02/09/08

Dianogah




Sono passati la bellezza di sei anni dall’ultimo disco pubblicato da Southern Records a titolo "Millions Of Brazilians", da quel momento in poi per i Dianogah è trascorso quasi un periodo di ibernazione. Pausa di riflessione o indagine artistica? Fatto sta che uno dei gruppi guida del movimento post-rock made in Chicago ha ben riflettuto su quale fosse l’argomento più logico da abbracciare, in questi anni in cui la frammentazione stilistica più che una costante è divenuta un’insana abitudine. Figli di quello stesso territorio che ha celebrato le gesta dei Tortoise, anche al termine del momento di massimo fulgore della scena, i Dianogah hanno saputo attendere. Per gettarsi anima e corpo sulla nuova preda. Un album fatto verosimilmente di canzoni. In parte abbandonate le elucubrazioni strumentali degli esordi i tre – il nucleo base consta di Jay Ryan (basso, voce), Jason Harvey (basso) e Kip Mcabe (batteria) – sviluppano un suono dai forti connotati melodici, in cui la voce è strumento altrettanto importante ai fini della riuscita delle singole composizioni. Un avvicinamento dunque alla forma canzone verrebbe da dire. Riprova ne sono gli ingressi esterni della vocalist Stephanie Morris, che oltre a rappresentare l’ideale contraltare di Ryan, rende ancora più speziati i pezzi raccolti in "Qhnnnl". Come ospiti avvistiamo Andrew Bird che con il suo violino in dote porta un tocco di arrangiamenti neo-classici, Billy Smith alla chitarra e Mark Greenberg alle tastiere. Rilasciata l’onda post-rock e soprattutto le insidiose trappole contingenti, i Dianogah rinascono come formazione indie tout court, spiccando il volo verso nuovi – inediti – orizzonti.

La band sarà in tour in Italia ai primi di Ottobre.

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