. Dall’improvvisazione radicale al country & western, con mille sfaccettature nel mezzo. Che sia proprio questo l’album definitivo di Jackie-O’ Motherfucker?

Nessun commento: