Antesignani di quello che oggi viene comunemente chiamato emo-pop, The Get Up Kids sono sempre stati un gradino al di sopra dei vili posers dei giorni nostri, mettendo in primo piano la musica ed un’attitudine spregiudicata nei confronti della musica popolare americana. Dopo il tour europeo dello scorso anno – con fortunate apparizioni italiane – un nuovo album da studio sembrava cosa imminente. E’ così che il quintetto di Kansas City inaugura il ritorno in scena con un nuovo disco in studio che bagna non solo il loro anno musicale ma tutto un 2011 destinato a confrontarsi coi nomi che hanno settato gli standard negli anni ’90. Album numero cinque, pubblicato dal personale marchio Quality Hill Records, dopo sette anni trascorsi nel limbo, se si fa riferimento all’ultima fatica estesa a nome "Guilt Show". Sono 12 le canzoni prodotte da Ed Rose, un campionario di sorprese e conferme a leggere tra le righe, grazie ad una scrittura palesemente più adulta e ad un piglio che aggiorna i loro momenti più smaccatamente emozionali ad una tensione nuova, adulta. L’insieme è adorabile. Ben aldilà della nostra immaginazione, i Get Up Kids si sono scrollati di dosso i luoghi comuni del genere, per abbracciare un sound più sofferto, che oltre a muoversi sull’asse college rock americano, prova a considerare l’epopea del post-punk inglese ed il lascito importante di tutta la scena downtempo e trip-hop. Già, perché tra le note spesso acute di questo "There Are Rules", l’elettronica sembra trovare margini coraggiosi, andando a contrastare le ritmiche spesso serrate e matematiche del gruppo. Un lavoro che si presenta molto articolato, ricco nella sua punteggiatura, pur non smarrendo il potenziale offensivo. Rinati grazie ad un concept inedito e ad una raggiunta maturità i Get Up Kids affrontano coscienziosamente il nuovo decennio assumendo le caratteristiche di una formazione moderna, che sa guardarsi oltre gli steccati del post-punk e del bubblegum-pop. Statura, non comune a molte delle starlette attualmente in circolazione. Proprio perchè non è un taglio di capelli a fare il bello e cattivo tempo. Tra le formazione più influenti di quella tradizione che partiva direttamente dalla Washington DC dei tardi ottanta, per attraversare le propaggini più colorate dell’ alternative scene, i cinque – al pari di altri nomi culto quali Promise Ring e Braids – hanno portato la loro spregiudicatezza adolescenziale verso inaspettate vette. Quando sarete colpiti dall’incedere post-gotico di "Tithe" o dalle chitarre jingle-jangle di "Regent’s Court", vi sarà chiaro di come il gruppo abbia oggi più di una freccia al suo arco.
03/01/11
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